Capitolo VII – Un’impresa terribile

Sir William, appena terminata la battaglia si era ritirato nella sua cabina, mettendosi a tavola insieme col colonnello Moultrie e Howard.

– Alla guerra ci si va con due sacchi, – disse ai suoi due compagni, i quali parevano un poco afflitti per il disastro subito dalle truppe federali. – Uno serve per le busse che si danno, l’altro per quelle che si pigliano. Sono cose che succedono.

E si mise a cenare con l’appetito d’un vero lupo di mare, niente affatto disturbato dagli spari dei quattro pezzi da caccia, che facevano tremare non solo la coperta, ma anche tutto il vasellame dell’elegante salotto.

Mangiò alla lesta, poi si alzò e depose la sua sciabola d’abbordaggio, staccando dalla parete una superba lama, una vero Toledo, e la osservò attentamente.

– Che cosa fate, sir William? – chiese il colonnello.

– Avete dunque dimenticato che io devo entrare in Boston? – rispose il Corsaro.

– Questa notte!

– Se non approfitto di questo momento in cui gl’inglesi, dopo tanto battagliare saranno forti di fatica ed occupati a curare i loro feriti ed a seppellire i loro morti, non so quale altra migliore occasione potrei attendere.

– Ma volete proprio gettarvi in bocca al lupo!

Il Corsaro alzò le spalle, poi disse:

– Lupo sono anch’io e di mare per di più, ed avrò abbastanza denti per difendermi. Mi avete promesso di guidarmi fino alla galleria che mette sotto le casematte.

– È vero, sir William, e sono uomo da non mancare alle promesse dovesse anche costarmi la vita. Vorrei bensì attendere una occasione migliore.

– Per lasciare intanto il tempo al marchese d’Halifax di costringere colle minacce o colla forza Mary di Wentwort a sposarlo? Ah, no!

Il suo viso era diventato improvvisamente cupo.

– Questa spada – disse – deve bagnarsi del sangue degli Halifax.

– Vorreste uccidere il marchese che, alla stretta dei conti, è vostro fratello?

– Se entro in Boston, quell’uomo pagherà l’infame tradimento e mio padre mi perdonerà.

– E poi?

– Non ho alcun dubbio sul trionfo finale della vostra santa causa.

Apri una cassa e ne estrasse un vestito completo da ufficiale della marina inglese.

– Lo sapevo – disse – che un giorno mi sarebbe stato prezioso.

Stava per spogliarsi, quando un baccano infernale si udì al di fuori.

Quelli della piazzaforte, avevano ripreso il bombardamento delle posizioni americane con una rabbia crescente.

Sparavano i forti, sparavano i ridotti, e navi e le batterie galleggianti, facendo cadere verso la Mistica e sull’altura di Bunker’s Hill una vera pioggia di proiettili.

Il Corsaro mandò un urlo di rabbia.

– Proprio questa notte! – esclamò. – Ah. maledetti!

Aveva gettato al suolo la giacca e si era fermato dinanzi ad una miniatura che rappresentava una fanciulla bionda cogli occhi azzurri.

– Mary, – disse, mentre i suoi occhi sfavillavano – mi sfiori pure la morte, questa notte, Lellan sarà da te. Colonnello, – disse poi con una certa esaltazione – avete paura delle palle infuocate o delle bombe inglesi?

– Mai, sir William.

– Siete sempre deciso a mantenere la vostra promessa?

– Sempre.

– Signor Howard, chiamatemi Testa di Pietra e Piccolo Flocco. L’uno, senza l’altro, non potrebbe fare mai nulla.

Il secondo di bordo vuotò il bicchiere, e mentre i quattro pezzi da caccia ed i quattro mortai tuonavano terribilmente, salì sulla tolda. Anche i pezzi di dritta, avevano cominciato a sparare a colpì di bordata, facendo sussultare la corvetta.

Non era trascorso mezzo minuto, che il bretone scendeva nel quadro. Aveva in bocca la sua famosa pipa.

– Sei pronto a venire con Piccolo Flocco – gli chiese sir William.

– Dove, comandante?

– A Boston.

– La serata veramente non mi pare propizia, non per la mia pelle, perché è ormai troppo vecchia e non servirebbe nemmeno ad adescare i pescicani, bensì per la vostra.

– Per la mia?… Me ne rido. – rispose il Corsaro. – E poi credo che la palla, piccola o grossa, che dovrà uccidermi, non sia stata ancora fusa.

– Allora andiamo, – rispose il vecchio lupo di mare, lanciando in aria una nuvolata di fumo densissimo. – Vi sarà da menare le mani, comandante?

– Forse anche troppo.

– Non chiedo di meglio, e poi sapete che Piccolo Flocco, sebbene giovane, ha muscoli di acciaio. Per il borgo di Batz! È stato lui, nell’ultimo abbordaggio, che per primo è saltato sul ponte dell’inglese; e che sciabolate menava! Pareva un mulino a vento… Dobbiamo cambiarci? I baffi e le barbe sono già caduti.

– Non è necessario.

– E le armi?

– Bastano un paio di pistole a doppia canna per ciascuno e la piccola sciabola d’abbordaggio.

– Ai vostri ordini, comandante.

– Sia pronta una scialuppa fra cinque minuti. Sul ponte e nella batteria si mantenga il fuoco.

– Sì comandante.

– Bevi.

Il bretone prese la grossa tazza che il Corsaro gli porgeva e d’un fiato la vuotò, borbottando poi:

– Vivaddio! si beve meglio nel quadro che a prora.

Si rimise in bocca la storica pipa e se ne andò.

Il Corsaro gettò via le vesti, e indossò rapidamente una divisa da ufficiale inglese, accomodandosi sul capo una candidissima parrucca, come si usava in quel tempo.

– Che cosa vi pare? – chiese a Howard e al colonnello americano.

– Uhm! – disse quest’ultimo. – Non so in quale stato sarà ridotta la vostra eleganza quando avrete attraversata tutta la lunghissima galleria.

Un lampo terribile balenò negli occhi del Corsaro.

– Vi sono tanti ufficiali di marina in Boston, – disse con voce tagliente – Qualora ne avessi bisogno, ne ucciderei qualcuno per prendergli la divisa.

– Questi corsari hanno veramente fegato! – mormorò il colonnello americano con un sospiro. – Se ne avessimo duemila a nostra disposizione, a quest’ora non ci sarebbe più un inglese sul suolo americano.

– Colonnello, siete pronto?

– Ai vostri ordini, sir Mac Lellan.

– Signor Howard, affido a voi la mia corvetta. Vi lascio un equipaggio invecchiato fra il fumo delle batterie e sempre pronto a montare all’abbordaggio. Cercate di conservarmi la nave e di aiutare più che potete i nostri nuovi amici.

– Ne rispondo pienamente, – rispose il luogotenente. – Piuttosto di lasciarla cadere nelle mani di Howe, la farò saltare insieme a me e ai miei uomini.

– Ci conto, – rispose il Corsaro.

Gli diede un’affettuosa stretta di mano, poi salì in coperta seguito dal colonnello.

Come la sera precedente il tempo si era messo al brutto. In lontananza l’Atlantico rumoreggiava sinistramente, ed il vento sibilava mentre grosse nuvole si addensavano in cielo.

– Ecco una bella notte! – disse il Corsaro, mentre i mortai ed i pezzi da caccia sparavano simultaneamente, facendo sussultare la corvetta. – Amo le notti di tempesta e le notti di fuoco.

Testa di Pietra e Piccolo Flocco si erano fatti innanzi.

– La scialuppa è pronta, comandante, – disse il primo.

– Vi avverto che l’impresa sarà dura e che vi sono molte probabilità di lasciarvi la pelle.

Il bretone alzò le spalle e guardò, sorridendo, Piccolo Flocco.

– Che cosa ne dici, piccolo squalo?

Il giovane gabbiere rispose con una risata argentina.

– Che cosa si va a fare dunque alla guerra? – chiese poi. – Per darle o per prenderle; sono sempre stato pronto a darne più che ho potuto ed a riceverne il meno possibile.

– Sei troppo chiacchierone, figliuol mio, – disse il bretone. – Un altro capitano, invece di starsene qui ad ascoltare le tue bravate, ti avrebbe regalata una magnifica pedata. Abusi troppo della bontà del baronetto.

– Lascialo dire, Testa di Pietra, – disse il Corsaro. – Alla sua età piace chiacchierare.

– Preferisco invece fumare e bere, capitano.

– Andiamo.

Scesero la scala di tribordo, accompagnati fino alla piccola piattaforma da Howard e balzarono in una scialuppa montata da sei marinai e da un timoniere. Il colonnello americano vi era già.

– Vi raccomando la mia corvetta – gridò un’ultima volta il Corsaro.

– State tranquillo, sir – rispose Howard. – La rivedrete correre attraverso l’Atlantico.

Le palle fioccavano, ché gl’inglesi tentavano di ridurre al silenzio la corvetta, i cui mortai non cessavano di lanciare dentro la città le loro grossissime granate. Ma tirando essi a palle infuocate, era facile scorgerle in aria ed evitarle prima che cadessero, perché si lasciavano dietro una striscia fiammeggiante come i bolidi.

Il timoniere, sempre all’erta, ora faceva filare la rapida baleniera, ora la tratteneva, aspettando che i proiettili si sprofondassero nel fiume.

La traversata non durò che cinque minuti, ed i tre corsari e il colonnello americano presero terra senza aver provato gli effetti di quelle palle micidiali.

– Quando udrete due colpi di pistola, verrete a riprendere me, Testa di Pietra e Piccolo Flocco, – disse sir William. – Non so però quale sarà la notte in cui torneremo a bordo. Aspettate qui il colonnello che deve fra poco ritornare sulla corvetta. Addio, ragazzi.

– Buona fortuna, capitano! – risposero ad una voce i sette uomini della baleniera.

Una salita assai erta, ingombra di folti cespugli, si trovava dinanzi ai tre corsari.

– Dove si trova la galleria? – chiese sir William al colonnello.

– Non la chiamate galleria, – rispose l’americano. – È un passaggio strettissimo che non vi permetterà di avanzare che uno dietro l’altro.

– Non importa. Dov’è?

– Centocinquanta passi lontana da noi.

– E la mina dove si trova?

– Sotto le casematte; vi consiglio di non farla esplodere.

– Non commetterò una simile sciocchezza. Resteremmo tutti schiacciati, e per ora non ho alcun desiderio di morire… Volete guidarci colonnello?

– Sempre ai vostri ordini, sir William.

L’americano si orientò rapidamente, poi cominciò ad arrampicarsi. Le artiglierie tuonavano sempre.

– Bella notte, vero, Testa di Pietra? – disse il Corsaro il quale seguiva da presso il colonnello.

– Per il borgo di Batz! – rispose il bretone. – Mi pare di essere alle feste carnevalesche di Brest. Ma là piovevano allora fiori e confetti ed io, giovane mozzo, li prendevo sul viso senza protestare e i confetti li mangiavo ve l’assicuro. Non so quante purghe mi abbia fatto ingoiare la mia povera mamma, prima d’imbarcarmi pei banchi di Terranova… Bum! Un passo più innanzi e la mia vecchia pipa scoppiava come una mina.

– È stata caricata con polvere?

– No, signor comandante: di ottimo tabacco del Maryland.

– Vattene sul campanile di Batz.

– A suonare le campane! È troppo lontano, mio capitano… Bum! Un’altra!

– Taci, eterno chiacchierone – disse il Corsaro. – Rimproveri Piccolo Flocco e sei peggio di un pappagallo.

– Per il borgo di Batz! Avete ragione, mio comandante. Non me n’ero accorto.

In quel momento una palla piombò a pochi passi da loro, una palla destinata certamente alla corvetta e che, per poca forza del calibro del pezzo, si era arrestata a tre quarti di via.

– Granata a palla infuocata! – disse il bretone. – Piccolo Flocco, ragazzo mio, va un po’ a vedere. Salterai tu solo, se si tratterà di una bomba.

– Fermi tutti! – comandò il Corsaro con voce imperiosa. – Guai a chi si muove! Tutti a terra!

Successe uno scoppio, seguito da un sibilare di proiettili e di frammenti di ferro e di ghisa solcanti l’aria. I quattro uomini, rimasero incolumi.

– Grazie alla tua premura, Testa di Pietra – disse il giovane gabbiere. – Se fossi andato a raccogliere quel dolce inglese, a quest’ora non avrei forse più né le breccia né le gambe. Non ti obbedirò più.

– Silenzio! – comandò il colonnello. – Siamo presso la galleria.

– Ci sarà qualche sentinella da bucare? – chiese il bretone, il quale non voleva rassegnarsi a chiudere il becco.

– Ma che! Avrete da percorrere, in salita, più di trecento metri, prima di trovarvi faccia a faccia cogl’inglesi.

Un’altra palla passò fischiando sulle loro teste, perdendosi in direzione della corvetta.

– Non finisce più questa pioggia? – borbottò Piccolo Flocco. Comincia a diventare un po’ seccante. Avessi almeno il cappotto d’incerato che la mia buona vecchia mi ha regalato!

– Sì. Ti difenderebbe quello! – disse Testa di Pietra che lo aveva udito.

Il colonnello in quel momento si fermò dinanzi ad un altissimo gruppo di passiflore e, vi si cacciò risolutamente in mezzo, senza badare alle spine che gli laceravano l’abito. S’avanzò attraverso la macchia per circa dieci metri, poi chiese:

– Chi ha l’occhio di bue?

– Io – rispose Piccolo Flocco.

– Accendetelo. Ormai non ci possono più vedere.

Testa di Pietra batté l’acciarino ed accese l’esca e quindi la piccola lanterna.

– Si trovarono dinanzi ad una roccia altissima, alla cui base si apriva un buco.

– Ecco il passaggio, – disse il colonnello. – Non potrete avanzare che strisciando come i crotali e non troverete che un po’ di spazio nella camera di mina. Una delle pietre che servono di pavimento alla casamatta del bastione, che volevano far saltare, è stata già smossa e con un piccolo sforzo la solleverete facilmente. Agite con estrema prudenza e badate di non fare scoppiare le polveri.

– Testa di Pietra, hai una cordicella incatramata in tasca?

– Un buon marinaio ne ha sempre, capitano, – rispose il bretone.

– Che cosa volete farne? – chiese il colonnello, un po’ sorpreso.

– Voglio risparmiarvi la fatica e il pericolo di far saltare il bastione e la casamatta – rispose tranquillamente il Corsaro.

– Vi esporrete ad un rischio gravissimo.

– Ci siamo abituati noi; e poi siamo venuti qui per agire e non per ascoltare il rombo delle cannonate.

– Fate come volete. I miei compatrioti vi saranno riconoscenti.

– Addio, colonnello. Spero di rivedervi presto.

– Siate prudente – rispose l’americano con voce assai commossa. – Se vi prendono non vi risparmieranno.

Si strinsero un’ultima volta la mano e si separarono.

Il colonnello si cacciò fra le passiflore per raggiungere la scialuppa che l’attendeva sulla riva della Mistica, ed il Corsaro, presa la piccola lanterna, si cacciò nella galleria, seguito subito da Testa di Pietra e da Piccolo Flocco.

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