Capitolo XX – Il signor Però Paga

La stanza assegnata ai tre signori di Boston, come li aveva chiamati ironicamente il timoniere sembrava un magazzino, tanto era ingombra di sacchi di sabbia, di gabbionate, di ruote per artiglierie fuori d’uso e di ammassi di cordami. Vi si trovavano pure, oltre a un tavolino, una mezza dozzina di brande più o meno sgangherate.

– Per il borgo di Batz! Con che lusso trattano gli esecutori di giustizia! – esclamò Testa di Pietra. – Da questa trattamento immagino l’altro.

– Quale? – chiese Piccolo Flocco.

– Intendo parlare della cena: ci daranno croste di pane e merluzzo secco per rovinarci i denti. Ah, pitocchi!

In quel momento la porta fu spalancata, ed un vecchio soldato entrò, portando tre gavette ed una bottiglia di vino.

– È questa la cena dei tre carnefici di Boston? – chiese Testa di Pietra.

– È il rancio dei soldati, Siamo a corto di viveri, ma…

– Ma?

– Essendo il cantiniere del forte, potrei procurarvi qualche cosa di meglio se pagate.

– Finalmente la bomba è scoppiata! – esclamò il bretone. Che cosa c’è in questi recipienti?

– Zuppa di merluzzo.

– Ci sarà che stare allegri, signor cantiniere! Avete detto che. pagando, si potrebbe aver di meglio?

– Formaggio d’Olanda autentico, aringhe squisitissime, prosciutto ben conservato, avendo ammazzato il mio ultimo maiale un mese fa…

– Che lusso! E vini?

– Niente vino: birra nera.

– Paghiamo e portate. Il contenuto di queste gavette donatelo pure a qualche povero soldato affamato. Questa brodaglia non l’hanno mai mangiata i carnefici.

– Va bene, signore. Dal momento che pagate vi porto quanto ho di meglio.

– Vi prego solamente di sbrigarvi, perché abbiamo tanta fame. Andate.

Il cantiniere scappò come se avesse avuto le ali ai piedi, riportando con se non solo le gavette, ma anche la bottiglia.

– Furfante! – esclamò Testa di Pietra. – Vorrei essere impiccato se quel briccone non va a vendere quella detestabile zuppa e la bottiglia alla guarnigione.

Stette un momento silenzioso, guardando il carnefice, che sembrava di cattivo umore.

– Compatriota, – disse, – c’è burrasca nel vostro cervello.

– Perché? – domandò il carnefice scotendosi

– Avete un certo viso!

– Che volete? Ogni volta che devo giustiziare un uomo provo uno sgomento che non saprei spiegare. Non ero nato per fare il carnefice.

– Adagio, compatriota! Qui non si tratta d’impiccare, ma di scherzare, di recitare una commedia. Mi avete promesso che il laccio fatale si spezzerà,

– Di questo rispondo pienamente – rispose il boia di Boston. L’ho vuotato a tre quarti d’altezza, e si strapperà sotto il peso del gentiluomo.

– E allora, che cosa temete?

– Se gli americani tardassero?

– Oh no! Rispondo di quei galantuomini e soprattutto del colonnello Moultrie – rispose il bretone. – Domani si darà battaglia, e vedremo come gl’inglesi sapranno tener testa. Se vi entrano i cannoni della Tuonante, sono più che certo che con dieci sole bordate ridurranno al silenzio tutte le batterie del forte. Ah! Ecco il signor Però Paga!

Il cantiniere, era entrato portando grossi canestri pieni di provviste e di bottiglie di birra doppia. Mastro Testa di Pietra ispezionò tutto, poi chiese al cantiniere:

– Quanto costa tutto, signor Però Paga?

– I viveri scarseggiano. e le provviste sono diventate carissime – rispose il cantiniere.

– Oh, dite pure! I carnefici hanno sempre qualche dollaro in tasca.

– Datemene cinque.

– Il bretone lo guardò sotto il naso.

– Invece d’impiccare il gentiluomo che ci aspetta, metterei volentieri il laccio intorno al vostro collo. Ma siccome noi, signor Però Paga, siamo uomini dabbene, anche se siamo giustizieri, e non amiamo le discussioni, ecco qua.

Affondò una mano nella sua fusciacca rossa e ne trasse cinque dollari.

– È giusto il conto? – chiese con voce un po’ ironica.

– Giustissimo, signore, – rispose il vivandiere, intascando le monete lestamente.

– Non avete paura del denaro dei carnefici? – chiese il bretone.

– Io? Niente affatto, signore. Mio nonno era un Chalkraff.

– Volete dire?

– Il carnefice di Londra.

– Allora potete stringere la mia mano.

Il vivandiere congedò con un gesto il suo aiutante, poi gliela porse. Testa di Pietra gliela strinse fortemente e lo trasse a sé dicendogli:

– Si potrebbe parlare un po’ fra carnefici e discendenti di carnefici, ma sempre pagando? I dollari non mancano a noi.

– Che cosa volete dire?

– Essendo nipote di un carnefice, v’invito a cenare in nostra compagnia. Vi dispiacerebbe?

– Oh no! La mia cantina, coi tempi che corrono, è quasi sempre vuota. Il governo ritarda le paghe, e questi bravi soldati non hanno nemmeno un penny per comprarsi un po’ di tabacco. Finirò per rovinarmi completamente, avendo accordato credito a non so quanta gente.

– Vi pagheranno quando giungeranno dall’Inghilterra le fregate cariche d’oro fin sopra i ponti.

Il vivandiere prese una sedia sgangherata e si mise a lavorare così alacremente di denti, che il bretone non poté trattenersi dal dire:

– Pare impossibile! Un vivandiere che ha una cantina così ben fornita, ha una fame da tamburino. Ma che forse risparmiate tutto pei soldati, voi?

Essendo dotati tutti di appetito invidiabile, la cena scomparve in meno di dieci minuti, copiosamente annaffiata di birra doppia, nera come l’inchiostro e acidissima, ma nessuno vi fece caso. Tanto il carnefice di Boston, quanto il vivandiere, e soprattutto i due marinai, davano prova di possedere stomachi di struzzo.

– Ora, signor nipote del carnefice di Londra, – disse Testa di Pietra, caricando la pipa – dovreste compensarci di questa cena gratuita con una piccola informazione.

– Dite pure – rispose il vivandiere, il quale aveva bevuto più dei tre carnefici.

– Vorremmo sapere dove si trova il gentiluomo che domani impiccheremo.

– È più vicino a voi di quello che credete.

– Oh!

Il vivandiere gli mostrò una porta, che prima il bretone non aveva osservata.

– È là – disse. – Vi è una specie di cappella, e lì è stato condotto.

– Si trova solo?

– Credo si trovi con lui il cappellano del reggimento.

– E guardie ve ne sono?

Il vivandiere lo guardò sospettoso.

– Perché mi fate queste domande? – chiese.

– Perché vorremmo vedere quel gentiluomo prima di impiccarlo. Vi avverto per altro, signor Però Paga, che sono disposto a regalarvi un paio di dollari.

– Siete ricchi, voi carnefici?

– Guadagniamo abbastanza bene per permetterci, qualche volta, dei capricci. Vi dispiace?

– Niente affatto.

– Allora se si aprisse un buco attraverso quella porta si potrebbe vedere la nostra vittima?

– Certamente.

– Sono tanto curioso di sapere come passa il suo tempo. L’avete veduto?

– Io no.

– Lo vedrete allora domani con un palmo di lingua fuori. Signor Però Paga, ecco i due dollari promessi e andate pure a dormire. Non abbiamo più bisogno di voi.

Il cantiniere salutò, facendo risuonare i pezzi d’argento guadagnati così facilmente.

Testa di Pietra andò a chiudere la porta, si sedette, poi disse:

– Ora decidiamo.

– Che cosa vorreste fare? – chiese il boia.

– Vedere il mio comandante.

– E se vi è il cappellano?

– Che cosa importa? Non siamo noi i carnefici? Diremo che siamo stati mandati dal comandante del forte per preparare la sua funebre toeletta. Lasciate fare a me.

– E vorreste, poi…?

– Rapirlo!

– E come fareste a uscire dal forte?

– Ah! Ecco il guaio! Intanto andiamo a visitarlo. Al resto penseremo. Voi rimanete pur qui e vuotate questa bottiglia di pessima birra.

Estrasse il suo coltello da manovra e si avvicinò alla porta indicatagli da Però Paga, munita di vecchia serratura e che non avrebbe resistito ad un colpo di spalla del robusto marinaio. Si mise in ascolto e non udì nulla.

– Che quel birbante ci abbia ingannato? – si chiese il bretone, digrignando i denti. – Se mi ha rubato i due dollari, parola d’onore, lo strozzo e senza adoperare il laccio del mio compatriota.

Impugnò il coltello e fece saltare i chiodi, poi sollevò la serratura e tirò il chiavistello. La porta si aprì. Fece segno ai suoi due compagni di non muoversi poi aprì così dolcemente la porta, che i cardini non cigolarono.

Dinanzi agli sguardi del bretone apparve una specie di cappella illuminata da un paio di candele posate su un tavolino, in mezzo alle quali si alzava un crocefisso di metallo. Un uomo stava seduto presso il tavolino, colla testa fra le mani. Il bretone aveva frenato a stento un grido di gioia. Aveva riconosciuto il suo comandante, sebbene gli volgesse le spalle.

S’avanzò sulla punta dei piedi, guardando da tutte le parti, poi, pienamente rassicurato, batté sulle spalle del comandante, dicendo:

– Sir William, silenzio: non mandate nessun grido.

Il baronetto si era alzato di scatto e aveva fatto tre o quattro passi indietro, soffregandosi energicamente gli occhi e chiedendosi ripetutamente:

– Sogno?

– No, mio comandante, non sognate. Sono proprio io, Testa di Pietra, nella veste del carnefice.

– Ma come hai potuto giungere fin qui?

– Eh, la storia sarebbe troppo lunga a raccontarsi: ve la dirò un’altra volta.

– Sarà troppo tardi, perché domani gl’inglesi mi impiccheranno – rispose il baronetto con un mesto sorriso. – Howe non mi grazierà, perché mio fratello è inesorabile.

– E lo credete?

– Lo credo: mi hanno già annunziato che il boia di Boston è giunto.

– Ma insieme con me e con Piccolo Flocco! – rispose il bretone.

Il baronetto lo guardò trasognato, poi disse:

– Siete due diavoli!

– Niente affatto comandante: due bravi marinai, che vogliono vedervi ancora sul ponte di comando della Tuonante.

– Dimmi…

– Una domanda prima Non c’era il cappellano della guarnigione poco fa?

– Si, è andato a coricarsi; non tornerà prima dello spuntar del sole.

– C’è pericolo che qualche sentinella entri improvvisamente?

– Dovrebbe fare un baccano infernale per levare i catenacci e fare scorrere i chiavistelli – rispose il baronetto. – Ma, dimmi…

– Domandate pure.

– Mary? – chiese il disgraziato con voce soffocata.

– L’hanno rapita e riportata al marchese – rispose il bretone. – Non dovete disperare però: col bombardamento che infuria non si penserà a fare un matrimonio. E poi vostro fratello non è ancora guarito.

– Me lo assicuri?

– Perché dovrei ingannarvi, comandante?

– Oh, no! – protestò il baronetto.

– Vi dirò dunque che non sarete impiccato dal carnefice di Boston.

– Chi lo dice?

– Io! rispose il bretone.

– Con quale sicurezza?

– Con questa: il signor boia di Boston è mio compatriota. Vorreste che i bretoni si prestassero ai tristi giuochi degl’inglesi? Oh, no, no! Ho la sua parola, e sono sicuro che la manterrà. Vi consiglio per altro di mostrarvi docilissimo e dì lasciarvi impiccare.

– Che cosa dici, Testa di Pietra? – esclamò il baronetto. – Questo non è il momento di scherzare. Per me si tratta di morire e di morte ignominiosa.

– Comandante, – disse il mastro – ho lavorato febbrilmente per la vostra salvezza. Vi dico di lasciarvi impiccare; rispondo di tutto

– E come?

– La corda che dovrebbe strozzarvi si spezzerà subito.

– Per quale miracolo?

– Non ci pensate comandante. Tutte le precauzioni sono state prese per salvarvi e gli americani ci aiuteranno gagliardamente.

– Anche gli americani! – esclamò il baronetto.

– Diamine! Domani, quando conteranno dì impiccarvi, il colonnello Moultrie ed Ashe daranno al forte un assalto formidabile, appoggiato dalla Tuonante.

– Dalla mia corvetta! – esclamò il Corsaro, i cui occhi si erano illuminati d’una luce strana.

– Sì, anche i pezzi della corvetta prenderanno parte all’attacco, comandante.

– Così – disse, fermandosi improvvisamente dinanzi a Testa di Pietra che lo guardava con angoscia – dovrò lasciarmi mettere la corda al collo?

– Ve l’ho detto: una semplice commedia, comandante, che sarà subito interrotta dalle artiglierie della vostra Tuonante.

– La mia corvetta! – esclamò il Corsaro. – Che possa tornare a bordo della mia nave, e sfiderò tutta la flottiglia inglese che ingombra il porto.

– La rimonterete, comandante; vi dò la parola d’onore d’onesto marinaio.

In quel momento si sentì un rumore dietro la porta della cappella che metteva nel corridoio. Le sentinelle facevano la loro visita.

– Fuggi, Testa di Pietra, – disse il Corsaro. – Non lasciarti sorprendere.

Il bretone fece due salti, raggiunse la porta del magazzino, e la chiuse silenziosamente, borbottando:

– Canaglie! Non avrete la sua pelle. Parola di bretone!

Il boia e Piccolo Flocco, che non avevano lasciato il tavolino, lo interrogarono con lo sguardo.

– Tutto va bene – rispose Testa di Pietra. – Possiamo prendere un po’ di riposo. Per il borgo di Batz! La giornata è stata movimentata ed abbiamo diritto di chiudere gli occhi.

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