Il vendicatore di Hurti (prima parte)

I “banian”, chiamati altresì “al moral” o “fichi delle pagode”, sono gli alberi più strani e più giganteschi che si possa immaginare.
Hanno l’altezza ed il tronco delle nostre più grandi e più grosse quercie e dagli innumerevoli rami, tesi orizzontalmente, scendono delle finissime radici aeree, le quali, appena toccano terra, s’affondano e s’ingrossano rapidamente, infondendo nuovo nutrimento e più vigorosa vita alla pianta.
Avviene così, che i rami s’allungano sempre più, generando nuove radici e quindi nuovi tronchi sempre più lontani, di maniera che un albero solo copre una estensione vastissima di terreno. Si può dire che forma una foresta sostenuta da centinaia e centinaia di bizzarri colonnati, sotto i quali i sacerdoti di Brahma collocano i loro idoli.
Nella provincia di Guzerate esiste un “banian” chiamato “Cobir bor” assai venerato dagli indiani ed al quale non esitano a dare tremila anni d’età; ha una circonferenza di duemila piedi e non meno di tremila colonne o radici che dir si voglia. Anticamente era assai più vasto, ma parte di esso fu distrutto dalle acque del Nerbudda, che rosero una parte dell’isola su cui cresce.
Il “banian” sotto il quale i due indiani stavano per passare la notte, era uno dei più giganteschi, fornito di più di seicento colonne, sostenenti smisurati rami carichi di piccoli frutti vermigli e con un tronco grossissimo, ma che ad una certa altezza era tagliato.
Tremal-Naik e Kammamuri, dopo di avere esaminato scrupolosamente colonnato per colonnato per assicurarsi che dietro non celavasi alcuno, si sedettero vicino al tronco l’uno presso l’altro, colla carabina montata, posata sulle ginocchia.
– Qui qualcuno verrà, – disse il “cacciatore di serpenti”, sottovoce.
– Sfortuna al primo che giunge sotto il tiro della mia carabina.
– Credi adunque che gli esseri misteriosi che assassinarono Hurti, vengano qui? – chiese Kammamuri.
– Sono certissimo. Vedrai, maharatto, che prima di domani, noi sapremo qualche cosa.
– Ci impadroniremo del primo che viene e lo accopperemo.
– Secondo le circostanze. Orsù, silenzio ora, ed occhi bene aperti.
Trasse da una tasca una foglia somigliante a quella dell’edera, conosciuta in India sotto il nome di “betel” d’un sapore amarognolo e un poco pungente, vi unì un pezzetto di noce di “arecche” e un po’ di calce e si mise a masticar questo miscuglio che vuolsi conforti lo stomaco, fortifichi il cervello, preservi i denti e curi l’alito.
Passarono due ore lunghe come due secoli, durante le quali nessun rumore turbò il silenzio che regnava sotto la fitta ombra del gigantesco albero. Doveva essere la mezzanotte o poco meno, quando a Tremal-Naik, che tendeva per bene gli orecchi, sembrò di udire un rumore strano. Lo si avrebbe detto un rombo, simile a uno di quelli che precedono talvolta i terremoti, ma assai più sordo. Tremal-Naik si sentì invadere da una vaga inquietudine.
– Kammamuri – mormorò con un filo di voce. – Sta’ in guardia.
– Cos’hai veduto? – chiese il maharatto, trasalendo.
– Nulla, ma ho udito un rumore che mi è nuovo.
– Dove?
– Mi parve che venisse da sotto terra.
– E’ impossibile, padrone!
– Tremal-Naik ha gli orecchi troppo acuti per ingannarsi.
– Cosa pensi che sia?
– L’ignoro, ma lo sapremo.
– Padrone, qui c’è qualche terribile mistero.
– Hai paura?
– No, sono maharatto.
– Allora sveleremo ogni cosa.
In quell’istante, sotto terra, s’udì distintamente ripetersi il misterioso rombo. I due indiani si guardarono in volto con sorpresa.
– Si direbbe che qui sotto suonano qualche enorme tamburo, I’hauk per esempio, – disse Tremal-Naik.
– Non può essere altrimenti, – rispose Kammamuri.- Ma come mai viene da sotto terra? Che abbiano il loro asilo sotto la jungla, questi esseri misteriosi?
– Così deve essere, Kammamuri.
– Cosa facciamo, padrone?
– Rimarremo qui: qualche persona uscirà da qualche parte.
– Tykora! – gridò una voce.
I due indiani balzarono simultaneamente in piedi. Cosa strana, incrediblle: quella voce era stata pronunciata così vicina a loro, da credere che la persona che l’aveva e messa fosse dietro le loro spalle.
– Tykora! – mormorò Tremal-Naik. – Chi pronunciò questo nome? Guardò attorno, ma non vide alcuno; guardò in alto, ma non scorse che i rami del “banian”, confusi fra le tenebre.
– Che ci sia qualcuno nascosto fra i rami?
– Ma no, – disse Kammamuri, tremando. – La voce si udì dietro di noi.
– E’ strano.
– Tykora! – esclamò la medesima voce misteriosa.
I due indiani tornarono a guardarsi intorno. Non era più possibile ingannarsi; qualcuno stava a loro vicino, ma con loro sorpresa e diciamolo pure, terrore, non era visibile.
– Padrone, – mormorò Kammamuri, – abbiamo da fare con qualche spinto.
– Non credo agli spiriti, io, – rispose Tremal-Naik. – Quest’essere che si diverte a spaventarci lo scopriremo.
– Oh!… – esclamò il maharatto, facendo tre o quattro passi indietro, come un ubriaco.
– Cosa vedi Kammamuri?
– Guarda lassù… padrone! Guarda!…
Tremal-Naik alzò gli occhi sul “banian” e scorse un fascio di luce uscire dal tronco mozzato. Malgrado il suo straordinario coraggio, si sentì agghiacciare il sangue nelle vene.
– Della luce! – balbettò, sgomentato.
– Scappiamo, padrone! – supplicò Kammamuri.
Sotto terra si udì per la terza volta il misterioso boato e dal tronco del “banian” uscì la squillante nota del “ramsinga”. In lontananza echeggiarono altre note simili.
– Fuggiamo, padrone! – ripeté Kammamuri, pazzo di terrore.
– Mai! – esclamò Tremal-Naik, risolutamente.
Aveva messo il pugnale fra i denti e afferrato la carabina per la canna per servirsene come d’una mazza. D’un tratto cambiò idea.
– Vieni, Kammamuri, – diss’egli. – Prima d’incominciare la pugna, sarà meglio vedere con chi dobbiamo lottare.
Egli trascinò il maharatto ad un duecento passi dal tronco del “banian” e si nascosero dietro a tre o quattro colonne riunite che permettevano ai due indiani di vedere senza essere scoperti.
– Non una parola, ora, – disse. – Al momento opportuno agiremo.
Dal colossale tronco del “banian” uscì un’ultima nota acutissima che svegliò tutti gli echi delle “Sunderbunds”. Il fascio di luce che usciva dalla sommità dell’albero si spense e in sua vece apparve una testa umana, coperta da una specie di turbante giallo.

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