I primi buoi muschiati

Mentre i due cacciatori, aiutati da Kamo, si affrettavano a porre in salvo le foche trascinandole verso la spiaggia, i due comandanti si rimettevano in marcia seguendo le coste dell’isola.

Migliaia di uccelli nidificavano fra le rocce e si lasciavano avvicinare senza troppo spaventarsi, segno evidente che non erano abituati a vedere uomini, né a temerli. Abbondavano sopratutto le lumme, chiamate anche baccaìaobird, le quali covavano il loro uovo mantenuto ritto con ambe le zampette, standovi come sedute sopra, e le procellarie fulmar, volatili assai grossi che servono di lampade per gli esquimesi, bastando cacciare nella loro gola un lucignolo per vederlo ardere benissimo e che covando le loro uova producono un rumore somigliante a quello d’una ruota mossa rapidissimamente.

Vi era anche qualche albatro il quale volteggiava sopra i banchi di ghiaccio con grande rapidità, lanciando di tratto in tratto il suo sordo grugnito.

Nelle pianure dell’isola si vedevano invece delle volpi polari dalla splendida pelliccia azzurro-argentea, le quali parevano assai sorprese nel vedere quegli uomini e che non si decidevano a fuggire se non quando udivano i latrati minacciosi di Kamo. Anche una pekan o mustela pescatrice fu scorta presso un crepaccio del ghiaccio, ma fu lesta a scomparire.

Di quando in quando l’ingegnere ed Orloff s’arrestavano per osservare il suolo, il quale sembrava assolutamente vulcanico, essendo composto di tufo rossastro, di vecchie lave, di scorie e di pomici come quello delle regioni australi.

Altre volte invece si arrestavano per disseppellire delle ossa mostruose appartenenti ad altri mammouth e ne trovarono pure alcune che parevano avessero appartenuto ad altri animali più giganteschi, probabilmente a dei mastodonti, avendo messo allo scoperto un cranio colossale munito di due mandibole lunghe parecchi metri.

Proseguendo la marcia, videro galoppare fra le rocce dell’isolotto dei grossi capi di selvaggina, che non credevano di trovare a così breve distanza dal polo.

Quegli animali avevano più l’apparenza di grossi montoni che di buoi, parevano anzi segnare un passaggio fra le pecore ed i bovini, quantunque somigliassero pure anche ai bufali.

Erano di corporatura massiccia, con gambe corte, il muso peloso, breve ed ottuso, col capo armato di due corna, assai larghe alla base dove formavano sul cranio due grosse protuberanze che difendevano anche parte della fronte, e che poi s’incurvavano in avanti terminando in punte assai aguzze.

Il loro pelame era bellissimo, lungo tanto che scendeva quasi fino a terra, setoloso, bruno-oscuro sul dorso e più chiaro verso le estremità inferiori.

I due comandanti li riconobbero senza fatica. Erano buoi muschiati, animali che s’incontrano solamente nelle isole americane dell’Oceano Artico, ed in numero scarso. Avrebbero desiderato abbatterne qualcuno, ma quei buoi che sono estremamente sospettosi, non si lasciavano avvicinare e fuggivano nelle vallette.

Quando tornarono a bordo, dopo d’aver compiuto il giro dell’isola, erano le otto di sera. I due cacciatori avevano già scuoiata la foca e fatto cucinare il cervello e la lingua, due bocconi non disprezzabili.

Il Taimyr alle nove riprendeva la corsa verso il nord, speronando i ghiacci, i quali cedevano facilmente all’urto. Al di là dell’isola l’acqua era tornata profonda, sicché poteva procedere liberamente senza tema di arenarsi su qualche banco. Manteneva però una velocità moderata, non sapendo i due comandanti se l’acqua avrebbe continuato a mantenersi sufficiente.

Tutta la notte – notte per modo di dire, poiché ormai il sole non tramontava più – il Taimyr s’avanzò verso il nord e verso le sei antimeridiane incontrava un altro isolotto di mezzo miglio di circonferenza, mentre sulla sua destra, la costa intraveduta il giorno precedente, s’abbassava rapidamente e s’incurvava verso l’est.

Pareva che la costa della Groenlandia finisse là, non scorgendosi oltre nessuna altra terra spingersi verso il nord.

I ghiacci intanto scemavano sempre e la temperatura diventava quasi tiepida, oscillando fra lo 0° ed i 7°. Vi erano però qua e là alcuni vecchi ice-bergs ancora di grandi dimensioni, che dovevano sfidare la breve estate polare senza sciogliersi completamente, e gran numero di streams e di palks che si lasciavano trasportare da qualche corrente che pareva scendesse verso l’ovest.

Alle dieci il secondo isolotto fu veduto verso l’ovest, un po’ più grande del precedente e sulle cui sponde si vedevano alcuni orsi bianchi che pareva spiassero le foche o le morse, ma quasi contemporaneamente Orloff, che aveva allora gettato lo scandaglio, avvertì che il fondo marino saliva rapidamente.

– Ma invece del famoso mar libero, che vi sia una specie di palude al Polo Nord? – disse l’ingegnere.

– Tutto lo indica – rispose Orloff. – Guardate quante alghe si vedono sorgere dal fondo dei canali.

– È vero – disse Nikirka. – Mi rincrescerebbe di non trovare acqua bastante, per spingere il mio battello proprio sotto la stella polare.

La velocità del Taimyr fu ridotta a tre nodi all’ora, dovendosi procedere collo scandaglio alla mano, il quale non dava che undici metri d’acqua. Sperando di trovare una profondità maggiore, l’ingegnere fece dirigere il battello verso l’est, poi verso l’ovest, però senza felice risultato.

Dovunque il fondo saliva ed era ingombro di alghe nere e sottili e sparso di banchi melmosi.

A mezzodì i due comandanti fecero il punto.

– Siamo a 88° e 53′ di latitudine ed a 60° e 14′ di longitudine, – disse Orloff a

Mac-Doil che lo interrogava, – ossia noi siamo a sole sessantasette miglia dal polo.

– Fulmini!… – esclamò Sandoé.

– E lampi! – aggiunse l’ebridano. – Si può dire che siamo a due passi da quel famoso polo. Vedremo finalmente cosa si troverà.

– Ve lo potete immaginare ormai – disse l’ingegnere. – Poca acqua, dei banchi fangosi e qualche isolotto. Signor Orloff, abbiamo acqua sufficiente?

Il secondo che stava scandagliando il fondo colla sonda, mentre il Taimyr descriveva un semicerchio da levante a ponente, rispose:

– Abbiamo nove metri a tribordo e mi pare che questa profondità accenni a continuare verso il nord.

– Cerchiamo di avanzare, signor Orloff.

Il comando fu trasmesso agli uomini della macchina ed il battello si ripose in marcia, procedendo con una velocità di tre nodi all’ora, mentre il secondo continuava a scandagliare il fondo.

Pareva che avessero trovato una specie di canale, poiché l’acqua si manteneva sempre alta dai nove ai dodici metri, profondità più che sufficiente per il battello che non pescava molto.

Alle cinque, quando già il Taimyr, che aveva accelerata la corsa, si trovava a sole cinquanta miglia dal polo, i naviganti incontrarono un gruppo d’isolotti pantanosi, circondati da ice­ bergs. Erano sei o sette, tutti piccoli, non misurando il maggiore più di ottocento metri di circonferenza ed abitati da un numero enorme di uccelli marini, i quali facevano un baccano indescrivibile.

In un pantano furono pure veduti tre orsi bianchi, ma erano troppo lontani per pensare ad inseguirli, e poi il battello non avrebbe forse trovata acqua bastante per avvicinarsi a quegli isolotti.

Alle undici l’ingegnere, il quale non aveva abbandonato la piattaforma un solo istante, segnalò verso il nord la cima d’una montagna che pareva dovesse avere una considerevole elevazione.

– Signor Orloff, – chiese con una viva emozione, – avete tenuto conto della via percorsa?

– Scrupolosamente – rispose il secondo.

– Quanto distiamo dal polo?…

– Ventisette miglia.

– Quanto credete che sia lontana quella vetta?

– Forse venticinque o ventisei.

– Il polo è là, adunque?…

– Sì, signor Nikirka.

– Continua il canale?

– Sempre.

– Acceleriamo la marcia.

Il Taimyr un istante dopo riprendeva la sua corsa ordinaria di quindici nodi all’ora. A destra ed a sinistra continuavano ad apparire bassifondi melmosi coperti di ghiacci arenati; dinanzi alla prora del battello però l’acqua non veniva meno.

I due cacciatori erano saliti sulla piattaforma e, come l’ingegnere, non staccavano gli sguardi da quella montagna che ingigantiva di momento in momento e che doveva servire

per modo di dire, di perno al nostro pianeta. Parevano entrambi commossi, come dovevano esserlo i comandanti del battello.

La montagna che pareva emergesse dalle acque di passo in passo che il battello s’avanzava verso il nord, sembrava un enorme pane di zucchero e l’illusione era perfetta poiché era coperto d’un candido manto dalla base alla cima ed i suoi fianchi apparivano perfettamente lisci ed inaccessibili.

Il sole che allora sfiorava l’orizzonte, colpendolo di traverso, lo faceva scintillare e tingeva la sommità d’una splendida tinta rosso-viva, come se lassù irrompessero delle lave ardenti. Alla mezzanotte sole undici miglia separavano il battello dalla montagna, la quale ormai mostrava la sua base che sembrava perfettamente circolare e che si vedeva circondata da ghiacci che i raggi del sole rendevano fiammeggianti.

L’ingegnere, in piedi, colle mani appoggiate alla cancellata della piattaforma, sembrava che a poco a poco si trasfigurasse. Una gioia intensa traspariva dal suo viso, mentre i suoi sguardi, che brillavano d’una strana luce, non si staccavano un solo istante dalla vetta della montagna, come se quella esercitasse su di lui un fascino misterioso.

Anche Orloff si dimenticava di scandagliare il fondo e rimaneva immobile per qualche minuto, cogli sguardi fissi sulla montagna giganteggiante fra un mare di luce porporina. Alle dodici e ventisette minuti il Taimyr s’arrestava sotto quel cono, urtandolo col tribordo con un tintinnìo metallico, che risuonò lungamente fra il profondo silenzio che regnava in quel punto, dove avrebbero dovuto riunirsi tutti i meridiani del globo.

L’ingegnere appoggiò ambe le mani su quella montagna, prima d’allora immacolata, vergine da qualsiasi contatto cogli uomini della terra, dicendo:

– Sei mia!…

Poi afferrando una bandiera azzurra, in mezzo alla quale campeggiava in lettere dorate il nome del Taimyr e che Orloff gli porgeva, piantò l’asta fra le nevi che coprivano le ripe, mentre i due cacciatori e l’equipaggio che era salito sulla

piattaforma si scoprivano il capo, gridando: – Urrah!… Urrah!… Urrah!…

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