La tortura (prima parte)

Il più era fatto. Non restava ora che a far parlare il prigioniero, cosa non tanto facile essendo gl’indiani più cocciuti delle pelli- rosse dell’America. Però, i due “cacciatori di serpenti” possedevano dei mezzi potenti per far sciogliere la lingua anche ad un muto.
Disteso il prigioniero in mezzo alla capanna, accesero a poca distanza dai suoi piedi un gran fuoco, ed attesero pazientemente che ritornasse in sé, per cominciare la prova.
Non corse molto tempo che l’indiano diede segno d’essere ancora vivo.
Il petto gli si sollevò impetuosamente dilatandosi, agitò le membra, si scosse e finalmente aprì gli occhi fissandoli sul “cacciatore di serpenti” che stavagli curvato sopra.
Tosto una profonda meraviglia si dipinse sul suo volto e subito dopo i suoi lineamenti si alterarono dimostrando dispetto, terrore e rabbia.
Le sue dita si contrassero rigando colle unghie il terreno e un sogghigno feroce sfiorò le sue labbra, mostrando due file di denti aguzzi come quelli di una tigre.
– Dove sono? – chiese egli con voce sorda. Tremal-Naik avvicinò il volto a quello di lui.
– Mi riconosci? – gli chiese, frenando a gran pena l’ira che bollivagli nel petto. – Mi riconosci?
– Se non m’inganno, tu sei l’uomo che dovevo strozzare, – disse.- Che stupido che fui, a lasciarmi prendere.
– Non ti sembra che l’agguato sia riuscito bene?
– Non lo nego. Doveva aspettarmelo.
– Tremi dinanzi a me?
– Io tremare! – esclamò lo strangolatore, sorridendo. – Manciadi non ha paura che di Kâlì.
– Kâlì! Chi è questa Kâlì? Io l’ho udito ancora questo nome.
– Sì, l’hai udito la notte che cadesti sotto il pugnale di Suyodhana.
Ah!… ah!.. che bel colpo fu quello!…
– Tanto bello che sono ancora vivo.
– E’ una disgrazia che tu sia vivo.
– E’ vero, – disse Tremal-Naik, con ironia. – Se fossi sceso sotto terra, non ritornerei a Raimangal a sterminare gli assassini.
Un sogghigno contorse le labbra dello strangolatore.
– Tu non conosci Suyodhana, – diss’egli.
– Lo conoscerò, Manciadi, te lo prometto e forse prima di domani a sera.
– Devo crederti?
– Devi credermi; Tremal-Naik è un uomo di parola.
– Ah! ah! – fe’ Manciadi. Non farai un passo verso le coste di Raimangal, che avrai cento lacci al collo.
– Lasciamo Suyodhana ed i lacci, ora, parliamo di cose più importanti.
– Come vuoi.
– Bada però, Manciadi, che se non dici la verità, ti faccio soffrire mille torture.
– Manciadi è forte.
– Lo dirai più tardi. Ascoltami e rispondi e tu Kammamuri riattizza il fuoco che forse ne avremo bisogno.
Un fremito passò sul volto giallognolo di Manciadi, egli fissò angosciosamente le vampe che s’alzavano e s’abbassavano, illuminando bizzarramente le affumicate pareti della capanna.
– Manciadi, – proseguì Tremal-Naik, – chi è questa divinità che tu chiami Kâlì e che esige tante vittime?
– Non parlerò.
– Cominci male, Manciadi. Mi costringerai a torturarti.
– Manciadi è forte.
– Passiamo ad altro. A me occorre sapere quanti uomini si trovano a Raimangal.
– Lo ignoro io stesso. So che sono molti e che obbediscono tutti a Suyodhana, nostro capo.
– Manciadi, conosci tu la “vergine della pagoda” sacra?
– E chi non la conosce?
– Bene, parlami di Ada Corishant.
– Un lampo di gioia feroce guizzò negli occhi di Manciadi.
– Parlarti di Ada Corishant! – esclamò egli, ghignando. – Giammai!
– Manciadi! – disse Tremal-Naik, furente. Bada che ti farò soffrire mille torture se ti ostini a tacere. Dove trovasi Ada Corishant?
– Chissà! Forse a Raimangal, forse al nord del Bengala, forse in mare.
Forse è ancora viva e forse è agonizzante.
Tremal-Naik emise un grido di rabbia.
– Forse agonizzante! – esclamò, mordendosi le mani. – Tu sai qualche cosa. Oh! parlerai, sì parlerai, dovessi abbruciarti le gambe.
– Abbruciami anche le braccia fino alle spalle, Manciadi non parlerà.
Lo giuro sulla mia dea.
– Ma, miserabile, non hai mai amato tu, adunque?
– Non ho amato che la mia dea e il mio fedele laccio.
– Odimi, Manciadi! – gridò Tremal-Naik fuori di sé. – Io ti libererò, io ti darò fino all’ultima rupia che posseggo, ti darò tutte le mie armi, diventerò se vuoi tuo schiavo, ma dimmi dove si trova la povera Ada se è viva o morta, dimmi, se v’è speranza di salvarla. Ho sofferto atrocemente, Manciadi, non farmi soffrire di più, non uccidermi.
Parla, o ti faccio a brani coi miei denti!
– Manciadi rimase muto, guardandolo cupamente.
– Ma parla, mostruosa creatura, parla! – urlò Tremal-Naik.
– No!… – esclamò l’indiano con incrollabile fermezza. – Non uscirà una parola dalla mia bocca.
– Ma hai un cuore di ferro, tu?
– Sì, di ferro e ricolmo d’odio.
-Per l’ultima volta, parla, Manciadi!
– Giammai! giammai!
Tremal-Naik gli torse i polsi. – Miserabile! – gli urlò agli orecchi.
– Ti uccido.
– Uccidimi, ma non parlerò.
– Kammamuri, a me!
Afferrò il prigioniero per le braccia e lo scagliò violentemente a terra. Il maharatto prese i piedi e li avvicinò alla fiamma. La dura pelle delle piante s’annerì al contatto dei carboni ardenti e scoppiettò. Un nauseante odor di bruciaticcio si sparse per la capanna.

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