L’assassinio del visconte Le Hussière

Una confusione spaventevole regnava sulla tolda della galera. I marinai, appena Metiub aveva dato l’ordine di sgombrare e di salvarsi, si erano avventati contro le murate per giungere prima sulle imbarcazioni che erano state accostate sotto il tribordo del veliero e siccome tutti non potevano ad un tempo calarsi giù dai paranchi, avevano impegnata una lotta furibonda a pugni, a calci e anche a colpi di coltello.
Invano Metiub ed i suoi ufficiali avevano tentato di regolare la discesa nelle scialuppe. Più nessuno li ascoltava; la disciplina non regnava più a bordo della galera.
Papà Stake, che si era immaginato quello che doveva succedere e che voleva serbare ad ogni costo una scialuppa per la duchessa e pel signor Le Hussière, si era aggrappato ad un paranco e, spalleggiato da Perpignano, da Simone e dai greci, oppose una disperata resistenza.
— Lasciate questa barca alla signora, gaglioffi! — urlava. — Nessuno la prenderà! A me, signor Perpignano! Rompete i musi a questi birbanti!
Una banda di mussulmani si era rovesciata addosso ai greci ed ai veneziani, per impadronirsi della scialuppa, urlando ferocemente:
— Via di qui i giaurri! Buttiamoli in acqua!

Un turco si era gettato contro il mastro cercando di fargli lasciare il paranco. Papà Stake, senza nemmeno voltarsi, gli sferrò un calcio nel ventre e così terribile da farlo stramazzare sulla tolda mezzo accoppato.
Perpignano, trovata una scure appesa al bastingaggio, l’aveva alzata sulle teste degli altri, gridando minacciosamente:
— Indietro o vi spacco il cranio.

Anche i greci e Simone non rimanevano inoperosi. Tempestavano, con pugni e calci, i miscredenti ben lieti di approfittare di quella confusione per vendicarsi delle lunghe umiliazioni patite e come lavoravano! Metiub però, che ci teneva a salvare la duchessa, per imparare quel famoso colpo di spada, fu lesto ad intervenire, facendo sibilare la scimitarra sulle teste dei suoi marinai.
— Via di qua, miserabili! — tuonò, prendendo a piattonate i più vicini. — Devo ricondurre ad Haradja quella signora ed i cristiani e manterrò la promessa. Via o la mia lama berrà sangue mussulmano!
In quel momento la duchessa era comparsa sul ponte, con El-Kadur e seguita dal polacco e dal medico, i quali reggevano il visconte.
— Largo! — urlò l’arabo. — Prima la signora!

Mentre i greci e Perpignano, aiutati da Metiub, respingevano i turchi per aprire il passo alla duchessa, un drappello di marinai che cercavano di sottrarsi alla pioggia di tizzoni e di cenere che cadeva sulla tolda, si gettò fra i cristiani separandoli.
Il polacco, che non aveva ancora raggiunta la murata, fu travolto dai fuggiaschi e sospinto verso tribordo.

— Ecco il buon momento, — mormorò. — Maometto ed il diavolo mi aiutano.
Non scorgendo più nè la duchessa, nè i veneziani, nè i greci, che erano stretti contro la murata dai fuggiaschi, si volse verso il vecchio medico, dicendogli:
— Salvati e non pensare a me; ci penso io al ferito. Fa’ presto o non troverai posto nelle scialuppe.
Poi, sicuro di non essere osservato, passando sulla tolda nuvoloni di fumo scavalcò la murata di tribordo, e tenendo sempre stretto il visconte, che non aveva ancora ripresi i sensi, si lasciò cadere risolutamente in mare.
Sprofondò, sollevando un getto di spuma, e, quando ricomparve, era solo.
— Vadano a ripescarlo ora, — mormorò il miserabile. — D’altronde era ormai un uomo morto che nemmeno quell’imbecille di tobib avrebbe potuto salvare.
Quantunque indossasse una corazza piuttosto pesante ed avesse a fianco lo spadone polacco, si mise a nuotare vigorosamente lungo il bordo della galera, passando sotto la prora.
Cercava di raggiungere le scialuppe che si trovavano dall’altra parte e che forse in quel momento stavano per prendere il largo.
Un canotto montato da una mezza dozzina di mussulmani stava proprio allora staccandosi.
— A me, marinai! — gridò. — Non lasciate perire un capitano dei giannizzeri.

— Siamo già troppo carichi, — rispose una voce.

— Fermatevi, canaglie, o vi taglio gli orecchi. Ho ancora la spada al fianco!
— C’è un posto ancora, — disse un’altra voce. — Accosta, capitano. Il polacco, che doveva essere un buon nuotatore, con quattro bracciate raggiunse il canotto ed aiutato dai marinai fu levato dall’acqua.
— Dritti alla costa, — disse subito. — Avrete cinquanta piastre di regalo.

Si collocò a poppa, prese la barra del timone e la leggera imbarcazione prese subito il largo, dirigendosi verso l’isola che non era lontana più di cinque o sei miglia.
Passando accosto alla poppa, il polacco scorse la duchessa scendere lungo il paranco, sorretta da El-Kadur.
— Che gli altri brucino pure, — mormorò. — A me basta che si salvi lei. Voga! Non lasciamoci raggiungere o ci affonderanno.
La galera e la gagliotta bruciavano come due zolfanelli. Il fuoco, non più combattuto, guadagnava rapidamente, investendo le alberature.
Bruciavano ormai le vele ed i pennoni, coprendo le tolde di tizzoni fiammeggianti e di lembi di stracci infiammati.
Sulla tolda della nave da guerra la lotta continuava feroce, fra i turchi, i quali si disputavano accanitamente le scialuppe che ancora rimanevano e che non potevano bastare a tutti.
Di quando in quando degli uomini cadevano o forse venivano precipitati in mare ed urla spaventevoli s’alzavano in mezzo alle ondate di fumo e alle lingue di fuoco.

Quando il vento abbatteva quelle cortine fiammeggianti, si vedevano correre sulle murate, come spettri, illuminati da bagliori d’inferno, file di marinai che avevano le vesti infiammate.
Un vecchio mastro, dalla lunga barba bianca, ritto sulla crocetta dell’albero maestro che ardeva come una immane torcia, pallido come un cadavere, cogli occhi dilatati da una improvvisa pazzia e fissi sulle fiamme, gesticolava, ripetendo memorabili parole di Selim I:
— Ecco il soffio ardente delle mie vittime! Io sento che distruggerà l’Islam, il mio serraglio e me pure!
Il polacco, in piedi sull’ultimo banco di poppa, con una mano sulla barra del timone, guardava spaventato quella scena terribile, mentre i turchi arrancavano disperatamente.
La galera e la gagliotta erano ormai tutte in fiamme, dalla prora alla poppa, dalla cala alle crocette degli alberi.
I pennoni cadevano con immenso fracasso, storpiando od ammazzando coloro che erano ancora a bordo della grossa nave e che non si erano decisi a gettarsi in acqua; le murate cadevano, i vetri dei sabordi di poppa scoppiavano, i pezzi delle batterie rovinavano in mare attraverso i corbetti ed il fasciame ormai consunto ed in mezzo a quell’inferno, gli ultimi superstiti ululavano spaventosamente accrescendo l’orrore di quella notte.
Tutte le scialuppe, già cariche quasi da affondare, avevano preso frettolosamente il largo, senza preoccuparsi dei marinai che erano rimasti a bordo e che cadevano a drappelli, soffocati dal fumo o sotto una tempesta di tizzoni che piovevano dalle alberature.

Il polacco, che le osservava attentamente, aveva subito scorta quella montata dalla duchessa e dai cristiani ed un’altra sulla quale si era messo in salvo Metiub.
— Sarei stato più contento se quel maledetto turco fosse stato divorato da quelle fiammate — mormorò, aggrottando la fronte. — Quell’uomo può guastare i miei affari. Bah! Un buon colpo di pugnale dato a tradimento, nel mezzo delle spalle, sbarazza sovente gli importuni. E poi chissà, — aggiunse — potrei fare di lui un alleato prezioso e anche…
Una detonazione spaventevole che si ripercosse lungamente sul mare, spaventando gli equipaggi delle scialuppe lo interruppe.
Il deposito delle munizioni della gagliotta aveva preso fuoco ed era scoppiato, smembrando di colpo il piccolo veliero e facendo saltare l’alberatura.
Per alcuni istanti un fitto nuvolone coperse ogni cosa, anche la galera che era prossima, poi si vide lo scafo affondare rapidamente, colla prora in aria, che mostrava il suo bompresso a cui erano ancora appesi i fiocchi.
— L’altra non tarderà a seguirla, — borbottò il polacco. — Su, animo, marinai, date dentro ai remi. Fra mezz’ora saremo al sicuro sulla spiaggia.
I mussulmani che componevano l’equipaggio del canotto non avevano certo bisogno di essere incoraggiati.
Temendo di venire raggiunti dai loro compagni che si vedevano nuotare ancora in buon numero nelle acque della galera, arrancavano disperatamente tendendo i muscoli e puntando i piedi contro i banchi.

La leggera imbarcazione volava sulle onde, precedendo sempre tutte le altre, compresa quella montata dalla duchessa, quantunque i greci lavorassero vigorosamente per giungere a terra prima dei mussulmani, per cercare di darsela a gambe.
Verso le tre del mattino, nel momento in cui la galera stava per affondare, il polacco ed i marinai del canotto toccavano la spiaggia, in un luogo ove s’innalzavano a breve distanza delle alte rupi, che pareva non permettessero di attraversarle essendo tagliate quasi a picco.
— Prepariamoci a sostenere una parte terribile, — disse l’avventuriero, il quale, malgrado tutta la sua audacia, appariva pallidissimo. — Come la duchessa accoglierà la notizia della scomparsa del visconte? Mi crederà?
Le altre scialuppe stavano per arrivare a breve distanza le une dalle altre.
Quella della duchessa era sempre la prima; un’altra, montata da Metiub e da una dozzina e mezza di marinai, la seguiva da presso. Altre quattro, tutte molto cariche, venivano dopo.
— Se il mare le avesse inghiottite tutte, fuorché quella della duchessa, sarei stato più contento, — mormorò Laczinki. — Non so come nè quando potrò liberarmi da queste mignatte.
La scialuppa montata dai cristiani si arenò a venti passi. L’avventuriero fu pronto ad accorrere, assumendo un aspetto desolato e stringendosi addosso i panni che grondavano ancora acqua.
Eleonora, che era stata la prima a scendere, intuì una disgrazia perchè l’avventuriero la vide subito diventare smorta.

— Ed il visconte? — chiese, correndogli incontro.

— Come! — esclamò il polacco, fingendo la più alta maraviglia. — Non l’hanno calato nella vostra scialuppa?
— Chi?

— I due turchi ed il medico cui lo avevo affidato nel momento che quattro o cinque mascalzoni mi avevano assalito per strapparmelo di mano e gettarlo in mare.
— Dio! — esclamò la duchessa, portandosi una mano al cuore e vacillando. — Non era con voi?
— Sì, signora, ma ho dovuto difendermi per impedire a quei miserabili di ucciderlo e come vedete dallo stato miserando delle mie vesti, hanno avuto il sopravvento su di me e mi hanno gettato giù dalla galera.
— È morto allora! — urlò la disgraziata donna, cadendo fra le braccia di
Perpignano, che era subito accorso con papà Stake.

— Aspettiamo le altre scialuppe, signora, — disse il polacco. — Forse l’avranno calato in quella montata da Metiub.
La duchessa non lo udiva più. La terribile notizia pareva che l’avesse uccisa sul colpo, poichè non dava ormai più segno di vita.
— La signora muore! — gridò Perpignano, spaventato.

— Non sarà che uno svenimento, — disse papà Stake. — Sfido io, con questa brutta nuova.
— Portatela nella scialuppa, presto, tenente; aiutatelo, El-Kadur.

L’arabo prese la duchessa, sollevandola come se fosse una bambina e corse verso l’imbarcazione, seguito dal veneziano.

Papà Stake era rimasto dinanzi al polacco, guardandolo con occhi che non promettevano nulla di buono.
— Udiamo, capitano, — gli disse coi denti stretti. — Dove avete lasciato il visconte?
— L’ho già detto, — rispose l’avventuriero. — Lo avevo affidato al medico ed a due marinai che mi erano devoti.
— E questo medico dov’è?

— Suppongo che si troverà in una delle quattro scialuppe che seguono quella di Metiub.
— Perchè l’avete abbandonato? El-Kadur mi ha detto che lo portavate voi, fra le vostre braccia.
— Alcuni fanatici si erano gettati su di me per strapparmelo dalle mani e gettarlo in mare. Tu, mastro e vecchio, devi ben sapere che i mussulmani odiano i cristiani.
— E che cosa avete fatto allora?

L’avventuriero aggrottò la fronte e posò la destra sulla guardia del suo spadone, con un gesto minaccioso.
— Sembra, mastro, che tu mi interroghi, come se ti avessero creato, d’un colpo solo, un giudice dell’inquisizione, — disse.
Papà Stake strinse le poderose mani, poi, fissando l’avventuriero, rispose con voce rauca:
— Mastro o giudice, io voglio sapere da voi, come è scomparso il signor
Le Hussière e vivaddio dovete dirmelo.

Il polacco stava per mandarlo forse a casa del diavolo, poi, riflettendo, s’accorse subito che non gli tornava conto inimicarsi con quell’uomo e far nascere dei sospetti.
— Te l’ho già detto, mastro, — rispose. — D’altronde noi non siamo ancora sicuri che sia rimasto sulla galera o che l’abbiano assassinato.
Mi ricordo che, mentre mi gettavano in mare, udii il tobib gridare: Guai a chi tocca questo ferito: esso appartiene alla nipote del Pascià.
— Devo credervi?

— Non vedi che le mie vesti sono inzuppate d’acqua.

— Bene, aspetteremo le scialuppe.

— E se il visconte, nel trambusto fosse stato ucciso? — chiese il polacco.
— Cercherò l’assassino o gli assassini e avranno da fare con me. Papà Stake è vecchio, ma ha dei muscoli da rompere le costole anche ad un orso della Polonia.
L’avventuriero finse di non udirlo e volse verso la spiaggia, sulla quale stavano in quel momento sbarcando i naufraghi. Metiub giungeva in buon punto per sfuggire all’imbarazzante dialogo.
— Siete tutti salvi, voi, cristiani? — chiese, rivolgendosi al vecchio marinaio.
— Sì, tutti, meno uno, quello che più ci premeva rispose papà Stake.

— Chi manca? — chiese il turco con ansietà. — La signora forse?

— Il signor Le Hussière, — rispose il polacco.

Metiub aggrottò la fronte e fissò a lungo il rinnegato.

— Come! Non l’avevate voi fra le braccia? — chiese.

— È vero, ma i vostri uomini me lo hanno strappato, hanno gettato me in mare e probabilmente anche il ferito.
Un’imprecazione sfuggì dalle labbra del mussulmano.

— Li avete riconosciuti, capitano, quei marinai! — chiese. —
Additatemeli e li faccio giustiziare subito.

— Non saprei ricordarli e non voglio correre il rischio di far uccidere degli innocenti. Non avevo il cervello a posto in quel momento, colla confusione che regnava sulla galera.
E poi non avrei avuto il tempo di guardarli un po’ attentamente, perchè fui sollevato da otto o dieci braccia e scaraventato sopra il bordo.
— Io avevo promesso ad Haradja di ricondurli vivi tutti e anche alla cristiana avevo data la mia parola che avrei salvato il signor Le Hussière.
Tuoni della Mecca! Eccomi in un bell’impiccio! Corro il pericolo di non imparare più mai quel famoso colpo di spada.
— Che cosa pensate di fare ora, capitano? — chiese il polacco.

— Di accamparci qui e di mandare degli uomini a Hussif per avere delle barche.
Il vecchio marinaio che aveva assistito al colloquio, ammiccò gli occhi guardando il polacco, poi volse le spalle e si allontanò mormorando:
— Sì, aspetta, imbecille d’un turco, di ricondurci dalla nipote del pascià. Non saremo così sciocchi di non alzar le vele o meglio i talloni e di

correre dal Leone di Damasco. Penserà quel bravo giovane a levarci da tutti questi impicci.

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