Capitolo X – Il castello d’Oxford

Il taverniere si era precipitato nella tenebrosa cantina, e poco dopo ritornava mostrando una terza bottiglia coperta d’incrostazioni.

– Vino del Reno! – esclamò. – È l’ultima!

– Quando si dice aver fortuna! – disse Testa di Pietra. – Proprio, l’ultima doveva finire dentro le nostre pance. Che ne dici, Piccolo Flocco?

– Sono stupefatto – rispose il giovane gabbiere.

– Stura e cambia tazza – comandò il lupo di mare.

Mastro Taverna (dobbiamo chiamarlo così) fu lesto a obbedire, ed uno spruzzo andò in aria gorgogliando giocondamente.

– Capperi! Spuma! – esclamò il mastro

L’assaggiò avidamente e subito batté sulla tavola un pugno così formidabile, che per poco non fece saltare in aria la bottiglia di gin che non era ancora vuota.

– Ehi, diventi pazzo davvero? – chiese il Corsaro.

– Corpo di centomila saette! Aspetta un momento, Piccolo Flocco; assaggia.

– È pieno di scorpioni anche questo? – chiese il gabbiere.

– Assaggia, ti dico.

Il gabbiere bevve e poi scoppio in una clamorosa risata.

– Questo è il vino che da noi si vende a quattro soldi al litro, prodotto dalle belle mele della Normandia.

– Capitano, date il vostro giudizio

– È sidro, bretone – rispose sir William.

– Corpo… della tua capigliatura da leone africano! – gridò Testa di Pietra, piantando i suoi occhi minacciosi in quelli grossi del Taverniere.

– Mio signore, che cosa ho fatto? che cosa è accaduto? – chiese il disgraziato.

– Da chi hai comperato questo vino?

– Non lo so… lo comprò mio padre.

– L’hanno truffato indegnamente. Il tuo famoso vino del Reno non è altro che succo di mele francesi, che in Bretagna si vende a due soldi la bottiglia. Altro che due dollari!…

– Possibile?

– Te lo dico io.

– Ed ora?

– Tuo padre era un asino, grosso come la rupe del leone delle Bermude – disse Testa di Pietra.

– Era sempre ubriaco – rispose candidamente il taverniere, con un lungo sospiro.

– Eh, tuo padre non era nato per essere un buon taverniere!

– Un buon bevitore sì, però – disse Piccolo Flocco.

– Ne ha dato l’esempio, figliuol mio. Orsù, il vino del Reno non lo assaggerò mai: beviamo questo sidro, che dopo non è cattivo e fingiamo di essere a Batz. Ma bada, mastro Taverna, che non ti pago questa bottiglia più di cinque soldi, ed è pagata bene. Se tuo padre è stato truffato non vogliamo esserlo noi.

– La regola, miei gentlemen.

– Tu sei un uomo onesto, – disse il lupo di mare – ed amo gli onesti; per ciò torneremo a far visita, alla tua taverna.

– Mi terrò molto onorato.

– Hai una stanza da affittarci? – chiese in quel momento il Corsaro.

– Sì, mio gentleman.

– Con un paio di letti

– Due, sì.

– Al sicuro dalle bombe americane? – chiese Testa di Pietra.

– Finora non ne sono cadute sul mio albergo.

Sir William si era alzato ed aveva gettato sulla tavola una sterlina fiammante, dicendo:

– Non occorre che ci dia il resto. Terrai la stanza per noi.

L’oste ebbe un moto di stupore e di gioia.

– Piacciono le sterline a mastro Taverna, eh? – disse il bretone ironicamente. – Risparmia i tuoi inchini e i tuoi ringraziamenti. Ci rivedremo più presto di quello che credi, ma ricordati di guardare prima dentro le tue bottiglie, perché non vi si trovino scorpioni.

Sir William era già sulla porta.

Le tenebre fuggivano rapidissime, ed una luce rosea si diffondeva per il cielo. Il bombardamento continuava vivissimo, e si potevano distinguere, fra tanti scoppi, i colpi formidabili dei quattro grossi mortai della corvetta.

– Guidami al castello – disse il Corsaro a Testa di Pietra.

– Sempre ai vostri ordini, mio comandante.

Si posero in cammino senza curarsi delle schegge di bombe che di quando in quando rotolavano giù dai tetti.

Dieci minuti dopo sbucavano in un’ampia via ingombra di soldati e di carriaggi carichi di munizioni che venivano portate alle batterie dei bastioni.

Nessuno aveva fatto loro caso, poiché in quei giorni gli ufficiali di marina ed i marinai pullulavano in Boston, potendo ancora accedervi dalla parte della baia, se non dalla parte di terra.

Testa di Pietra si orientò rapidamente, riaccese la sua pipa e si rimise in cammino, guardando in aria.

– Che cosa cerchi nel cielo? – gli chiese Piccolo Flocco che gli camminava a fianco.

– La torre del castello.

– Ah, c’è una torre?

– In pessimo stato; tanto che gl’Inglesi non hanno osato di collocare dietro i suoi merli nemmeno un pezzo di medio calibro; infatti in quella direzione non odo nessun colpo.

Percorsero parecchie altre vie e finalmente si trovarono presso i bastioni settentrionali, dove s’alzava una costruzione piuttosto informe, che aveva un po’ del castello e un po’ della fortezza, e che si appoggiava da un lato ad una torre pentagonale alta una ventina di metri e tutta traforata da ferritoie e da cannoniere.

– Ecco il castello d’Oxford! – disse Testa di Pietra fermandosi. – Dobbiamo attaccarlo subito, mio comandante.?

Il Corsaro si era messo ad osservare il castello passeggiando sotto la torre, come se avesse intuito che Mary di Wentwort si trovasse imprigionata lassù.

– Testa dì Pietra, – disse ad un tratto – dovresti portare un soldato del castello a bere...

– Da mastro Taverna? Subito fatto, mio comandante, – rispose il bretone. – La gente di terra e quella di mare fraternizzano facilmente, soprattutto quando è la gente di mare che paga.

– Prendimene dunque uno, e portalo pure da mastro Taverna.

– A fare colazione?

– Anche due pranzi se vuoi: prendi quattro sterline.

– Scusate, mio comandante, ma sono ben provvisto.

– Metti in tasca e chiudi il becco.

– Se questo è l’ordine, obbedisco – rispose il bretone allungando una mano. – Prendere un soldato! Gran che per un marinaio, che è sempre pronto a montare all’abbordaggio! Si lanciano i grappini, si piglia al volo, e si porta via come un pezzo di paterazzo. Lasciate fare a me, sir William. Tu, Piccolo Flocco, gira di bordo, e viene a raggiungermi più tardi con un’altra bordata di sopravvento.

– Ho capito – rispose il giovane gabbiere.

– Sii pronto a ordinare una buona colazione da quell’imbecille che ha gli occhi di bue.

– Capito, comandante.

– Come, comandante?

– Per tutti i merli della Bretagna! comandi come un ammiraglio.

– Fa lo stesso. Andiamo alla pesca. L’amo sarà dolcissimo.

– Con bottiglie ed una colazione sulla punta – disse Piccolo Flocco

– Che assaggerai anche tu, briccone.

– Certo.

Testa di Pietra ricaricò la sua veneranda pipa sprofondò le mani nelle tasche, e andò a passeggiare dinanzi al ponte levatoio del castello, mentre sir William e Piccolo Flocco si aggiravano nei dintorni della torre.

Proprio in quel momento un caporale del 5° Reggimento Assiano attraversava il ponte, portando un piccolo sacco di tela.

Testa di Pietra, che fingeva di guardare in alto, lo urtò in così malo modo, da spingerlo contro il parapetto.

Herr gott! – esclamò il tedesco.

– Dite? – chiese Testa di Pietra, lanciandogli in faccia una boccata di fumo.

– Siete ubriaco?

– La marina ubriaca? Eh, mio caro, un marinaio vuota la stiva d’un bastimento pieno di gin, e poi sale ancora fino ai contrapappafichi.

L’assiano lo guardò con una certo stupore.

– Volete provarmi? – chiese il bretone. – Sarò io che farò le spese della bevuta.

– Herr gott! volete pagare?

– La marina è sempre stata più ricca dei soldati di terra.

– Tu, camerata, pagare da pere a me?

– Sì, camerata.

– Ma tu non essere tedesco.

– Sono un prossimo parente dei Tedeschi, quindi posso permettermi il lusso d’offrirti da bere. Non è vero, mio buon fratello?

– Ja, ja: puon fratello. Dove condurmi?

– Come? non conosci mastro Taverna, quello che ha per insegna trenta corna?

– Trenta corna?…

– Di bisonte.

– Ah, ja, ja.. Corna!

– Vieni, camerata.

Testa di Pietra gli gettò in viso un’altra boccata di fumo che non fece affatto arricciare il naso al tedesco; lo prese sotto il braccio dicendo:

– Cadano pure le bombe di quei birbanti americani; li sfido a fracassare le nostre bottiglie! È vero, camerata?

Ja, Ja!

– Benissimo: che cos’hai in quel sacco?

– Cantele di sego.

– Da portare a qualche ridotto?

Il tedesco lo guardò con stupore.

– Alle batterie? – aggiunse Testa di Pietra.

– No, alle cucine.

– Per far luce?

– No; nella minestra. Cacciarle dentro, si sciolgono ed il brodo diventare meravigliosamente custoso.

– Gustoso, vuol dire, diavolo! Minestra al brodo di candele di sego… Dev’essere squisita.

– Mai assaggiata, fratello?

– Mai – rispose seriamente il bretone. – A bordo delle nostre navi, quando la carne manca, gettiamo nelle pentole merluzzo e topi; e che brodo fanno, fratello…! ti chiami?

– Hulrik.

– Benissimo, camerata.

– Tu voler provare mie cantele, fratello? Io regalare a te mezza dozzina.

– Ma che! Abbiamo tanti topi a bordo per rinforzare il nostro brodaccio!

– Marinai sempre allegri. Puoni fratelli.

– Padre, – disse il bretone. – Sono vecchio tanto da poter essere tuo padre. A giudicare a colpo d’occhio, non puoi avere più di ventiquattro anni.

– Venticinque.

– Ne ho quasi cinquanta, quindi posso chiamarti figliuolo.

Ja, ja. Io tuo pon figliolo.

– Ti piacciono i salsicciotti affumicati?

– Ponissimi con la pirra.

– Niente pirra – disse Testa di Pietra. – Berremo buon vino scorpionato.

– Scorpionato? Cosa essere?

– Una specialità di mastro Taverna.

– Penissimo.

– Vieni, figliuolo.

– E tu pacare?

– Io pagare tutto.

– Perché io non avere ricevuto ancora paca.

– Dio mio come parlate male! Mi sembra di udire ranocchi in amore.

Il soldato scoppiò in una risata.

– Mio padre sempre allegro.

– Sempre – rispose il bretone. – Affrettiamoci, e non pensare alle tue candele. I tuoi camerati per oggi ne faranno senza; e poi è male ingrassar troppo.

Ja, ja, pon padre.

Testa di Pietra, seguito a breve distanza da sir William e da Piccolo Flocco, rifece la strada percorsa mezz’ora prima, e rientrò nell’albergo delle Trenta corna di bisonte.

Il taverniere, che stava risciacquando bicchieri e bottiglie, nel vederlo, spalancò le braccia e lasciò cadere a terra quanto aveva in mano.

– Che cosa significa questo fracasso, mastro Taverna? – chiese il bretone severamente. – È caduta una bomba sulla tua casa?

– Voi, signore?

– Non ti avevo detto che sarei ritornato? Avresti salciciotti affumicati e formaggio piccante di quello che domanda vino, vino, ancora vino?

– Sì, mio signore.

– Porta e non dubitare, che pago come un capitano di corvetta.

– E anche pirra – disse il soldato.

Testa di Pietra fu pronto a strizzare l’occhio al taverniere, poi disse prontamente

– Non se ne trova più da queste parti. L’avete bevuta tutta voi, senza pensare ai vostri camerati della marina, beoni.

– Noi pere molta pirra.

– Ed ora berrete vino.

– Sì, fino, porta fino.

– Finissimo – aggiunse il bretone, – Due, quattro, anche sei bottiglie. Ma non di quelle del Reno, bada, mastro Taverna.

– Vini di Francia autentici.

– Comprati da quell’asino di tuo padre! Allora berremo certamente qualche veleno scorpionato.

– Eh, no! – protestò il taverniere. – A voi offrirò quanto di meglio possiedo.

In quel momento entrarono sir William e Piccolo Flocco, i quali andarono a sedersi alla tavola più lontana. Testa di Pietra li guardò di traverso, poi curvandosi verso il soldato, gli disse sottovoce:

– Quelle devono essere spie.

– Uhm! Quelle brutte facce non mi persuadono affatto.

– Non trovarsi spie in Boston.

– Vedremo.

Mastro Taverna risalì portando due panieri, uno pieno di bottiglie e l’altro di cibi. Vedendo anche il Corsaro e Piccolo Flocco, per poco non lasciò cadere tutto.

– In gamba, mastro Taverna! – fu pronto a gridargli il bretone – e non badare ai nostri affari. Chiudi gli occhi ed anche il becco.

L’albergatore rimessosi un po’ dalla sorpresa, servì il bretone e il soldato, mettendo loro dinanzi una dozzina di salsicciotti affumicati, che i topi della cantina avevano qua e là intaccati, formaggio canadese di colore bruno, che doveva mordere la lingua peggio della senapa, poi pane nero e quattro bottiglie di marca.

– Bordeaux – lesse il bretone. – Corbezzoli! Un lusso inaudito in una città assediata. Questo mastro Taverna è un uomo veramente meraviglioso. Si direbbe che ci aspettava per provarci che il suo defunto padre non era un asino. Stura! – soggiunse Testa di Pietra. – E tu, figliuolo, da’ l’assalto ai salciciotti e al formaggio. Ti assicuro che non vi sono nascoste le baionette americane.

– Grazie, padre. Tu essere pon camerata

– Mangia, e bevi soprattutto; fammi vedere come i tedeschi sanno bere.

– Tu pacare.

– Te l’ho già detto: io pacare anche tutta la cantina di mastro Taverna. Non ho speso un soldo in dieci mesi di navigazione, e nella mia cintura ho tante sterline da poter vuotare cinquecento bottiglie, fare duecento pranzi e trecento colazioni… Pefi, figliuoli. Tutto pacato.

Il soldato diede un formidabile attacco ai salciciotti e al formaggio, annaffiandoli copiosamente con quel preteso Bordeaux. Testa di Pietra gli tenne valorosamente fronte, specie nel bere.

Ad un certo momento, quando già quasi tutto era stato divorato, Testa di, Pietra appoggiò le braccia sul tavolino e guardando il soldato, gli chiese a bruciapelo

– Hai mai amato, figliuolo?

Il tedesco, prima di rispondere, tracannò un altro bicchiere, poi arrossì come una ragazza scuotendo il capo.

– Foi, padre, essere innamorato?

– E che cotta ho preso!

– Foi avere sangue caldo.

– Come le lave d’un vulcano, figliuolo. Ma penso che potresti aiutarmi.

– Io? Come?

– Sei di guarnigione nel castello, è vero?

– Sì, padre.

– Mangia un altro salsicciotto e bevi un altro bicchiere di vino.

– Vi fosse pirra...

– Oh niente pirra! La marina beve sempre Bordeaux o del gin.

– Gin! Pono, pono!

– Mastro Taverna, Portaci una bottiglia di gin, di quello che tuo padre ha comprato cent’anni fa.

Riaccese la pipa che gli si era spenta, poi riprese:

– Tu, figliuolo, hai visto donne nel castello?

– Sì, due.

– Belle?

– Una giovane, pella.

– E l’altra?

– Giovane anche quella.

Testa di Pietra si compresse il cuore con ambo le mani, e sospirò.

– Ah, l’amore, l’amore!… – esclamò poi. – Sono dieci mesi che navigo per cercarla

– Chi, padre?

– Sono innamorato d’una di quelle donne.

– La fidanzata del marchese?

– Eh! Un marinaio non può avere tali aspirazioni. Come può osare di guardare tanto in alto? È l’altra che amo.

– La camerera?

– Sì, la cameriera – disse Testa di Pietra. – Ah, come l’amo! Il cuore minaccia di scoppiare per l’intensa gioia. Vedi, siamo marinai, e Ie nostre donne non le vediamo che dopo tanti mesi di navigazione.

– Penone! penone!

– Sì, di maestra – disse il bretone ridendo. – Bevi ancora, figliuolo, e spalanca gli occhi.

– Io ascoltare mio padre!

– Ti dicevo dunque che il mio cuore si consuma d’amore per la cameriera della fidanzata del marchese. La conosci?

– Sì.

– Bella, vero?

– Un po’ vecchia.

– Sono vecchio anch’io, perbacco!

– Avanti, patre.

– Nostro – disse il bretone. – Fra poco questo luterano mi recita il Pater noster. Il Bordeaux fa talvolta di questi scherzi.

Riaccese per la terza volta la pipa, poi disse.:

– Dunque, figliuolo, sei di guarnigione nel castello?

– Sì, patre.

– Ascolta, figliuolo: vorrei vedere quella cameriera. Come potrei fare?

– Condurti con me nel castello.

– Davvero?

– Ma sì, patre.

– Allora spalanca gli occhi ed ascoltami attentamente, buon figliuolo; e tu, mastro Taverna, portaci quattro bottiglie di vino più generoso del tuo Bordeaux.

– Del whisky?...

– Vada per il whisky.

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