Il salvatore (seconda parte)

Ben sapendo che le tigri talvolta si fingono morte per gettarsi di sorpresa sul cacciatore, stava per tornare indietro, ma gli mancò il tempo.
Il misterioso suono del “ramsinga” tornò a echeggiare. La tigre a quella nota scattò in piedi, si scagliò sul capitano e lo atterrò. La sua enorme bocca, irta di denti, si spalancò sopra di lui pronta a stritolarlo.
Il capitano Macpherson, inchiodato al suolo, in maniera da non potersi muovere, né servirsi del coltellaccio, emise un grido d’angoscia.
– A me!… Sono perduto.
– Tenete fermo, ci sono! – urlò una voce tonante.
Un indiano si gettò fuori della macchia, afferrò la tigre per la coda e con un violento strappone la scaraventò da una parte.
S’udì un ruggito furioso. L’animale, pazzo di collera, s’era prontamente alzato per gettarsi sul nuovo nemico; ma, cosa strana, inaudita appena che l’ebbe scorto fece un rapido voltafaccia e s’allontanò con fantastica rapidità, scomparendo fra l’inestricabile caos della jungla.
Il capitano Macpherson, sano e salvo, s’era prontamente levato in piedi. Un profondo stupore si dipinse tosto sui suoi lineamenti.
A cinque passi da lui stava un indiano di forme muscolose, grandemente sviluppate, con una testa superba, piantata su due larghe e robuste spalle.
Un piccolo turbante ricamato in argento copriva il suo capo ed ai fianchi portava un sottanino di seta gialla, stretto da un bellissimo scialle di cachemire. Quell’uomo, che aveva intrepidamente affrontato la tigre non aveva alcuna arma.
Colle braccia incrociate, lo sguardo sfavillante d’ardire, egli fissava con curiosità il capitano, conservando l’immobilità d’una statua di bronzo.
– Se non m’inganno, ti devo la vita, – disse il capitano.
– Forse, – rispose l’indiano.
– Senza il tuo coraggio a quest’ora sarei morto.
– Lo credo.
– Dammi la mano; tu sei un prode.
L’indiano strinse, con un tremito, la mano che Macpherson gli porgeva.
– Posso io conoscere il tuo nome, o mio salvatore?
– Saranguy, – rispose l’indiano.
– Non lo scorderò mai.
Fra loro due successe un breve silenzio.
– Cosa posso fare per te? – ripigliò il capitano.
– Nulla.
Macpherson estrasse una borsa rigonfia di sterline e gliela porse.
L’indiano la respinse con nobile gesto.
– Non so che farne dell’oro, – dissegli.
– Sei ricco tu?
– Meno di quello che credete. Sono un cacciatore di tigri delle “Sunderbunds”.
– Ma perché ti trovi qui?
– La jungla nera non ha più tigri. Sono salito al nord a cercarne delle altre.
– E dove vai ora?
– Non lo so. Non ho patria, né famiglia; erro a capriccio.
– Vuoi venire con me?
– Gli occhi dell’indiano mandarono un lampo.
– Se avete bisogno d’un uomo forte e coraggioso, che non teme né le belve, né l’ira degli dei, sono vostro.
– Vieni, o prode indiano, e non avrai a lagnarti di me.
Il capitano girò sui talloni, ma s’arrestò subito.
– Dove credi che sia fuggita la tigre?
– Molto lontano.
– Sarà possibile trovarla!
– Non lo credo. Del resto m’incarico io d’ammazzarla, e fra non molto tempo.
– Ritorniamo al “bengalow”.
Bhârata, che aveva assistito con stupore a quella scena, li aspettava presso l’elefante.
Egli si slanciò contro al capitano.
– Sei ferito, padrone? – gli chiese, ansiosamente.
– No, mio bravo sergente, – rispose Macpherson. Ma se non giungeva questo indiano, non sarei ancora vivo.
– Sei un grand’uomo, – disse Bhârata a Saranguy. Non ho mai veduto un simile colpo; tu tieni alta la fama della nostra razza. – Un sorriso fu l’unica risposta dell’indiano.
I tre uomini salirono nell'”hauda” e in meno di mezz’ora raggiunsero il “bengalow” dinanzi al quale li aspettavano i sipai.
La vista di quei soldati fece corrugare la fronte di Saranguy. Parve inquieto e represse con grande sforzo un gesto di dispetto. Per fortuna nessuno avvertì quel movimento che fu, del resto, rapido come un lampo.
– Saranguy, – disse il capitano, nel momento che entrava con Bhârata, – se hai fame, fatti additare la cucina; se vuoi dormire, scegli quella stanza che meglio ti accomoda; e se vuoi cacciare, domanda quell’arma che meglio ti conviene.
– Grazie, padrone, – rispose l’indiano.
Il capitano entrò nel “bengalow”. Saranguy si sedette presso la porta.
La sua faccia era diventata allora assai cupa e gli occhi brillavano d’una strana fiamma. Tre o quattro volte s’alzò come se volesse entrare nel “bengalow”, e sempre tornò a sedersi.
– Chissà quale sorte toccherà a quell’uomo, mormorò egli con voce sorda. – Forse la morte. E’ strano, eppure quell’uomo mi interessa, eppure sento che quasi lo amo! Appena lo scorsi sentii il mio cuore fremere in modo inesplicabile; appena udii la sua voce mi sentii quasi commosso. Non so, ma quel volto somiglia… Non nominiamola…
Tacque diventando ancor più tetro.
– E sarà qui lui? si chiese d’un tratto. – E se non vi fosse?
Si alzò per la quinta volta e si mise a passeggiare colla testa china.
Passando dinanzi ad un recinto, udì alcune voci che venivano dall’interno. Si arresto alzando bruscamente la testa. Parve indeciso, si guardò attorno come volesse assicurarsi che era solo, poi si lasciò cadere ai piedi della palizzata, tendendo con molta attenzione gli orecchi.
– Te lo dico io, – diceva una voce. – Il birbone ha parlato dopo le minaccie di morte del capitano Macpherson.
– Non è possibile, – diceva un’altra voce. – Quei cani di “thugs” non si lasciano intimidire dalla morte. Ho visto coi miei propri occhi, delle diecine di “thugs” lasciarsi fucilare senza nulla dire.
– Ma il capitano Macpherson ha dei mezzi ai quali nessuna creatura ana resiste.
– Quell’uomo è molto forte. Si lascierà strappare di dosso la pelle, prima di dire una sola parola.
Saranguy divenne più attento, e accostò viepiù l’orecchio alla palizzata.
– E dove credi che l’abbiano rinchiuso?- chiese la prima voce.
– Nel sotterraneo, – rispose l’altra- Quell’uomo è capace di scappare.
– E’ impossibile, poiché le pareti hanno uno spessore enorme, di più uno dei nostri veglia.
– Non dico che scapperà da solo, ma aiutato dai “thugs”.
– Credi tu che ronzino da queste parti?
– La scorsa notte abbiamo udito dei segnali e mi si disse che un sipai scorse delle ombre.
– Mi fai venire i brividi.
– Hai paura tu?
– Puoi crederlo. Quei maledetti lacci di rado falliscono.
– Avrai paura ancora per poco – Perché?
– Perché li assaliremo nel loro covo. Negapatnan confesserà tutto.
Saranguy udendo quel nome era balzato in piedi, in preda ad una viva eccitazione.. Un sorriso sinistro sfiorò le sue labbra e guardò trucemente.
– Ah! – esclamò egli con voce appena distinta. – Negapatnan è qui!
I maledetti saranno contenti.

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