I cacciatori di lontre

– L’hai veduta, Sandoè?

– Sì, Mac-Doil, ma è sparita subito.

– Dove l’hai veduta?

– Là, sotto quella roccia.

– Non la vedo. La notte è così oscura, che bisognerebbe avere gli occhi d’un gatto per distinguere qualche cosa a dieci passi dalla punta del naso. Era grossa?

– Grossissima, Mac-Doil. Deve essere l’istessa che ho veduta stamane.

– Era una pelliccia bella?

– Una delle più fitte. La Compagnia potrebbe ricavare ottocento rubli.

– Sai che cosa ho osservato, Sandoé?…

– Dimmelo.

– Che da qualche giorno, queste dannate lontre si mostrano spaventate.

– L’ho notato anch’io, Mac-Doil, e sai da quando?

– Dalla notte in cui abbiamo udito quel fischio misterioso.

– Hai indovinato.

– Chi può aver emesso quella nota?… Una balena non di certo.

– E nemmeno un capodoglio, MacDoil.

– Eppure l’isola è assolutamente deserta.

– Che sia stato un mammifero di nuova specie?

– Hum! – fece colui che si chiamava Mac-Doil, crollando il capo. – Non lo credo.

– Ed allora?…

– Non so cosa dire.

– Deve accadere qualche cosa sulle coste settentrionali dell’isola. Se così non fosse, le lontre non sarebbero così diffidenti ed anche Kamo sarebbe più tranquillo.

Anche ieri notte abbaiò più volte.

– L’ho udito, Sandoé, e credo… Taci!

Un gorgoglìo strano, ma potente, che pareva prodotto da un immenso getto d’acqua irrompente alla superficie del mare, seguito poco dopo da un sibilo acuto, si era udito in lontananza, verso le coste settentrionali dell’isola.

Udendo quei fragori, un cane di dimensioni enormi, che stava accovacciato accanto ad una rupe, balzò verso i due uomini e volta la testa verso il nord, lanciò tre poderosi latrati.

Era questo uno di quegli splendidi molossi tibetani che vengono importati nell’Alaska

dal Kamsciatka, di corporatura robustissima, di mole straordinaria, colla coda villosa volta sempre in alto, il pelame lungo e nero ed il muso d’aspetto ferocissimo, reso ancor più pauroso da due ripiegature della pelle assai accentuate e dalle labbra pendenti.

Questi molossi sono senza dubbio i cani più forti e più coraggiosi, poiché nel paese natìo osano affrontare perfino i bufali e lottano con vantaggio contro gli orsi.

Mac-Doil ed il suo compagno, si erano alzati contemporaneamente, dicendo:

– Zitto, Kamo!…

Poi si erano spinti verso la spiaggia, che le onde di tratto in tratto spazzavano, guardando verso le coste settentrionali dell’isola con una certa ansietà. Pareva che in quel momento avessero dimenticata la lontra che cercavano di catturare.

Ascoltarono parecchi minuti con viva attenzione, ma il gorgoglìo misterioso non si ripetè. Solamente le onde, sollevate dal vento del nord che soffiava attraverso lo stretto di Behering, si rompevano contro le spiagge con sordi fragori.

– Che cosa dici, Sandoé? – chiese MacDoil.

– Dico che vorrei essere nella baia di Cuscoquim o meglio ancora, nello stabilimento della

Compagnia a Kinagamute.

– Credo che tu abbia ragione. Io non sono mai stato pauroso, ma ti dico che questi misteriosi rumori mi fanno una certa impressione.

– Ma sei certo che l’isola sia deserta?…

– Certissimo.

– Nemmeno gli aleutini vi approdano?

– Mai, Sandoé.

– Allora vi è qualche cetaceo che si aggira sulle coste.

– Non lo credo.

– Non hai udito quel gorgoglìo?

– Sì, ma nessun cetaceo può produrre quel fragore.

– È un mistero che vorrei spiegare.

– Lo spiegheremo, Sandoé. Fra un’ora sorgerà il sole ed andremo ad esplorare le coste settentrionali.

– Ritorniamo alla capanna?… La lontra non ritornerà più di certo.

– Conto invece di catturarla.

– Non riapparirà, MacDoil.

– Tu sei novizio in tali cacce, ma io da dodici anni percorro le foreste dell’Alaska e le sponde delle isole Aleutine e conosco le lontre. Se per due volte si è mostrata presso queste scogliere, vuol dire che in questi dintorni ha il suo nido.

Là!… Guarda, Sandoé… Te lo dicevo io, che sarebbe tornata? Non muoverti o fuggirà.

Mac-Doil, così dicendo, si era lasciato cadere dietro una roccia che si ergeva a trenta passi dalla sponda, imitato rapidamente dal suo compagno, mentre l’enorme molosso si accovacciava silenziosamente in mezzo ad una macchia di folti licheni e di salici microscopici.

Cominciavano allora a diradarsi un po’ le tenebre, essendo l’alba vicina. Già verso oriente il mare si tingeva di riflessi color acciaio cupo, i quali non dovevano tardare a prendere una tinta madreperlacea.

Presso una scogliera che si avanzava per qualche tratto sul mare, descrivendo una specie di semicerchio, era comparsa una macchia nerastra ma che tosto erasi immersa.

-Il kaìam1 viene – mormorò Mac-Doil, all’orecchio di Sandoé.

– Lo attendiamo a terra?

– Sì, Sandoé: eccolo!…

Il punto oscuro, che doveva essere l’estremità del naso della lontra, era tornato a mostrarsi vicino alla sponda. Scomparve ancora, ma non potendo questi animali rimanere sott’acqua più d’un minuto, perché hanno bisogno di respirare, poco dopo emerse e salì lentamente la riva.

Era una lontra delle più grosse, poiché non doveva pesare meno di 40 chilogrammi ed era lunga circa un metro e venti centimetri, calcolata la coda che ordinariamente raggiunge i trenta o trentacinque centimetri.

Aveva la testa un po’ appiattita col muso adorno di baffi irti, il collo corto e grosso, il corpo di forma cilindrica, le zampe anteriori basse e munite di unghie, mentre le posteriori somigliavano alle pinne delle foche.

Il suo pelame era lungo, setoloso, bruno grigiastro screziato di bianco con una lanetta luccicante, morbidissima, splendida e poteva venire pagato, senza difficoltà, duemila lire. Uscita dall’acqua, la lontra s’arrestò, esaminando attentamente le rocce vicine coi suoi grandi occhi rotondi che scintillavano come quelli d’un gatto, poi emise un sordo brontolìo.

Sandoé aveva puntata la carabina per mandarle una palla nel cranio, ma Mac-Doil gli aveva abbassata rapidamente l’arma, dicendogli con un filo di voce:

– Aspetta!… Non è sola.

Un’altra lontra, ma un po’ più piccola della prima, usciva allora dall’acqua, seguita da due piccini grandi come due giovani conigli.

– La femmina? – chiese Sandoè.

– Una famiglia intera – rispose Mac-Doil. – Attendiamo: forse ve ne sono delle altre. Intanto la povera madre, ignara del pericolo, si era sdraiata sulla spiaggia e si era messa a giuocare coi suoi piccini e col grosso maschio.

È incredibile l’affetto che nutrono questi animali pei figli ed il maschio per la femmina. Si accarezzano per delle ore continue, si lisciano il pelo reciprocamente, giuocano tutti insieme come i giovani gatti, si tuffano, poi tornano sulla spiaggia avvoltolandosi fra le sabbie e tornano ad accarezzarsi con un trasporto che commuoverebbe tutti, fuorché i cacciatori della Compagnia Russo-Americana, loro eterni e mortali nemici.

Si adorano a tale punto, che la femmina si fa uccidere per salvare i figli e se perde il maschio si accora tanto, che si lagna per delle intere giornate come un bambino ed in quindici giorni soli il dolore la fa dimagrare spaventosamente.

– Mi fa pena ucciderle – disse Sandoè, che seguiva attentamente le mosse della famigliuola.

– è vero, – rispose Mac-Doil, – ma la Compagnia non ci ha mandati qui per assistere ai giuochi delle lontre.

Puntò lentamente la carabina, mirando il maschio con grande attenzione, un po’ sopra l’occhio destro per non guastare la preziosa pelliccia, mentre Sandoé mirava la femmina. Stavano per far scattare i grilletti, quando il gorgoglìo udito poco prima echeggiò improvvisamente, seguito dal misterioso fischio.

La femmina, spaventata, balzò rapidamente in piedi, afferrò colla bocca i due piccini e si precipitò verso la sponda, spiccando un lungo balzo.

I due spari in quell’istante risuonarono, formando quasi una sola detonazione.

Il maschio cadde fulminato, ma la femmina aveva avuto il tempo d’immergersi, prima che la palla potesse toccarla.

Alla prima luce dell’alba fu veduta ricomparire a centocinquanta passi dalla sponda, alzarsi più di mezza sopra le onde e porsi le zampe dinanzi agli occhi con una mossa graziosa ed insieme comica, come se avesse voluto ripararsi dai riflessi luccicanti dell’acqua, poi di nuovo scomparire.

– Per centomila foche! – esclamò Mac-Doil. – Ancora quel dannato fischio!… Un istante di ritardo ed anche la mia lontra s’immergeva!..

– La mia è già lontana – disse Sandoé, che pareva mortificato.

– Ma il maschio è caduto laggiù e la giornata l’abbiamo guadagnata.

Si alzò e si diresse verso la spiaggia. Il povero maschio giaceva presso una roccia, tutto raggrinzito e colle zampe anteriori posate sugli occhi come se avesse voluto nasconderseli.

– L’ho colpita nel cranio – disse. – La pelliccia non è guastata e si pagherà assai, poiché è una delle più belle che io abbia vedute.

Sandoè, che lo aveva seguito, si abbassò per raccogliere la preda, ma MacDoil lo trattenne.

– Adagio, mio caro. Le lontre talvolta si fingono morte, per poi fuggire appena i cacciatori volgono altrove gli sguardi o per vendicarsi con un morso. Un giorno ho veduto un aleutino perdere tre dita.

Spinse col piede il kaìam ma vedendo che non dava segno di vita lo prese per le zampe anteriori, gettandoselo sulle spalle.

– Cinque lontre in sette giorni – disse. – Se la continua così, faremo affari d’oro, Sandoé.

– Sì, se quel misterioso fischio cessa di spaventarle.

– Andremo a vedere se quell’essere indiavolato la vuol finire. Sono già due notti che si fa udire ed è tempo che cessi, per centomila foche!…

– Se lo scopriremo.

– Speriamo che si mostri, Sandoé. Andiamo a stritolare un biscotto alla capanna, poi perlustreremo le coste settentrionali.

Si misero in cammino preceduti dal molosso, volgendo le spalle al mare.

Quella parte dell’isola che percorrevano, era d’aspetto orribile. Non si vedevano che rupi accavallate confusamente, di origine vulcanica a quanto sembrava, poiché si scorgevano qua e là delle tracce d’antiche lave.

Alcuni gruppi di larici e di abeti crescevano nella parte più elevata, erano però intristiti come se non trovassero terra sufficiente su quelle rocce ed ancora ingialliti per le recenti e copiosissime nevicate invernali. Qua e là si vedevano ancora spuntare timidamente dei ranuncoli gialli, delle sassifraghe, delle rose canine, dell’uva spina e delle pianticelle di ribes i cui grappoletti non sempre riescono a maturare.

Alcuni uccelli, svegliati dai primi albori, volteggiavano in alto lanciando di quando in quando delle note rauche e stridenti. Erano stormi di gabbiani, di anitre selvatiche, di cornacchie ed in mezzo a loro si vedeva passare pesantemente, quasi a fatica, qualche cigno dalle candide ali, il quale lanciava, ad intervalli, un lungo fischio simile a quello che emettono le trombette.

Dopo d’aver superate alcune piccole alture e di essere scesi in sei o sette burroni irti di pietre coperte di muschi e di licheni, i due cacciatori giungevano dinanzi ad una capannuccia formata di tavole incatramate, col tetto a due pioventi ed addossata ad una grande rupe che doveva proteggerla dai venti del nord.

Mac-Doil con un calcio spinse la porta ed entrò, gettando in un canto la preda.

Quel ricovero eretto sull’isola deserta, offriva delle comodità molto problematiche ed era così ingombro di oggetti, da non potervisi muovere.

Vi erano barili, cassette, pelli di lontre cosparse di sale, pelli di volpi inchiodate sulle pareti per farle asciugare, ramponi, fucili, scuri, coltellacci, una stufa circondata da un cumulo di carbon fossile, coperte, due grandi pelli d’orso grigio che dovevano probabilmente servire

da letti e sospesi sotto i travi dei prosciutti affumicati, dei pezzi di lardo, delle casacche tese ad asciugare, delle reti di varie dimensioni e finalmente una lampada di ferro.

Mac-Doil si aggirò un momento in mezzo a quel disordine, staccò un prosciutto, riempì un cesto di biscotti e da un canto levò una bottiglia per tre quarti vuota.

– Spicciamoci, Sandoé – disse. – Mangiamo due bocconi, vuotiamo un bicchiere di questo eccellente gin, poi andiamo a scovare quel dannato animale che si diverte a spaventarci. Si sedettero sui barili, gettarono alcuni biscotti ed un pezzo di prosciutto all’enorme

molosso che si era accovacciato dinanzi alla porta e fecero colazione coll’appetito d’uomini che hanno digiunato dodici ore, bagnandosi la gola col contenuto della bottiglia.

– Sono le sette – disse Mac-Doil, dopo di aver accesa la pipa. – Alle dieci possiamo essere sulle scogliere settentrionali.

– Vuoi che prenda un rampone?…

– È un’arma buona contro i cetacei, Sandoé. In cammino.è

Chiusero la porta, precauzione da non trascurarsi in quelle regioni dove le volpi sono numerosissime e d’un’audacia straordinaria, e si misero in cammino, mentre il sole, mostrandosi fra due nubi, proiettava sull’oceano i suoi tiepidi raggi.
Nella primavera del 1864 lo sgelo era cominciato presto nel mare di Behering.

Il sole aveva fatto le sue prime comparse pallido assai, scolorito, ma verso la metà di maggio aveva preso vigore, sbarazzando dai ghiacci le coste delle isole di Andrejanovski e di Fuchs e dei golfi di Kotzebue, di Norton, di Cuscoquim, di Bristol e del Principe Guglielmo, che si addentrano profondamente nella così detta America Russa, ed ordinariamente non sono accessibili alle navi prima della metà di giugno.

Anche sulle terre la neve, accumulatasi durante il lungo inverno, a poco a poco erasi dileguata, mentre i fiumi si erano sbarazzati della grossa crosta gelata che da cinque mesi li teneva prigionieri.

Quel ritorno della buona stagione, tanto impazientemente attesa dai numerosi cacciatori di pellicce della Compagnia Russo-Americana, aveva richiamati sulle isole e sul continente gli uccelli e gli animali che erano emigrati verso il sud in cerca d’un clima più mite.

Le bande rumorose delle cornacchie erano state le prime ad accorrere fra i grandi boschi di abeti neri, di betulle e di pini; poi le avevano seguite gli aironi, le anitre ed i cigni per sollazzarsi sui tranquilli laghi e sulle vaste fiumane dell’interno; quindi, a breve distanza, erano tornati a mostrarsi i preziosi castori, le volpi dalla morbida pelliccia, i grassi ghiottoni, le donnole, le lontre terrestri e marine, i baribal od orsi neri ed i formidabili grizzly od orsi grigi dalla pelle troppo ruvida per avere qualche valore, ma dalla carne saporita.

Gli stabilimenti della Compagnia Russo-Americana, disseminati sul continente e sulle maggiori isole Aleutine, dopo essere rimasti quasi addormentati durante tutto l’inverno, si erano rapidamente risvegliati. Dal forte di Nulato, il più settentrionale di tutto quel vasto possedimento acquistato dagli Stati Uniti, a Sitka, l’antica capitale russa, bande di audaci cacciatori si erano lanciati sulle rive dei fiumi o sulle immense pianure o sotto le gigantesche foreste, mentre dalle isole di Unimak e di Unalaska s’imbarcavano sui battelli della

Compagnia i più astuti cacciatori o pescatori di foche e di lontre, disperdendosi sulle numerose isolette che si allungano, come una corona gigantesca, verso la penisola asiatica del Kamsciatka.

L’annata precedente era stata poco produttiva per la Compagnia. Appena diecimila pelli di foche, mille di lontre marine, ventimila fra pelli di volpe e di lontre terrestri, dodicimila di castori, seimila di lupi e poche centinaia di orsi erano state raccolte ed i numerosissimi cacciatori, interessati sulle esportazioni, avevano fatti degli incassi mediocrissimi. Bisognava rifarsi, raddoppiare il numero delle pellicce, battere i territori più lontani che non erano stati ancora percorsi, e visitare le isole più occidentali delle Aleutine, che si dicevano essere ricche di volpi e soprattutto di lontre marine.

Perciò i più valenti avevano fatta alla Compagnia la proposta di portarsi fino alle isole Nahe le più prossime alla penisola di Kamsciatka e che fino allora non erano state perlustrate da alcuno.

Fra quei pochi ardimentosi che si preparavano a passare parecchi mesi in un completo isolamento, lontani parecchie centinaia di miglia dalle coste e dalle isole abitate, primi fra tutti erano stati Mac-Doil, già famoso cacciatore di lontre, da oltre dodici anni ai servigi della Compagnia ed il suo compagno Sandoè, un novizio, ma che aveva fatto le sue prime armi sulle sponde della baia di Cuscoquim e nei boschi dell’Yucon e con buon successo.

La loro proposta era stata tosto accettata ed ecco il perché li troviamo su di un’isola deserta delle Nahe a circa settecento chilometri dalle coste della Siberia ed a sessanta da Attu che è la terra più considerevole di quel piccolo arcipelago.

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