I fiori che addormentano (seconda parte)

Il prigioniero afferrò una delle sbarre e la scosse furiosamente; la curvò ma non la spezzò.
– La fuga per di qui è impossibile, – mormorò.
Si guardò attorno cercando un oggetto qualsiasi che potesse aiutarlo a svellere le spranghe, ma non ne trovò alcuno.
– Sono perduto, – mormorò, con ispavento. – Eppure non voglio morire, non voglio scendere nella tomba ora che la felicità è vicina.
S’avvicinò alla porta, ma s’arrestò di botto. Un sordo mugolìo, che veniva dal di fuori, era giunto improvvisamente fino a lui.
Volse la testa verso la feritoia e la vide occupata da una massa oscura in mezzo alla quale brillavano due punti luminosi, verdognoli.
Una speranza gli attraversò il cervello.
– Darma!… Darma!… – mormorò con voce tremante per l’emozione.
La tigre emise un secondo brontolìo, scuotendo le spranghe di ferro.
Il prigioniero s’avventò verso la feritoia, afferrando le zampe della fedele bestia.
– Sono salvo! – esclamò egli. – Brava Darma, lo sapevo che tu saresti venuta a trovare il tuo padrone. Ora non temo più il capitano né il suo sergente.
Lasciò la feritoia e corse in un angolo dove aveva visto un brano di carta. Lo pulì accuratamente, si morse un dito facendo uscire alcune goccie di sangue e con una scheggia strappata al palo scrisse rapidamente e come lo permettevano le tenebre, le seguenti righe:
Sono stato tradito e rinchiuso nella prigione di Negapatnan.
Soccorretemi prontamente o tutto è perduto.
Tremal-Naik Arrotolò la cartolina, tornò alla feritoia, la legò con una cordicella al collo della tigre.
– Corri, Darma, ritorna dai “thugs”, – le disse: – Il tuo padrone corre un gran pericolo.
La fiera scosse la testa e partì colla rapidità di una freccia.
– Va’, – diceva l’indiano, seguendola cogli occhi.- Essi comprenderanno quale pericolo io corro e verranno a salvarmi o mi daranno almeno un mezzo qualsiasi per evadere.
Passò una lunga ora. Tremal-Naik aggrappato convulsivarnente alle sbarre, attendeva ansiosamente il ritorno, in preda a mille timori.
D’un tratto nel fondo della pianura scorse la tigre che s’avvicinava con balzi giganteschi.
– Se la scoprissero? mormorò, tremando.
Fortunatamente Darma poté giungere fino alla feritoia senza essere stata scoperta dalle sentinelle. Al collo portava un grosso involto che Tremal-Naik, con gran pena, riuscì a far passare tra le sbarre.
L’aperse. Conteneva una lettera, una rivoltella, un pugnale, delle munizioni, un laccio e due mazzolini di fiori accuratamente rinchiusi in due vasi di cristallo.
– Cosa significano questi fiori? – si domandò, sorpreso.
Aprì la lettera, la espose ad un raggio di luna che penetrava per la feritoia e lesse:
Siamo circondati da alcune compagnie di sipai, ma uno dei nostri segue Darma.
Grandi pericoli ci minacciano e la tua evasione è necessaria.
Unisco alle armi due mazzi di fiori. I bianchi addormentano, i rossi combattono l’efficacia dei bianchi.
Addormenta le sentinelle e tieni ben appresso i rossi. Una volta libero, espugna l’abitazione e tronca la testa del capitano.
Nagor segnalerà la sua presenza col noto fischio e ti presterà man forte. Affrettati.
Kougli Forse qualche altro si sarebbe spaventato nel leggere quella lettera, ma non così Tremal-Naik. In quel momento supremo si sentiva tanto forte da espugnare la casa anche senza l’aiuto di Nagor.
– L’amore mi darà la forza e il coraggio per operare il miracolo, – aveva detto egli.
Nascose le armi e le munizioni sotto un mucchio di terra e tornò alla feritoia.
– Vattene, Darma, – le disse. – Tu corri un gran pericolo.
La tigre s’allontanò, ma non aveva fatto venti passi che s’udì una delle sentinelle gridare:
– La tigre!… La tigre!…
Vi tenne dietro un colpo di fucile.
Un’altra detonazione rimbombò, ma la brava bestia aveva raddoppiata corsa e in breve tempo fu fuori di vista.
S’udì un rumore di passi precipitati ed alcuni uomini s’arrestarono dinanzi alla feritoia.
– Ehi! – esclamò una voce che Tremal-Naik riconobbe per quella di Bhârata. – Dov’è la tigre?
– E’ scappata, – rispose la sentinella che stava nella veranda.
– Dov’era?
– Presso la feritoia.
– Scommetterei cento rupie contro una, che è un’amica di Saranguy.
Presto, due uomini nella cantina o il briccone ci sfugge.
Tremal-Naik aveva udito tutto. Prese i due vasi, li spezzò, gettò i fiori bianchi nell’angolo più oscuro, nascose i rossi in seno e si sdraiò addosso al palo, accomodandosi attorno al corpo le corde e stringendole meglio che poté.
Era tempo! Due sipai armati e muniti d’una torcia resinosa entrarono.
– Ah! – esclamò uno. – Ci sei ancora, Saranguy?
– Chiudi il becco che io voglio dormire, – disse Tremal-Naik fingendosi di cattivo umore.
– Puoi dormire, mio caro, e con tutta tranquillità poiché noi veglieremo.
Tremal-Naik alzò le spalle, s’appoggiò al palo e chiuse gli occhi. I due sipai, piantata la fiaccola in una spaccatura della parete, si sedettero per terra colle carabine fra le ginocchia.
Erano trascorsi appena pochi minuti quando Tremal-Naik avvertì un acuto profumo che davagli alla testa, malgrado i fiori rossi che tramandavano un profumo non meno acuto e affatto speciale.
Guardò i due sipai: sbadigliavano in modo tale da temere che si slogassero le mascelle.
– Provi nulla tu? – chiese il soldato più giovane, dopo qualche tempo.
– Sì, – rispose il compagno. – Mi pare d’essere…
– Ubbriaco, vuoi dire.
– Proprio così, e mi sento prendere da una voglia irresistibile di chiudere gli occhi.
– Da cosa provenga ciò?
– Non lo saprei.
– Che ci sia qualche manzanillo presso di noi?
– Non ne ho veduto nel parco.
La conversazione cadde lì. Tremal-Naik, che stava attento, li vide chiudere a poco a poco gli occhi, riaprirli tre o quattro volte, poi richiuderli. Lottarono ancora per qualche minuto, poi caddero pesantemente a terra, russando sonoramente.
Era il momento d’agire. Tremal-Naik si strappò di dosso i legami e silenziosamente s’alzò.
– La libertà…! esclamò.
Andò a prendere le armi, legò solidamente i due addormentati e slanciossi verso la scala.

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