Capitolo VIII IL TRADIMENTO

La notte non accennava di essere cosí limpida e cosí tranquilla come quella precedente.

 Era scesa sull’oceano una nuvolaglia piuttosto fitta, la quale, subito dopo il tramonto del sole, si era dispersa pel cielo oscurando gli astri e coprendo il quarto di luna.

 Ma pel momento nessun indizio vi era che avesse a scoppiare qualche tempesta.

 Mendoza, accesa la sua pipa, si era seduto dietro l’abitacolo, nel posto occupato durante il giorno dal fiammingo, e che gli permetteva di sorvegliare attentamente la bussola.

 Temeva che i marinai approfittassero di quell’oscurità per fare rotta falsa e ritornare verso la costa americana e forse non aveva torto di sospettare, poiché si era già accorto che i due uomini rimasti a guardia della velatura, avevano già piú volte tentato un colpo di sorpresa per virare di bordo.

 Erano trascorse un paio d’ore senza che il basco, il quale raddoppiava la sua vigilanza, avesse notato nulla di straordinario, quando guardando verso prora, gli apparve di scorgere il fiammingo in segreto colloquio col capitano che da poco era salito in coperta.

 Sospettoso per carattere, il basco intuí subito che qualche cosa si doveva combinare fra quei due, e se ne convinse sempre piú quando li vide sparire entro il boccaporto di prora.

 – Amico Mendoza, apri quattro invece di due occhi, – si disse. – Qui gatta ci cova.

 Si alzò, vuotò la pipa, diede un ultimo sguardo all’oceano, poi disse forte:

 – Buona notte, timoniere: vado anch’io ad allungare un po’ le gambe.

 Poi si lasciò cader giú dal boccaporto di poppa, ma invece di entrare nel quadro dove russavano il guascone, Buttafuoco ed il preteso figlio del grande di Spagna, aprí silenziosamente la porta che comunicava colla stiva, la quale, come abbiamo detto, era ingombra di botti vuote.

 Fu subito colpito dalla luce proiettata da una lanterna la quale si avanzava lentamente seguendo la corsia di babordo.

 – Che cosa si viene a fare qui a quest’ora? – si chiese con inquietudine.

 Si gettò verso la corsia opposta confondendosi fra le botti, e scorse ben presto le due persone che seguivano la lanterna: erano il capitano ed il fiammingo.

 – Che abbiano nascosto qui qualche caratello di vino e che vengano a berselo senza invitarci? – mormorò il basco. – Simili bricconate noi non le permetteremo, e se c’è da bere si berrà in compagnia.

 Si rannicchiò in un angolo oscuro e stette ad osservare.

 I due uomini si avanzarono fino quasi verso il centro della stiva, poi sollevarono due grossi botti gettandole sopra le vicine e si cacciarono dentro il vano rimasto.

 – È qui, – disse il capitano, la cui voce giungeva distintamente fino a Mendoza, data la sonorità della stiva.

 – Molta polfere? – aveva chiesto subito mastro Arnoldo.

 – Cinquanta libbre.

 – Basteranno?

 – Non rimarrà intatta una tavola.

 – E nemmeno uno di quei pirpanti?

 – Spero di no.

 – Afete la miccia?

 – È già a posto.

 – Quanto durare?

 – Dieci minuti almeno.

 – Afremo tempo di scappare colla scialuppa?

 – Non avremo che da ritirare la fune poiché è sempre a rimorchio della caravella. Vi ho fatto mettere già dentro dei viveri e dei remi.

 – Date fuoco.

 Mendoza ne sapeva piú del bisogno. Spaventato, colla fronte madida di freddo sudore, retrocesse sollecitamente verso il quadro e si precipitò dentro la cabina occupata dal guascone e da Buttafuoco.

 – Su, su, in piedi subito, senza perdere un istante, – disse, scuotendoli vigorosamente.

 – Ci si abborda? – chiese il guascone, balzando lestamente giú dal lettuccio.

 – Seguitemi senza far rumore e non mi chiedete spiegazioni, – rispose Mendoza. – Venite, signor Buttafuoco, se vi preme la pelle.

 A poppa, come in tutte le caravelle e anche nei galeoni, s’apriva un ampio sabordo, il quale serviva anche talvolta a piazzarvi della piccola artiglieria.

 Mendoza spinse i suoi amici verso quello, poi disse:

 – Calatevi in mare senza esitare.

 Buttafuoco ed il guascone, impressionati dalla voce alterata del basco, non chiesero nessuna spiegazione. Si assicurarono le spade, scavalcarono il sabordo e si lasciarono cadere in mezzo alla scia spumeggiante.

 Un secondo dopo anche Mendoza era in acqua.

 In quel momento la scialuppa, la quale seguiva la caravella attaccata con una funicella d’una trentina di metri, giungeva.

 Mendoza e don Barrejo l’abbordarono da una parte e Buttafuoco, che era piú alto e piú pesante, dall’altra parte, poi non senza sforzo vi si issarono.

 – Taglia la fune!… – comandò il basco, volgendosi a don Barrejo.

 Il guascone, comprendendo che stava per accadere qualche cosa di terribile, obbedí subito.

 – Ai remi ora!…Arrancate forte se vi preme salvarvi!…

 La scialuppa si mise in corsa in senso inverso della rotta tenuta dalla caravella. Aveva appena percorsi cinquanta o sessanta metri, quando un urlo echeggiò sul piccolo veliero.

 – Maledizione!… La scialuppa è scomparsa!… Siamo perduti!…

 Si udirono delle urla, delle bestemmie, poi un gran lampo squarciò l’oscurità, seguito da un rombo formidabile e da una tempesta di rottami.

 La caravella era saltata in aria col suo disgraziato equipaggio, con compare Pfiffero ed il pretesto figlio del grande di Spagna.

 Per alcuni istanti sopra il gorgo aperto dallo scafo sventrato dall’esplosione, si distese una nuvolaglia di fumo rossastro, poi la brezza notturna lo disperse.

 – Amici, – disse Mendoza, con voce commossa, asciugandosi il sudore che gli copriva la fronte, malgrado il bagno, – ringraziate Iddio, se siete ancora cristiani, poiché a lui solo dovete la vostra salvezza.

 – Io mi domando ancora che cosa sia successo, – disse don Barrejo, il quale pareva istupidito. – Che cos’è che è saltato?

 – La caravella, e se tardavamo due o tre minuti saltavamo anche noi.

 – Aveva preso fuoco? – chiese il bucaniere, il quale non riusciva ancora a raccapezzarsi di quel terribile colpo di scena.

 – Cioè, avevano dato fuoco ad un barile di cinquanta libbre di polvere per mandare noi in aria, – rispose il basco. – Per una fortunata combinazione me ne sono accorto a tempo e la scialuppa, che doveva servire a loro, è rimasta invece nelle nostri mani.

 – Avevano giurata la nostra perdita?

 – Il capitano insieme a compare Pfiffero e probabilmente d’accordo coll’equipaggio, – rispose Mendoza.

 – Amici, – disse Buttafuoco, – ritorniamo laggiú. Vi può essere qualche uomo da raccogliere.

 – Lasciate che i pesci-cani se lo mangino, – disse il feroce guascone.

 – No, – rispose Buttafuoco, afferrando un remo. – Queste inumanità non le permetterò mai.

 “Sono stati abbastanza puniti del loro infame tradimento.”

 – È giusto, – disse Mendoza.

 Presero i remi e si diressero rapidamente verso il luogo ove era scomparsa la caravella, sormontando, non senza difficoltà, l’onda prodotta dal gorgo che stava distendendosi all’intorno con un orribile rumoreggiare.

 Lo scafo, aperto dall’esplosione, era affondato. Alla superficie rimanevano invece moltissimi rottami: pezzi d’alberi, pennoni che reggevano ancora le loro vele latine distese sull’acqua, casse, botti, pezzi di murata ed avanzi del quadro e del castello di prora.

 L’esplosione doveva essere stata formidabile, poiché non vi era nessun attrezzo intero.

 La scialuppa passò in mezzo ai rottami, soffermandosi qua e là con la speranza di raccogliere ancora qualche superstite.

 Nessun essere vivente galleggiava. Scorsero invece un troncone umano appartenente ad un meticcio, il quale si teneva ancora col le braccia disperatamente aggrappato ad un’antenna. Il disgraziato era stato tagliato a metà e non aspettava che un pescecane per perdere anche quanto rimaneva del suo corpo.

 – Sono scomparsi tutti, – disse il guascone. – Anche compare Pfiffero, quantunque io in fondo fossi convinto che avesse qualche legame di parentela con messer Berlicche, se n’è andato in un mondo migliore.

 – Era però il piú colpevole, poiché deve essere stato lui a preparare il tradimento che doveva mandarci a cercare il tesoro del Gran Cacico nel regno delle tenebre eterne.

 – Qui non vi è piú da far nulla, – disse Buttafuoco. – Non ci rimane che di puntare su Taroga, se potremo giungervi.

 – E perché no, signore? – chiese il basco. – La scialuppa è solida, abbiamo dei viveri e nulla dobbiamo temere da parte dei nostri amici filibustieri.

 – Siamo lontani ancora? – chiese il guascone.

 – Non vi potremo giungere prima di quarant’otto ore, – rispose Mendoza. – Dobbiamo contare solamente sui remi ed avremo da faticare un poco a compiere la traversata.

 “Fortunatamente il tempo finora si mantiene buono.”

 – Guarda che cosa hanno messo qui dietro i marinai della caravella, – disse Buttafuoco.

 – Vedo dei pacchi ed un barile.

 Mendoza ed il guascone fecero rapidamente l’inventario di quanto era stato imbarcato, e constatarono che il capitano barbuto aveva fatto le cose per bene, poiché il barile era pieno d’acqua, una cassa era colma di biscotti ed i pacchi contenevano dei formaggi e dei prosciutti salati. Non vi era certamente l’abbondanza, ma non vi era nemmeno il pericolo di morire di fame, poiché le provviste erano state fatte per sette uomini, mentre gli avventurieri non erano che tre.

 – Orsú, non possiamo lagnarci, – disse Mendoza. – Quei poveri diavoli avevano certamente contato di riguadagnare la costa americana in un paio di giorni.

 “Noi avremo provviste sufficienti per una settimana, anche senza metterci a razione. Si parte?”

 – Partiamo, – disse Buttafuoco sedendosi a poppa.

 Il guascone si mise a mezza barca, il basco si sedette sulla panca di prora e la scialuppa abbandonò lentamente quel tratto di mare cosparso di rottami, dirigendosi verso ponente.

 Fra i viveri il basco aveva trovato, ben avvolta in uno straccio, una bussola, e se l’era subito appropriata per mantenere la direzione, almeno approssimativa. Per tre o quattro ore la scialuppa si avanzò sotto i colpi vigorosi del guascone e del basco, sormontando abbastanza facilmente le ondate che di quando in quando giungevano dal largo; poi i due uomini dovettero cedere.

 – Preferisco dare dei colpi di draghinassa, – disse il guascone, sbarazzandosi della giubba ed anche del giustacuore.

 – Ed io colpi di spada, – disse il basco. – Sono diventato un pessimo marinaio.

 – T’inganni, compare: sei solamente invecchiato.

 – Vorrei però che tu ti gettassi davanti alla mia spada.

 –Tonnerre !… La draghinassa d’un guascone non attraverserà mai il mare di Biscaglia per ferire i fratelli piú o meno prossimi, – disse con voce grave.

 – O per non prenderle? – disse il basco, scherzando.

 – I guasconi cadono sul campo dell’onore, senza prenderle.

 – Sicché nemmeno quando sono stati accoppati non le hanno toccate secche, – disse Buttafuoco.

 – No, signore, perché quando un uomo è morto non confesserà mai di essersi fatto ammazzare da un altro spadaccino piú abile di lui.

 “Almeno cosí si pensa nella grande Guascogna.”

 – Un paese che non vale nemmeno la Biscaglia e che è solamente un piccolo dipartimento francese!

 – Che cosa importa il paese se siamo grandi noi? E poi, vedi, mio caro basco…

 Un urto violentissimo, che fece cappeggiare la scialuppa da babordo a tribordo, fino quasi ad imbarcare dell’acqua, lo interruppe.

 – Abbiamo urtato? – disse Buttafuoco, balzando in piedi.

 – E contro chi, signore? – chiese il basco. – Non vi sono scoglietti da queste parti.

 – Contro qualche rottame della caravella, amico Mendoza.

 – Eh, siamo ben lontani.

 Un altro urto avvenne in quel momento, e fu cosí improvviso, da mandare a gambe levate il guascone.

 –Tonnerre !… – gridò, aggrappandosi al banco per non cadere in acqua. – È il diavolo del Pacifico che giuoca con noi?

 Mendoza si era curvato sull’acqua ed osservava attentamente.

 Dapprima non vide nulla, ma dopo qualche istante scorse delle grosse strisce fosforescenti che correvano in tutte le direzioni, descrivendo dei fulmini zig-zag.

 – Capperi!… – esclamò. – Ora so chi sono i disturbatori della nostra quiete.

 Poi volgendosi verso il guascone, il quale si era rimesso già in equilibrio, gli disse:

 – Ecco una bella occasione per provare il filo della tua draghinassa e la robustezza del tuo braccio.

 – Si tratta di menare colpi? – gridò don Barrejo, levando subito lo spadone. – Non

 chiedo di meglio.

 – Contro chi? – domandò Buttafuoco.

 Siamo caduti in mezzo ad una banda di pesci-martello, signore, – rispose il basco.

 – Che riescano a rovesciare la scialuppa?

 – Non sono grossi come icharcharias , tuttavia misurano anche essi quattro o cinque metri ed hanno certe bocche da far venir la pelle d’oca solamente a vederle.

 – L’affare è dunque serio, – disse don Barrejo.

 – Forse piú grave di quello che tu credi, poiché la nostra scialuppa non è niente affatto pesante ed il suo fasciame è cosí avariato che potrebbe cedere sotto un poderoso colpo di coda.

 – Scommetterei qualunque cosa che è l’anima di compare Pfiffero che ce li ha mandati per prendersi la sua rivincita.

 Malgrado la gravità della situazione, Buttafuoco e Mendoza non poterono frenare un risata.

 – Non c’è da ridere, – disse il burlone. – Ve l’avevo sempre detto che quel Pfiffero doveva essere qualche parente del diavolo.

 Ohé!…Volete buttarci all’aria? Pensate che io ho le gambe troppo lunghe per mantenermi in equilibrio su questa carcassa e che non sono mai stato marinaio.

 Un terzo urto aveva gettata la scialuppa da un lato facendola nuovamente piegare fino al livello d’acqua. Guai se in quel momento forse giunta l’eterna ondata del pacifico, la quale per fortuna si riproduce ad intervalli abbastanza lunghi.

 – Fuori le spade, amici, e diamo battaglia, se non volete servire da cena a questi dannati squali, – disse Mendoza.

 – Ora li punisco io questi insolenti, – rispose il guascone.

 – Bada di non cadere in acqua, poiché allora nessuno certo ti salverebbe, nemmeno la tua draghinassa.

 “Dobbiamo avere intorno a noi una decina di quei mostri.”

 – Dieci colpi di spada e tutto sarà finito, – disse il guascone.

 Si sedettero sui banchi disponendosi in modo da equilibrare il meglio che era possibile la scialuppa e cominciarono a menar colpi all’impazzata a babordo ed a tribordo.

 I pesci-martello però pareva che non avessero, almeno pel momento, alcun desiderio di provare il filo e le punte delle spade, poiché si mantenevano ostinatamente sommersi. Solamente di quando in quando qualcuno, appena segnalato da una rapidissima scia fosforescente, s’avventava contro la scialuppa, vi cozzava la grossa e robusta testa foggiata a martello e passava subito dall’altra parte della chiglia senza dar tempo ai tre spadaccini di colpirlo.

 – Che battaglia è questa? – chiese don Barrejo, dopo d’aver menato inutilmente una trentina di colpi di draghinassa senza aver ottenuto altro risultato che di spruzzare i suoi compagni. – Non si combatte cosí in Guascogna.

 – Manda loro un cartello di sfida e pregali di presentarsi uno per volta, – disse Mendoza.

 – Non ho potuto ancora vedere una di quelle bestiacce.

 – L’aurora è vicina e cosí avrai l’occasione di ammirarli.

 – È vero che sono bruttissimi?

 – Ma no, sono anzi carini; con quel loro martellaccio fornito alle estremità di due occhi che ti mettono indosso il malessere al solo vederli…

 – E il chiami carini, birbante!… Ah!… Eccone uno che arriva!… Se ti prendo ti taglio in due!…

 Una striscia fosforescente si avvicinava con una rapidità fulminea, dirigendosi verso la scialuppa.

 Don Barrejo afferrò la draghinassa a due mani e tirò giú una botta capace di spaccare anche un macigno.

 La larga lama questa volta non cadde nel vuoto e colpí sul dorso il pesce-martello, tagliandogli nel tempo stesso le pinne dorsali.

 Lo squalo si rovesciò prontamente sul dorso e si avventò contro il bordo della scialuppa, cercando di addentarlo.

 –Tonnerre !… Se è brutto!… – gridò don Barrejo. – E Mendoza li chiamava carini questi mostri!…

 La draghinassa piombò sul muso del terribile squalo spaccandoglielo mentre Mendoza e Buttafuoco gli cacciavano nei fianchi le loro spade, urlando:

 – Prendi, birbante!…

 – Gusta questa, canaglia!…

 Lo squalo fece un balzo, alzandosi quasi a metà fuori dall’acqua, poi scomparve nella profondità dell’oceano.

 – Ecco uno che va a trovare l’ospedale dei pesci, ammesso che ve ne sia qualcuno in fondo al mare, – disse don Barrejo.

 – Gliele abbiamo date, finalmente, – aggiunse Mendoza. – Ero stanco di forare inutilmente l’acqua.

 – Questo si chiama battagliare, è vero, basco? Che colpi che danno i guasconi, eh?

 – E che stoccate danno i baschi, – rispose Mendoza. – Devo avergli trapassato il cuore di colpo.

 – Allora è inutile che vada all’ospedale.

 – Chiacchierate troppo, voi, – disse Buttafuoco. – Non vedete che i compagni del ferito montano all’assalto?

 – E noi siamo pronti a riceverli, è vero, Mendoza? – gridò il guascone.

 – Sempre, – rispose il basco.

 Delle linee fosforescenti s’incrociavano attorno alla scialuppa, stringendosi sempre piú. I pesci-martello accoverano a vendicare il compagno.

 – Aprite gli occhi!… – gridò Mendoza, – e saldi in gambe!…

 La scialuppa, urtata da tutte le parti, trabalzava disordinatamente come se l’oceano, tutto d’un tratto, fosse diventato tempestoso.

 I mostri la investivano con furore, avventando dei colpi di coda che potevano sfondare il vecchio fasciame, come aveva detto il basco, poi passavano sotto la chiglia e cercavano di alzarla spingendosi a galla.

 Fortunatamente il peso costituito dai tre avventurieri, dal barile pieno d’acqua e dalle provviste, era abbastanza considerevole, quindi vi era ben poca probabilità che riuscissero nel loro intento di gettarla colla chiglia in aria.

 Buttafuoco, Mendoza ed il guascone, non poco impressionati dal simultaneo attacco di tutti quei mostri, si facevano in dodici per menare botte furiose, le quali non cadevano sempre nel vuoto. Era la draghinassa specialmente che faceva i piú bei colpi, spaccando quei brutti martellacci.

 Quell’assalto durò dieci buoni minuti, poi gli squali parvero averne abbastanza di quella grandine di stoccate che apriva dei larghi buchi sui loro dorsi, poiché finalmente si decisero ad allontanarsi, pur mantenendosi sempre in vista.

 – Non sono battaglie, queste, guascone? – chiese il basco, asciugando, su uno straccio, la sua spada grondante di sangue.

 – Non dico di no, – rispose don Barrejo, tergendosi il sudore che gli colava dalla fronte. – Però preferisco sempre quelle che si combattono in terra.

 “Almeno si guardano i nemici in viso e poi si hanno i piedi piú fermi.

 “Che siano persuasi che coi guasconi e coi i baschi non c’è da guadagnare nessuna cena?”

 – Si dice che quei mostri siano molti testardi, amico, e non sarei sorpreso se alla prima luce del giorno ritornassero all’attacco.

 – Se provassimo ad allontanarci? disse Buttafuoco.

 – Era quello che volevo proporvi, signore. Lasciamo che Barrejo si riposi un po’ e facciamo lavorare noi i remi.

 – Anzi io vi guarderò, corpo d’un satanello, – rispose il guascone. – Ho incominciato a provarci un po’ di gusto anche alle battaglie marittime.

 Buttafuoco ed il basco presero i remi e si misero ad arrancare, colla prora sempre volta a ponente, cercando di passare di fianco alla torma famelica.

 Infatti per un po’ vi riuscirono, ma poi dovettero constatare, con loro poco piacere, che gli squali organizzavano la caccia, decisi, a quanto pareva, a guadagnarsi la prima colazione giacché avevano perduta la cena.

 Quando il sole, dopo una brevissima aurora, s’alzò risplendente sull’oceano, facendo scintillare le acque di miriadi di pagliuzze d’oro, i pesci-martello, che durante la notte si erano limitati a scortare la scialuppa, tenendosi ad una certa distanza, tornarono a mostrare delle intenzioni estremamente bellicose che non garbavano piú nemmeno al battagliero don Barrejo.

 Mendoza non si era sbagliato sul loro numero. Erano proprio nove o dieci, tutti lunghi dai quattro ai cinque metri, i quali si avanzavano con dei ridicoli movimenti, che in altre occasioni avrebbero strappate delle rise, poiché martellavano l’acqua a destra ed a sinistra, sollevando alti sprazzi di candidissima schiuma.

 Di quando in quando si arrestavano come per prendere lena, rimontavano alla superficie per un buon terzo della loro lunghezza e mostravano le loro enormi bocche semi-circolari, irte di denti e situate là dove avrebbe dovuto trovarsi il collo, ciò che doveva rendere un po’ difficile, a quei mostri, l’afferrare di colpo la preda.

 – È un piccolo esercito che si prepara a darci valorosamente un nuovo attacco, – disse don Barrejo, il quale li osservava piú con curiosità che con vera apprensione. – Da buon guascone io francamente li ammiro.

 – Perché desiderano mangiare le tue magre gambe? Bella colazione che offriresti tu! – esclamò Mendoza. – Fossero quelle del signor Buttafuoco!…

 – Io spero che rimarranno col desiderio in gola, – rispose don Barrejo –Tonnerre !… La mia draghinassa è sempre pronta, e poi sai che cosa si dice?

 – Se non ti spieghi non posso indovinare.

 – Che la carne dei guasconi è piú amara di quella degli altri.

 – Perché siete piú biliosi, diavolo!…

 – Allora daranno la preferenza alla tue bistecche ed a quelle del Signor Buttafuoco e risparmieranno le mie gambe, intorno alle quali d’altronde, troverebbero delle ben magre polpe.

 “Ah!… Eccoli!… Mano alle spade, signori miei, e cerchiamo di far onore alla Guascogna, alla Bassa Loira ed alla Biscaglia.”

 – Coi pesci!… – esclamò Buttafuoco.

 – Non sono meno pericolosi degli uomini, signore.

 – Questo è vero, però sono certo che non apprezzeranno affatto il nostro valore.

 La torma furibonda si scagliava allora all’attacco in linea serrata, non cercando piú di tenersi sott’acqua.

 Reclamava imperiosamente la sua colazione con certi rauchi gorgoglii, che certi momenti rassomigliavano al tuono udito ad una grandissima distanza.

 I tre avventurieri, dopo d’aver trasportato rapidamente a prora il barile, la cassa ed i viveri, per non squilibrare la scialuppa, si radunarono intorno alla poppa e cominciarono animosamente la lotta, incoraggiandosi a vicenda con altissime grida.

 – Avanti la Guascogna!…

 – Sotto la Bassa Loira!…

 – Picchia, Biscaglia!…

 Il primo pesce martello che giunse sotto la poppa e che tentò di addentare l’orlo del fasciame coi suoi denti duri come l’acciaio, non ebbe fortuna, poiché il bucaniere fu pronto ad immergergli nella bocca spalancata la sua spada inchiodandogli la lingua contro il palato.

 Il povero squalo fece un capitombolo e si lasciò andare a picco fra un cerchio di sangue.

 Anche al secondo, che si slanciò all’assalto con grande impeto, tentando di cozzare contro la scialuppa colla sua testaccia, non andò meglio.

 Aveva avuto il torto di presentarsi al guascone, e vi potete immaginare come il terribile spadaccino picchiasse sodo.

 Vlan!… Vlan!… Due colpi di draghinassa ben assestati e le due estremità del martello cadono interamente tagliate.

 Il povero squalo, cosí spaventosamente mutilato, si arrestò un momento versando due torrenti di sangue dalle ferite, poi anche quello si lasciò andare.

 La lotta era appena cominciata. Gli altri, resi furiosi per le perdite subite e per tanta ostinata resistenza, circondarono la scialuppa scrollandola poderosamente e tentando di rovesciarla.

 I colpi di spada e di draghinassa grandinavano fitti su quei corpacci, tagliando e bucando; però i mostri marini tenevano duro quantunque in mare, tutto intorno a loro, si tingesse di sangue.

 I tre avventurieri erano costretti a precipitarsi ora verso prora ed ora verso poppa, a seconda che l’attacco diventava piú violento.

 Un profondo terrore cominciava ad impadronirsi anche di quei saldi cuori che avevano sfidato tante volte la morte in tanti combattimenti. L’idea di dover ben presto finire nelle gole di quelle affamate bestiacce paralizzava non poco la loro energia.

 Battagliavano ferocemente da un quarto d’ora, sempre minacciati di trovarsi da un momento all’altro in acqua, quando un colpo di fucile rimbombò, ed uno squalo, colpito dalla palla di un bersagliere infallibile, balzò piú che mezzo fuori dalla spuma sanguigna riversandosi all’indietro.

 Quasi subito altre due detonazioni si seguirono e altri due pesci-martello subirono l’egual sorte.

 Buttafuoco aveva gettato un rapido sguardo verso il largo.

 Una grossa piroga, che pareva fosse sorta improvvisamente dal mare, montata da una dozzina di uomini che portavano dei giganteschi cappellacci di foglie di palma intrecciate, accorreva a gran forza di remi in loro aiuto.

 Quattro di quei salvatori sconosciuti, che dovevano essere dei meravigliosi tiratori, facevano fuoco contro gli squali senza mai mancare al bersaglio.

 Buttafuoco aveva mandato un grido altissimo:

 – I filibustieri!…

 –Tonnerre !… Finalmente e proprio a tempo, – disse il guascone, menando un ultimo colpo.

 Cinque minuti dopo i tre avventurieri, sfuggiti miracolosamente e per ben due volte ad una morte spaventevole, salivano a bordo della piroga filibustiera e cadevano fra le braccia di Raveneau de Lussan.

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