Il secondo colpo dello strangolatore (prima parte)

Kammamuri cominciava a diventare inquieto. Il sole calava rapidamente all’orizzonte ed i due cacciatori non erano ancora tornati, anzi nessun colpo di fucile erasi udito rombare nella jungla.
Egli non sapeva capacitarsi di quella prolungata assenza e di quell’assoluto silenzio. Entrava ed usciva dalla capanna, interrogava attentamente l’orizzonte, sperando di vederli spuntare fra la sterminata piantagione di bambù, costringeva Punthy ad abbaiare, ma senza alcun frutto.
Più volte si spinse, assieme alla tigre, fino ai primi bambù e porse l’orecchio ai rumori del largo; più volte fe’ rimbombare l'”hulok” sospeso alla porta della capanna e più volte bruciò una carica di polvere. Il silenzio che regnava nelle pianure del sud non fu rotto.
Scoraggiato, si sedette sul limitare della capanna, attendendo ansiosamente il loro ritorno. Vi era da pochi minuti, quando la tigre balzò in piedi facendo udire un sordo miagolio a cui fecero eco i festosi abbaiamenti di Punthy.
Kammamuri si alzò, credendo che arrivassero i cacciatori, ma non vide alcuno. Si volse ed appoggiato allo stipite della porta, scorse Tremal-Naik.
– Tu, padrone! – esclamò egli con stupore. – Tu!…
– Sì, Kammamuri, – rispose Tremal-Naik, con un amaro sorriso.
– Quale imprudenza!… Sei ancora convalescente e…
– Taci, sono forte, più forte di quello che credi,- rispose il “cacciatore di serpenti” quasi con rabbia. – Ho sofferto troppo in quell’amaca, è ora che la sia finita.
Egli fece alcuni passi innanzi senza barcollare senza dimostrare fatica e sedette fra le erbe, prendendosi la testa fra le mani e guardando fisso il sole che tramontava all’occidente.
– Padrone, – disse Kammamuri, dopo alcuni istanti di silenzio.
– Cosa vuoi?
– I cacciatori non sono ancora tornati. Temo che sia accaduta qualche disgrazia.
– Chi te lo dice?
– Nessuno, ma lo sospetto. Nella jungla possono aggirarsi quegli uomini che assassinarono Hurti e pugnalarono te.
La faccia di Tremal-Naik divenne cupa.
– Sono forse qui? – chiese egli.
– Forse.
– Presto, Kammamuri, sarò guarito, ritorneremo in quell’isola maledetta e li stermineremo tutti, tutti!
– Che?… – esclamò Kammamuri, con ispavento. Noi ritornare in quell’isola?… Padrone, cosa dici?
– Hai paura tu?
-No, ma ritornare laggiù, in quei luoghi, è una follia.
– Follia!… Follia tu dici?… Non sai tu adunque chi ho lasciato laggiù, nelle mani di quegli uomini?
– Chi mai?
– La “vergine della pagoda”.
– Chi è questa donna?
– Una creatura bella, Kammamuri, che io amo alla pazzia, e per la quale metterei l’India in fiamme.
– Hai lasciato una donna laggiù?
– Sì, Kammamuri, quella stessa che io mirava al tramontare del sole nella mia jungla. Ada! Ada! Quanto m’hai fatto soffrire!
– E’ la visione adunque?
– Sì, la visione.
– Ma come si trova a Raimangal?
– Una condanna pesa sulla disgraziata fanciulla, Kammamuri. Quei mostri la tengono in loro mano, non so il come, né il perché. Io l’ho veduta nella pagoda a versare dei profumi ai piedi d’un mostro di bronzo.
– D’un mostro!… Quella donna sarà forse al pari degli altri.
– Non ripetere quest’insulto, Kammamuri, – esclamò Tremal-Naik, con accento minaccioso. – Son gli uomini che l’han condannata, che le fanno adorare quel mostro di bronzo! Lei feroce!… Lei!… povera fanciulla!…
– Perdono, padrone balbettò il maharatto.
– Non sapevi nulla e ti perdono. Ma quegli uomini che l’han condannata, che la fanno morire di pianto, quegli uomini che le straziano il cuore e mi fan barriera onde non la salvi dai loro artigli, li esterminerò tutti, Kammamuri, tutti! Ho qui nel petto ancor le traccie del loro pugnale, e mi faranno ricordare in ogni tempo la vendetta! Non rimarrai no, nelle loro mani, o infelice Ada, perché Tremal-Naik, dovesse pagare colla sua vita la tua libertà, ti toglierà da quegli orribili luoghi per quanto sieno ben guardati e irti di ostacoli. Tremino allora coloro che t’avranno tormentata, coloro che hanno avvelenato la tua giovane esistenza. Darma ed io c’incaricheremo di ucciderli tutti, nelle loro spaventevoli caverne!
– Mi fai paura, padrone. E se ti uccidessero?
– Morrò per colei che amo! – esclamò con trasporto appassionato Tremal-Naik.
– E quando partiremo?
– Appena avrò la forza d’alzare la carabina. Son già forte, ma non tanto da pugnare contro tutti loro.
In quell’istante, al sud, rimbombò una fucilata seguita tosto da due altre detonazioni. Darma fece un salto, mugolando.
Il maharatto e Tremal-Naik scattarono in piedi, trattenendo Punthy che abbaiava furiosamente.
– Cosa succede? – chiese il maharatto, strappandosi dalla cintola il coltellaccio.
– Kammamuri!… Kammamuri!…, – gridò una voce.
– Chi chiama? – chiese Tremal-Naik.
– Grande Brahma!… Manciadi! – esclamò il maharatto.
Infatti il bengalese, con rapidità grandissima attraversava la jungla, sfondando la fitta cortina di bambù ed agitando come un pazzo la carabina. Pareva in preda ad un vivo terrore.
-Kammamuri!… Kammamuri! – ripeté egli con voce strozzata.
– Corri, Manciadi, corri! – gridò il maharatto. Che sia inseguito?
Attenta, Darma!
La tigre si raccolse su se stessa cogli artigli aperti, e aprì la bocca mostrando una doppia fila di denti aguzzi.
Il bengalese, che correva molto rapidamente, in pochi minuti giunse alla capanna. Il miserabile aveva la faccia insanguinata per una ferita che s’era fatta sulla fronte per meglio colorire il tradimento ed aveva la tunica pure macchiata.
– Padrone!… Kammamuri! – esclamò egli, piangendo disperatamente.
– Cosa ti è accaduto? – chiese Tremal-Naik con angoscia.
– Hanno ferito a morte Aghur!… Povero me… non ne ho colpa, padrone… ci sono balzati addosso… Aghur! povero Aghur!
– L’hanno ferito! – esclamò Tremal-Naik con furore. – Chi? Chi?
– I nemici… gl’indiani dai lacci…
– Maledizione!… Parla, narra, di’ su, voglio saper tutto!
– Eravamo seduti in un bosco di giacchieri, disse il miserabile, continuando a singhiozzare.
– Ci sono balzati addosso prima che potessimo prendere le armi ed Aghur è caduto. Io ho avuto paura e sono fuggito.
– Quanti erano?
– Dieci, dodici, non ricordo bene quanti. Sono fuggito per miracolo.
– E’ morto Aghur?
– No, padrone, non può esser morto. L’hanno pugnalato, poi sono scomparsi. Fuggendo, udii il ferito gridare, ma non ebbi il coraggio di ritornare presso di lui.
– Sei un vigliacco, Manciadi!
– Padrone, se fossi ritornato mi avrebbero ucciso, – singhiozzò il bengalese.
– Quando la finiranno adunque? – gridò Tremal-Naik. – Kammamuri, forse Aghur non è morto; bisogna andarlo a trovare e portarlo qui.
– E se mi assaltano? – chiese Kammamuri, terrorizzato.
– Prenderai con te Darma e Punthy. Con questi animali puoi tenere testa a cento uomini.
– Ma chi mi guiderà?
– Manciadi.
– E tu vuoi rimanere nella capanna solo?
– Basto io solo per difendermi. Va’ e non perdere tempo, se vuoi salvare il povero Aghur. Manciadi, guida quest’uomo al bosco.
– Padrone ho paura.
– Guida quest’uomo al bosco; se esiti, ti faccio sbranare dalla tigre.
Tremal-Naik aveva pronunciato quelle parole con tale tono, da far comprendere a Manciadi che non era uno scherzo. Affettando il massimo terrore, si unì al maharatto che si era armato della carabina e d’un paio di pistole.
– Padrone, – disse Kammamuri, – se fra due o tre ore non ritorniamo, vorrà dire che siamo stati assassinati. Il canotto è arenato sulla riva; penserai a metterti in salvo.
– Mai! – esclamò Tremal-Naik. – Ti vendicherò a Raimangal; taci e parti.
Il maharatto e Manciadi, preceduti dal cane e dalla tigre, si slanciarono di corsa in mezzo alla jungla.
Il sole era di già scomparso sotto l’orizzonte, ma la luna sorgeva, spandendo una luce azzurrognola, d’una infinita dolcezza, sufficiente per guidare i due indiani attraverso la massa dei bambù.

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