Conclusione

Poco dopo la morte del povero e fedele schiavo, giungevano dinanzi alla casa, a galoppo sfrenato, Muley-el-Kadel e Nikola Stradioto, coi loro trenta cavalieri.
Udendo il fracasso prodotto da tutti quegli animali, i turchi, temendo una sorpresa, si erano precipitati confusamente fuori dalla stanza, lasciando sulla scala che non erano riusciti ad espugnare, non pochi morti e feriti.
Muley-el-Kadel, senza nemmeno mandare un grido d’avvertimento, li caricò all’impazzata, sciabolando a destra e a manca, mentre i suoi uomini facevano una scarica di archibugi.
Sulla porta si era affacciato Perpignano, il quale si preparava, spalleggiato dai greci, a prendere una vigorosa offensiva.
— Il Leone di Damasco! — esclamò il veneziano stupito. — E anche
Nikola!

— Dov’è la duchessa? — chiese il turco, balzando a terra.

— Nelle stanze superiori.

Senza aspettare altra risposta, salì rapidamente la scala, seguito da
Nikola ed irruppe nella prima camera.

La duchessa singhiozzava ancora, accanto al cadavere di El-Kadur.

— Viva! Viva! — gridò il Leone di Damasco, mentre un vivo rossore gli coloriva le gote.
— Voi, Muley! — esclamò Eleonora alzandosi.

— Giunto in buon punto per salvarvi e vendicarvi, signora. Dov’è
Laczinki, l’assassino del signor Le Hussière?

— L’ho ucciso io in questo momento… ma… lui… l’assassino avete detto, Muley… — balbettò la duchessa.
— Sì, signora, — disse Nikola, facendosi innanzi. — L’ho veduto io da un sabordo della gagliotta, ad annegarlo.
La duchessa rimase un momento ritta, girando lentamente gli sguardi verso il cadavere del polacco, poi mandò un debole grido e cadde svenuta tra le braccia del Leone di Damasco…
***

Un quarto d’ora dopo, i cavalieri, dietro ai quali erano montati i veneziani ed i greci, abbandonavano quella casa, nel cui giardino attiguo avevano sepolto frettolosamente il povero arabo.
Muley-el-Kadel reggeva fra le proprie braccia la duchessa, la quale non era ancora tornata in sè.
I marinai della galera erano ormai scomparsi, fuggendo in tutte le direzioni.
A notte inoltrata il drappello giungeva nella borgata di Suda e la duchessa, in preda ad un terribile delirio, veniva ricoverata in una bella e comoda casetta, situata in riva al mare, appartenente at un rinnegato greco, armatore di parecchie gagliotte.
Per due settimane la valorosa donna lottò contro la morte, poi la sua fibra vigorosa trionfò. Durante tutto quel tempo il Leone di Damasco non aveva lasciata quella casetta.

D’altronde, nessuno era andato a disturbarli e poi i trenta cavalieri, i cristiani ed i rinnegati greci vegliavano giorno e notte sulle vie che conducevano al mare.
Un giorno però, quando la duchessa si era completamente ristabilita, un cavaliere turco che portava sulla cima della sua lancia un fazzoletto di seta bianca, comparve, chiedendo di parlare a Muley-el-Kadel.
Fu condotto alla casetta.

Staccò senza parlare, un piccolo cofano che portava dietro la sella e lo mise nelle mani del Leone di Damasco, che si era fatto pallidissimo, dicendogli semplicemente:
— Da parte di Selim, il nostro Sultano. Poi ripartì a gran galoppo.

— Che cosa avete, Muley? — chiese la duchessa, che aveva assistito a quella scena.
— Guardate, — rispose il mussulmano, con voce turbata.

Aprì il cofanetto che era d’argento cesellato e le mostrò un elegante cordone di seta nera, che vi stava dentro.
Eleonora aveva mandato un grido d’orrore. Era il laccio che il Sultano regalava a coloro che erano caduti in disgrazia: un muto ordine d’appiccarsi.
— E tu, Muley? — chiese la duchessa, con estrema ansietà.

— La vita è troppo ridente al tuo fianco, perchè io obbedisca, — rispose il giovane Leone di Damasco. — Rinnego la religione dei miei padri e Maometto, ed abbraccio la tua.

Conducimi in Italia, Eleonora: io sono da questo momento cristiano e sai quanto ti amo…
***

La sera stessa, col favor delle tenebre, una gagliotta lasciava silenziosamente la rada di Suda facendo rotta per l’Italia.
Aveva a bordo la duchessa, Muley el-Kadel, Perpignano, i due marinai ed i rinnegati greci.

FINE.

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