Caccia agli ippopotami

Gli ippopotami sono gli animali più mostruosi dopo gli elefanti, superando per mole anche i rinoceronti che pure hanno una taglia gigantesca.
Essi sono molto diminuiti al giorno d’oggi in causa della caccia sfrenata che si fa a quei poveri anfibi per impadronirsi dei loro denti che danno un avorio finissimo, assai più pregiato di quello degli elefanti, ed anche per la carne la quale è assai eccellente.

Si trovano però ancora numerosi sui fiumi e sui laghi dell’Africa centrale e specialmente sui grandi corsi d’acqua del Congo.

Nel paese di Korosko ve n’erano moltissimi, e recavano dei danni considerevoli alle campagne, essendo avidi di canne da zucchero e di manioca, sicché di quando in quando gli abitanti erano costretti a fare delle battute per non vedersi rovinati i prodotti.

Non crediate però che la caccia a quegli anfibi sia cosa facile!… Anzi è pericolosa e non di rado parecchi cacciatori vi perdono la vita.
A vederli, quegli animalacci sembrano i più pacifici animali della creazione. Infatti, se non vengono inquietati, se ne vanno pacificamente pei fiumi, dormendo buona parte del giorno a fior d’acqua o triturando beatamente le radici, le canne e le piante acquatiche che trovano presso le rive.
Assaliti però, quella tranquillità sparisce per incanto e si difendono con estremo furore, caricando i cacciatori all’impazzata.

In terra non sono molto lesti, avendo un corpo massiccio, pesante sovente cinquemila chilogrammi; in acqua invece nuotano rapidamente e possono inseguire facilmente le barche e rovesciarle con un solo urto.
Pensate d’altronde che hanno una bocca enorme, armata di otto denti robusti, quattro dei quali lunghi perfino sessanta centimetri.

La caccia a questi anfibi si fa in diversi modi e, riesce quasi sempre. Il meno pericoloso consiste nello scavare delle profonde fosse presso i fiumi abitati dagli ippopotami e ricoperte d’una graticciata di canne e di terra.
Se l’animale mette i piedi sopra quei trabocchetti è perduto, poiché non potendo più risalire muore di fame o di sete, o viene ucciso a colpi di lancia.

Si caccia anche col fucile, tenendosi nascosti fra i rami d’un albero od in mezzo ad un cespuglio, ed aspettando l’occasione propizia per mandare una palla a buona destinazione.

Occorre però un gran sangue freddo ed una grande abilità, avendo gli ippopotami una pelle così spessa, da non venire forata dalle palle di fucile. Bisogna colpirli in un orecchio o sotto il ventre.
I negri di Korosko conoscevano pure parecchi modi, ma avendo Finfin, decisero di cacciare gli ippopotami col fucile, forse perché volevano provare l’abilità del loro generalissimo nel maneggio delle armi da fuoco.
Korosko però, sapendo quanto la caccia fosse pericolosa, gli diede cinque uomini scelti fra i migliori cacciatori perché lo aiutassero nella difficile impresa.

Decisa la caccia, una sera, poco prima del tramonto, Giovanni Finfin ed i suoi cinque compagni partivano dirigendosi verso il fiume, in un luogo però dove si sapeva che gli ippopotami abbondavano.

Ad una certa distanza li seguivano Korosko e gli ufficiali della sua casa ed i capi dei villaggi, volendo assistere anche loro a quella interessante partita di caccia.

Cominciava a spuntare la luna, quando Finfin ed i suoi negri giunsero in un luogo ove il fiume formava un gomito. Colà vi erano delle grosse piante e molti cespugli e non mancavano le canne da zucchero e delle piantagioni di maiz, vegetali così ricercati dagli ippopotami.

Mentre Korosko ed i suoi capi si nascondevano sugli alberi, per non correre il pericolo di venire sorpresi da qualche anfibio ferito o di ricevere per sbaglio qualche colpo di fucile, Finfin ed i cinque cacciatori s’erano coricati fra le piante che crescevano sulla riva, mantenendo il più scrupoloso silenzio.
Pel momento nessun animale si vedeva nuotare sul fiume, però qualcuno non doveva tardare a mostrarsi.

Già la sera innanzi uno era andato a saccheggiare quelle piantagioni e non essendo stato disturbato, con molta probabilità doveva ritornare per farsi una nuova scorpacciata di quei succulenti vegetali.

Era già trascorsa un’ora senza che alcun avvenimento venisse a turbare la calma che regnava sul fiume e già Finfin cominciava ad impazientirsi, quando si udì echeggiare uno strano grugnito, che pareva mandato da un porco e che subito si convertì in una specie di nitrito rauco.

– Che sia l’ippopotamo? – si chiese Finfin. – Non ho mai udito un simile grido. Credendo che l’animale fosse vicino, armò rapidamente la carabina e la puntò verso il fiume.

Una mano si posò tosto sulle sue spalle, e volgendosi vide uno dei cacciatori che gl’indicava l’alto corso del fiume.

Finfin comprese che l’animale era ancora assai lontano, forse un miglio.
Tornò a coricarsi ed attese pazientemente che giungesse a tiro.
Trascorse un’altra mezz’ora, poi alla luce della luna si vide comparire sul fiume una massa enorme, la quale si lasciava trasportare dalla corrente. — Diavolo!… — esclamò Finfin. – Che animalaccio! Ci vorrebbe un cannone per simili masse di carne.
Poco dopo, dietro al primo anfibio, se ne vide comparire un secondo. - Saranno maschio e femmina – pensò il giovane bretone. – Se riusciamo a ucciderli tutti e due i chikani avranno da mangiare a crepapelle.

I due mastodontici animali, giunti quasi di fronte alla riva occupata dai cacciatori, si misero a nuotare obliquamente, poi presero terra, aprendosi il passo fra le piante acquatiche.

Il maschio, riconoscibile per la sua maggior mole, salì lentamente la riva, con precauzione, muovendo le sue piccole orecchie per raccogliere i più lievi rumori, poi rassicurato dal silenzio che regnava in quel luogo, si mise a mangiare la canna da zucchero che trovava a portata delle sue mascelle.

Subito tre cacciatori s’alzarono senza far rumore e puntati i fucili, fecero una scarica quasi a bruciapelo.

Il grosso animale, colpito mortalmente, si rizzò quanto era lungo, poi ruzzolò pesantemente nel fiume, sollevando una gigantesca ondata.
La femmina, spaventata, fece un dietro fronte per riguadagnare il fiume, ma gli altri due cacciatori negri le sbarrarono il passo.

La povera bestia si fermò indecisa ed i due negri approfittarono per farle fuoco addosso. Sia che non avessero avuto il tempo di mirarla bene o che la paura facesse tremare le loro braccia, solamente una palla la ferì in fronte.
Furiosa pel dolore, invece di riguadagnare il fiume, si scagliò contro i cacciatori i quali fuggirono precipitosamente, prendendo un sentiero aperto fra le piante della foresta.

La bestia però correva rapida, quantunque fosse pesantissima e già stava per tagliare in due quei maldestri, quando si trovò dinanzi a Giovanni Finfin.
Il bravo giovanotto l’attese, mirandola con grande freddezza, poi fece fuoco.
L’animale s’arrestò di colpo, poi cadde sul fianco, rimanendo immobile, come fosse stato fulminato.

La palla del bretone gli era entrata in un orecchio attraversandogli il cervello, sicché la morte era stata istantanea.

Quel colpo superbo fu salutato da urla di gioia indescrivibili.
Korosko, i suoi ufficiali ed i suoi capi, entusiasmati pel coraggio dimostrato dal loro generalissimo, si affrettarono a lasciare i loro nascondigli per andarlo a complimentare.

Ai cacciatori furono distribuite delle zucche di vino di palma, poi i negri con dei corni avvertirono i soldati dell’accampamento del felice esito della caccia.
Poco dopo una banda di guerrieri, armati di asce, giunse presso la riva del fiume e si mise a sezionare a gran colpi quei due corpacci, dai quali si potevano trarre non meno di ottomila chilogrammi di carne eccellente.
La notte istessa Finfin potè gustare, in compagnia di Korosko e dei suoi ufficiali, una zampa d’ippopotamo cucinata al forno e non potè fare a meno di dichiararla squisita.

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