Capitolo XIX – Il forte di Johnson

Mastro Taverna si precipitò anziché scendere nella cantina, e tornò subito portando la bottiglia domandata. Testa di Pietra la fece subito stappare, ed in breve i tre uomini la vuotarono.

– Partiamo? – chiese il boia di Boston. – Se dovremmo raggiungere prima la vostra corvetta, le ore non saranno troppo lunghe.

Il mastro mise una mano nella sua ampia cintura rossa, come per levarne denaro, ma mastro Taverna con un gesto lo fermò.

– No, mio gentleman – disse prontamente. – Non voglio denaro da voi: ne ho guadagnato abbastanza. Non fatemi l’offesa di pagarmi questa bottiglia.

– Sei un brav’uomo! – rispose il bretone con voce grave. – lo sapevamo.

Si alzò e, battendogli su una spalla, aggiunse:

– Spero di rivedervi presto. Credo che allora Boston non si troverà più in mano del signor Hower. Così saremo più sicuri e più allegri. Buona notte, mastro Taverna.

– Da quale parte usciremo? – chiese il bretone al boia.

– Dalla pusterla del bastione n. 7

– Avete il lasciapassare?

– Certo, e porta la firma del generale Howe.

– Potremo scendere fino alla corvetta?

– E perché no? Taglieremo la discesa per traverso, e raggiungeremo il suo ancoraggio.

In un quarto d’ora i tre marinai giunsero alla linea delle fortificazioni.

Il comandante delle batterie, accorse munito d’una lanterna, lesse il lasciapassare, e diede l’ordine di aprire la pusterla. Due soldati, guidarono il carnefice ed i suoi due aiutanti fino all’estremità d’un tenebroso corridoio.

La porta di ferro fu aperta, e mastro Testa di Pietra poté finalmente respirare l’aria pura che saliva dalla baia.

– Orizzontiamoci – disse e badiamo alle palle. Le teste dei bretoni sono dure come le pietre del loro paese, tuttavia una disgrazia può toccare, e quando una zucca è rotta, il suo proprietario non ha altro da fare che lasciarsi portare al cimitero.

Aveva appena terminato di parlare, quando sulla riviera della Mistica balenarono quattro lampi, seguiti da altrettante fragorose detonazioni. Avevano sparato i quattro mortai della corvetta, ed i quattro lampi avevano illuminata abbastanza bene, sebbene fugacemente, la nave.

– È laggiù, sempre al medesimo posto – disse il bretone. – Si direbbe che i nostri marinai hanno voluto segnalarcela. Veniamo, camerati, non dubitate!

Si erano messi a scendere la china, piuttosto ripida ed ingombra di cespugli.

Aiutandosi l’un l’altro, in breve si trovarono sulla riva sinistra della Mistica, proprio di fronte alla corvetta. Il bretone, fece colle mani portavoce, e approfittando d’un momento in cui le artiglierie tacevano, gridò con tutto il fiato che aveva nei suoi ben capaci polmoni:

– Marinai della Tuonante! Venite ad imbarcare il vostro mastro

I quattro grossi mortai, che dovevano essere già pronti, fecero la loro scarica destando l’eco della riviera, ma appena il fragore cessò, si udì gridare:

– Chi ci domanda?

– Io. Testa di Pietra.

– Attendi un momento.

– Va bene, signor Howard – rispose il bretone, il quale aveva riconosciuto in quella voce il secondo della corvetta.

Un momento dopo una baleniera veniva calata nel fiume e si dirigeva rapidamente verso la riva, dove il mastro continuava a gridare:

– Ohè! Doë!

In meno di mezzo minuto la baleniera prese terra, ed il contromastro della Tuonante balzò sulla riva, dicendo:

– Voi, Testa di Pietra? E il comandante?

– Zitto! – rispose il bretone. – Non è qui il luogo da svelare certi segreti.

Si volse verso il boia, il quale si era seduto su una roccia e fumava la pipa.

– Volete venire con noi? – domandò.

– Qui non corro alcun pericolo, quindi posso aspettare il vostro ritorno.

Testa di Pietra e Piccolo o Flocco balzarono nella baleniera, montata da sette rematori, e presero subito il largo, fendendo le torbide acque della Mistica.

Giungere alla corvetta fu un momento. Testa di Pietra salì i gradini a quattro a quattro, e si trovò subito dinanzi al signor Howard e al colonello Moultrie. La stessa domanda, e nello stesso tempo, gli fu rivolta dai due uomini.

– Dov’è sir William?

– Signor tenente, – disse il bretone, mentre Piccolo Flocco abbracciava i marinai che se lo disputavano l’un l’altro – venite nel quadro. Ho gravi cose da dirvi. Sappiate per ora che il nostro comandante domani sarà impiccato nel forte Johnson.

– Impiccato?- gridò Howard, diventando pallidissimo.

Ora guardate un po’ il costume che indosso, tenente, – rispose il bretone. – Non vedete che sembro un vero carnefice? Tutto rosso come il sangue che i boia fanno spillare in un modo o nell’altro ai poveri giustiziati. E questo mantello nero?

Il bretone in poche parole li mise al corrente di quanto era avvenuto.

– Preso! – esclamarono ad una voce il colonnello ed il tenente.

– Adagio, miei signori; sé è preso non è però ancora stato impiccato – osservò il bretone. – Io e Piccolo Flocco siamo gli amici, anzi, gli aiutanti del carnefice.

Il colonnello alzò una mano.

– Avrete detto che l’hanno tradotto nel forte Johnson?

– Dove andiamo per impiccarlo!

– Voi?

– Io? Impiccherei il comandante del forte, piuttosto! Per il borgo di Batz! Un bretone tradire il suo capitano? Oh, mai! Darei la mia testa per salvare la sua!

– Signor Howard, – disse il colonnello assai preoccupato – da tempo i nostri capi hanno deciso di fare una scorreria sulla punta di Hoddrel per distruggere le difese inglesi alzate sul canale di Hog

Island. Quel fronte Johnson, che batte coi suoi pezzi tutto il porto di Imes’s Island, è il nostro incubo. Lo assalteremo.

– Abbiamo debiti di riconoscenza verso il vostro comandante rispose il colonnello con voce solenne. – Senza l’arrivo della vostra corvetta, saremmo rimasti senza polveri, e l’assedio ed il bombardamento si sarebbero prolungati indefinitivamente. Abbiamo ancora estremo bisogno della vostra nave, la sola che possa tener testa ai pezzi delle fregate, dei brik e dei brigantini inglesi.

– Concludete – disse il secondo, che era uomo di poche parole.

– Quando appiccheranno il baronetto? – chiese il colonnello, rivolgendosi a Testa di Pietra.

– L’esecuzione è stata fissata per domani sera alle sei – rispose il bretone. – Ho la parola del boia.

– Signor Howard, alle quattro voi scenderete la Mistica colla vostra corvetta, e forzerete il canale di Hog Island per appoggiare il nostro attacco. Sarò là con duemila americani, scelti fra il fiore delle truppe e vi prometto di prendere d’assalto il forte.

– Siamo d’accordo.

– Qualunque cosa dovesse accadere troverete i miei uomini intorno al forte – rispose il colonnello. – Spero che i nostri provinciali, come li chiamano sprezzantemente gl’inglesi, sapranno fare miracoli. Dovete farmi però una promessa.

– Dite.

– Siamo ancora a corto di polveri. Salveremo il vostro comandante a prezzo del nostro sangue. Incrocerete fuori del porto, le prenderete d’abbordaggio, forzerete un’altra volta il blocco, e risalirete la Mistica. Boston è agli estremi, ormai lo sappiamo, e vogliamo averla al più presto nelle nostre mani. Non sarà che questione di giorni ma guai se ci difettassero le polveri! Sarebbe la nostra rovina. Trecento pezzi che tuonano giorno e notte ne consumano, e la grossa provvista che ci avete portata è già quasi esaurita in una sola settimana.

– Colonnello, – disse il tenente, – checché debba succedere, io condurrò la Tuonante nel canale per tenere indietro le fregate inglesi; ma conto assolutamente su di voi. Il mio comandante non deve morire sulla forca.

– Impegno il mio onore e la mia vita! – rispose l’americano.

Howard si volse verso Testa di Pietra, che aspettava ansiosamente i suoi ordini:

– Il boia vi aspetta sulla riva della Mistica, è vero, mastro? gli chiese.

– Sì, tenente.

– Che non vi abbia giocato qualche brutto tiro?

– Quell’uomo? È un bretone come me!

– Allora mi sento più sicuro; tuttavia nella baleniera farò collocare un petriere e raddoppierò l’equipaggio. I tradimenti piovono addosso in tempo di guerra.

– Del mio uomo sono sicuro come di me stesso.

I tre uomini salirono sul cassero. Howard diede rapidamente alcuni ordini al capomastro affinché si raddoppiasse l’armamento della scialuppa, poi disse:

– Testa di Pietra, vegliate sul comandante.

– Vi assicuro che non morrà impiccato, perché il laccio è stato già abilmente preparato dal boia. Si romperà subito, ed egli cadrà in piedi.

– Andate, mio valoroso.

– Piccolo Flocco, a me! – gridò il mastro.

Il giovane gabbiere, fu lesto a raggiungerlo.

Scesero frettolosamente la scala, e presero posto nella baleniera.

Un petriere abbastanza grosso era stato collocato a prora, pronto a scagliare un nembo di frammenti di pietra, nel caso che fosse stato necessario, e l’equipaggio era stato portato a quindici uomini.

– Voga, John! – disse Testa di Pietra al contromastro. – Non aver paura delle palle.

– Oh! Ci siamo abituati – rispose il timoniere sorridendo.

La baleniera, riattraversò il fiume e approdò dinanzi alla roccia, sulla quale il boia di Boston fumava ancora la pipa senza preoccuparsi del pericolo cui era esposto. Testa di Pietra e Piccolo Flocco balzarono a terra, dopo d’aver salutato i compagni, che avevano ripreso prontamente il largo.

– Come vedete, sono stato di parola – disse il carnefice. – Andiamo?

Testa di Pietra rispose con una vigorosa stretta di mano.

Seguirono la riviera della Mistica, discendendola verso la foce, poiché la scialuppa inglese, che doveva portare il boia al forte, si trovava al di là della seconda barra.

Dopo venti minuti i tre uomini giungevano in una piccola cala, dove aspettava una scialuppa, illuminata da un piccolo fanale, montata da otto fuciliere e da una mezza dozzina di marinai con un timoniere.

– Chi siete? – gridò, mentre i fucilieri puntavano rapidamente i loro archibugi.

– Il boia di Boston coi suoi due aiutanti – rispose l’ex-galeotto.

– Imbarcate.

I tre uomini salirono sulla scialuppa, mentre il timoniere, tenendo in una mano una pistola e nell’altra la lanterna, li esaminava attentamente.

– Aprite i vostri mantelli! – comandò.

I bretoni obbedirono.

– Tutto rosso – va bene. Sedetevi a prora e non pronunziate parola.

– Avreste paura di svegliare i pescicani? – chiese Testa di Pietra.

– Chi siete?

– Il primo aiutante del boia, capace d’impiccare anche voi, senza l’aiuto dei miei due compagni.

– Silenzio! Non voglio farmi catturare dagli americani. Vi è quella maledetta corvetta che da un momento all’altro può piombarci addosso e sventrarci la scialuppa.

– Macché! – rispose Testa di Pietra. – Dorme sulle sue àncore.

I sei marinai tuffarono i remi, e l’imbarcazione attraversò velocemente la foce della Mistica, filando dietro l’ultima barra. Per sua fortuna i cannoni da caccia della Tuonante erano rimasti silenziosi. In lontananza scintillavano i fanali della flottiglia inglese, composta per lo più di navi invecchiate nelle acque americane e di scarsissimo armamento. Non vi era che una fregata, che potesse tentare di misurarsi colla corvetta.

La scialuppa, dopo una buona ora giungeva dinanzi all’isola di Imes, su una punta della quale s’alzava minaccioso il forte Johson. Era questa una salda fortezza che, colle sue artiglierie, danneggiava gravemente la cittadella di Charlestown.

I comandi americani, consigliati dal colonnello Moultrie, che godeva molta considerazione e molta fama, ne avevano decisa da tempo l’espugnazione e la distruzione, d’accordo col colonnello Ashe.

Fra tutti disponevano di circa tremila stanziati, di tre o quattrocento scorridori, di cinquanta pezzi d’artiglieria di diverso calibro e di parecchie grosse scialuppe.

Il colonnello Moultrie con una banda di arditi scorridori aveva devastata una parte dell’isola, costringendo le navi ad allontanarsi e la guarnigione a rinchiudersi più che in fretta nel forte: ma non aveva osato tentare l’attacco. Quindi non era da stupirsi, se Moultrie ed Ashe, si trovavano in quel momento imbarazzati.

– Ci siamo? – chiese Testa di Pietra.

– Ci siamo – rispose il carnefice.

Il timoniere prese il fanale, vi sostituì un vestro rosso a quello azzurro che aveva posto prima, poi disse con voce rude e con una certa impazienza:

– Venite!

– Adagio, signor mio, – disse il bretone. – Non abbiamo i piedi dei marinai, e dobbiamo guardare dove li mettiamo. Anzi, favorite darmi una mano.

– Io dare la mano ad un impiccatore!… Oh, mai! – esclamò il timoniere. – Mi porterebbe sfortuna.

– Invece le corde degl’impiccatori portano fortuna, e noi le vendiamo ad alto prezzo.

– Non sarò certamente io che ve ne chiederò un pezzo – rispose il timoniere – Orsù, scendete prima che la risacca riempia d’acqua la scialuppa.

Piccolo Flocco, spiccò per primo il salto e cadde sulla sabbia asciutta. Il boia di Boston fu il secondo, e vi riuscì per bene. Testa di Pietra prese così malamente le sue misure, che andò addosso al timoniere e si aggrappò a lui per non cadere. L’aveva fatto apposta? Vi era da crederlo. Il primo timoniere si era sbarazzato della stretta con una scrollata che non aveva per altro gettato a terra il malizioso bretone.

– Voi mi avete toccato! – urlò.

– Volevate che mi rompessi il naso? – chiese candidamente Testa di Pietra.

– La vostra stretta mi sarà fatale!

– Come se i carnefici non avessero carne, ossa e sangue al pari dei marinai.

– Su, venite! Non ho tempo da perdere! – gridò il timoniere.

– Ma fateci lume, perché, vedete, ho sempre tenuto alla conservazione del mio naso

Si misero in cammino e giunsero dinanzi ad una delle due pusterle, che erano guardate da un grosso drappello d’artiglieria con due pezzi. Il timoniere scambiò col comandante della guardia alcune parole poi il drappello si divise in due, e lasciò libero il passo ai tre carnefici. Attraversarono un ridotto, passarono sotto parecchie volte, e furono introdotti in una sala dove si trovava un capitano.

– I signori di Boston! – disse il timoniere.

L’ufficiale, che stava seduto dinazi ad un tavolino, li guardò attentamente, poi chiese:

– Chi è il boia?

– Io, signore – rispose l’ex galeotto, facendo un passo innanzi.

– Avete qualche lettera del generale Howe?

– Eccola, signore.

Il capitano la prese con un certo ribrezzo, l’apri e la lesse.

– Va bene – disse poi. – avete portato con voi il laccio? L’esecuzione è stata fissata per domani, ad un’ora prima del tramonto. Pensate voi a innalzare domani mattina la forca; non abbiamo pratica di tali faccende. Nei magazzini del forte troverete il legname occorrente.. Avete fame?

– Non abbiamo ancora cenato, signore – fu pronto a rispondere Testa di Pietra.

– Vi farò mandare viveri. Per questa notte riposerete qui. Là vi sono brande.

Ciò detto, si alzò e usci senza guardarli in viso, seguito dal timoniere.

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