Il trionfo degli strangolatori (seconda parte)

Tremal-Naik attraversò la galleria e andò ad urtare Kammamuri, il quale trasalì vivamente.
– Chi sei? – chiese questi sottovoce, puntandogli sul petto una pistola.
– Hai udito? – domandò Tremal-Naik.
– Ah! sei tu, padrone? Sì, ho udito un lieve rumore. Qualcuno si avanza strisciando.
– Gli strangolatori, forse?
– Credo che siano loro, padrone.
Tremal-Naik fremette dal capo ai piedi e si volse verso la spelonca.
Gli occhi della tigre non luccicavano più. Una vaga inquietudine s’impadronì di lui.
– Cosa accadrà! mormorò.
Fece qualche passo indietro come se volesse ritornare, ma si arrestò subito, udendo a poca distanza un lieve respiro. Afferrò la mano di Kammamuri e la strinse forte forte.
– Nulla? – mormorò una voce.
– Nulla, – rispose un’altra voce appena distinta.
– Abbiamo smarrita la via?
– Lo temo.
– Sai dove andiamo?
– Credo di sì.
– Vi sono dei passaggi?
– Non mi pare.
– Dei nascondigli?
– Un pozzo, se ben ricordo.
– Che siano laggiù?
– Impossibile saperlo.
– Vuoi proseguire?
– Preferisco ritornare.
– Chi ci segue?
– Nessuno, ma a trecento passi, fermi sull’angolo abbiamo dei fratelli.
– Non potranno uscire di qui, adunque?
– No, perché i nostri fratelli vegliano.
– Ritorniamo e più tardi rovisteremo la caverna.
Si udì un lieve strofinìo che a poco a poco divenne più leggiero, fino a che cessò del tutto.
Tremal-Naik tornò ad afferrare la mano di Kammamuri.
– Hai udito?
– Tutto, padrone, – rispose il maharatto.
– Ogni uscita ci è chiusa.
– Ci conviene indietreggiare, padrone.
– Ma più tardi ritorneranno e forse ci scopriranno.
– Non so cosa dire.
– Se forzassimo il passo? Trecento passi si possono percorrere senza essere uditi.
– E Ada?
– La porterò io e nessuno ardirà toccarla.
– Ma alla prima archibusata avremo addosso tutti i settari. L’eco si propaga rapidamente in queste gallerie.
Tremal-Naik si lacerò il petto colle unghie.
– Dovrò io dunque perderla? – mormorò egli con accento disperato.
– E se si scendesse nel pozzo? – disse Kammamuri.
– Nel pozzo?
– Sì, non li hai uditi parlare d’un pozzo? Forse mette in qualche galleria che ci condurrà all’aperto.
– Se fosse vero?
– Ritorniamo, padrone.
Tremal-Naik non se lo fece ripetere due volte. Raggiunse il muro e lo seguì fino a che trovossi nell’antro. La tigre fece udire il suo sordo brontolio.
– Taci, Darma, diss’egli.
Le si avvicinò e s’abbassò verso terra.
– Ada, Ada, ripeté con viva ansietà.
Nessuno rispose alla chiamata, ma sentì sottomano il corpo gelido della giovanetta.
Frugò in direzione del cuore e lo sentì battere. Un gran sospiro gli uscì dalle labbra.
– Non sarà nulla, – diss’egli. – Ritornerà in sé.
– Lo credi, padrone? – chiese Kammamuri.
– Sì, ritornerà in sé, e fra pochi minuti. L’emozione che provò deve essere stata forte. Orsù, cerchiamo il pozzo, Kammamuri.
– Lascia fare a me, padrone. Tu pensa alla tua Ada, ed impedisci che qualcuno entri nella spelonca.
Si mise a cercare, andando un po’ a dritta e un po’ a sinistra, a tentoni, avanzando, retrocedendo e spesso abbassandosi. Quattro volte andò ad urtare contro le pareti senza aver nulla trovato e altrettante volte tornò presso il padrone. Già disperava di poterlo rintracciare, quando si trovò addosso ad un parapetto, il quale, secondo i suoi calcoli, doveva sorgere quasi nel mezzo della spelonca.
– Questo dev’essere il pozzo, – mormorò.
Si alzò facendo scorrere le mani sul muricciuolo e sentì che a qualche metro dal suolo piegavasi. Girò attorno, poi si chinò sul parapetto e guardò giù. Non iscorse che tenebre.
Prese una palla di carabina e la lasciò cadere. Dopo due secondi udì un sordo rumore.
– Bene, il pozzo non ha acqua e non è tanto profondo. Padrone! – chiamò egli.
Tremal-Naik sollevò con precauzione la giovanetta e lo raggiunse.
– Ebbene? – chiese questi.
– La fortuna è con noi. Possiamo scendere.
– Vi è qualche gradinata?
– Non mi sembra. Scenderò io pel primo.
Si legò attraverso il corpo una fune che aveva portato con sé, pose l’estremità nelle mani di Tremal-Naik e si calò intrepidamente nel pozzo agitando le gambe nel vuoto. La discesa durò un quarto di minuto al più, dopo di che Kammamuri posò i piedi su di un terreno ben levigato che risuonò come se sotto fosse vuoto.
– Alto, padrone, – diss’egli.
– Odi nulla? chiese Tremal-Naik, curvandosi sul parapetto.
– Non vedo, né odo nulla. Calami la giovanetta, poi lasciati cader giù. Non vi sono più di otto piedi.
Ada, legata sotto le ascelle, passò fra le braccia di Kammamuri, poi Tremal-Naik si lasciò cadere giù portando seco la corda.
– Credi che ci troveranno qui? – chiese il maharatto.
– Forse, ma io ritengo che la difesa sarà facile.
– Che vi siano dei passaggi?
– Non lo credo, a ogni modo ci assicureremo più tardi. Tu rimani qui colla tigre; io accenderò una torcia che ho portata e tenterò di far tornare in sé Ada.
Riprese la giovanetta e la trasportò cinquanta passi più lontano, mentre che la tigre con un gran salto precipitavasi nel pozzo, sdraiandosi a fianco del maharatto.

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