La tortura (seconda parte)

Manciadi trabalzò mugolando come una tigre ed i suoi occhi si iniettarono di sangue – Tieni fermo, Kammamuri, disse Tremal-Naik.
Un urlo straziante irruppe dal petto del torturato.
– Basta… basta, – ripeté egli con voce strozzata.
– Parlerai? – gli chiese Tremal-Naik.
Manciadi digrignò i denti poi si morse le labbra e ferocemente negò, quantunque il fuoco continuasse a mordergli e calcinargli le carni.
Passarono ancora due o tre secondi. Un secondo urlo, ancor più straziante del primo, gli uscì dalle labbra.
– Basta!… – rantolò. – E troppo!…
– Parlerai ora?
– Sì… parlerò… basta… Aiuto!…
Tremal-Naik con una violenta strappata lo allontanò dal braciere.
– Parla, miserabile! – gli gridò.
Manciadi lo guardò in volto con due occhi che facevano paura. Con uno sforzo disperato s’alzò a sedere, ma ricadde mandando un rauco gemito e rimase immobile colla faccia orribilmente sconvolta per lo spasimo e la bocca contorta.
– E’ morto? – chiese Kammamuri spaventato.
– No, non è che svenuto, rispose Tremal-Naik.
– Bisogna andar cauti, padrone. Se ci muore prima che abbia confessato, è una grande disgrazia.
– Non morrà così presto, te l’assicuro.
– Parlerà?
– Bisogna che parli. Hai udito tu, che Ada è forse agonizzante?
Bisogna che sappia tutto, dovessi estrargli tutto il sangue dalle sue vene a goccia, a goccia.
– Non credere, padrone. Il miserabile può avere mentito.
– Siva voglia che sia così. Se la mia Ada muore, sento che non le sopravviverò Guarda che destino crudele! Amarla, essere riamato e non poterla far mia. Oh! ma lo sarà, lo giuro su tutte le divinità dell’India.
– Calma, padrone. Ecco che il nostro uomo comincia a dar segno di vita.
Lo strangolatore ritornava in sé. Un fremito scosse le sue membra che sembravano irrigidite, alzò lentamente la testa rigata da grosse goccie di sudore, i suoi lineamenti poco prima orribilmente alterati si ricomposero e finalmente aprì gli occhi fissandoli sul “cacciatore di serpenti”. Aprì la bocca come se volesse parlare, ma la lingua non emise suono alcuno; solamente un sordo brontolìo, una specie di gemito soffocato, gli risuonò in fondo alla gola.
– Manciadi, parla! – disse Tremal-Naik.
Il torturato non rispose.
– Vedi quel fuoco? Se tu non sciogli la lingua, ricomincio le torture – Parlare? – ruggì Manciadi. – Mi hai… rovinato… non potrò più camminare… Uccidimi se vuoi… ma non parlerò.
– Manciadi non irritarmi, perché non avrò pietà alcuna.
– Ti odio… ma la tua Ada… la donna che tu ami… morrà!… Quale gioia, al pensare… che proverà i miei stessi tormenti… Mi pare di udire le sue urla… guardala là… legata sulla fiammeggiante pira…
Suyodhana sogghigna. .. i “thugs” le danzano intorno… Kâlì sorride… Ecco le fiamme che l’avvolgono… Ah! ah! ah!…
Il miserabile proruppe in un satanico scroscio di risa, a cui fece eco il primo tuonar della folgore, che scosse la capanna fino alle fondamenta.
Tremal-Naik si gettò, come un forsennato, sull’indiano.
– Tu menti, – urlò. – Non è possibile! non è possibile!
– E’ vero… la tua Ada sarà bruciata…
– Dimmi tutto! lo voglio, te lo comando!
– Mai!
Tremal-Naik, pazzo d’ira e di disperazione, tornò ad afferrarlo per trascinarlo accanto al fuoco. Kammamuri intervenne.
– Padrone, – gli disse arrestandolo, – quest’uomo non può subire una seconda tortura e morrà. Il fuoco è insufficiente a farlo parlare, proviamo il ferro.
– Cosa vuoi dire!
– Lascia fare a me; parlerà, lo vedrai.
Il maharatto passò nella stanza attigua e poco dopo ricomparve portando una specie di trapano alla cui estremità aveva applicato due spiragli opposti, d’acciaio temperato, con due punte, lontane l’una dall’altra, un centimetro.
– Cos’è quella roba lì? – chiese Tremal-Naik.
– Un cava stoppacci, – rispose il maharatto. – Ora mi vedrai adoperarlo e ti giuro che nessun uomo, per quanto sia forte e caparbio, può resistere a simile prova. I maharatti se ne intendono.
Afferrò il piede dritto del prigioniero e applicò sul pollice le due punte dello spirale.
– Attento, Manciadi, che incomincio.
Le due spirali si sprofondarono nelle carni. Il maharatto guardò in volto il torturato, tutto coperto di un gelido sudore.
– Debbo continuare? – gli chiese.
Manciadi die’ in un sussulto.
Kammamuri riprese la tortura.
Il torturato, scosso da una terribile commozione, mandò un urlo disperato.
– Confessa o proseguo, – disse il maharatto.
– No… non proseguire… Confesso tutto…
– Lo sapeva io che tu avresti parlato. Spicciati, se non vuoi che ricominci sull’altro piede. Dov’è la “vergine della pagoda” sacra?
– Nei… sotterranei, – mormorò con voce semi-spenta Manciadi.
– Giurami sulla tua divinità che non c’inganni.
– Lo… giuro… su… Kâlì.
– Avanti ora. Qual pericolo corre? Di’, su, tutto.
– M’avevano ordinato… Ah! cani…
– Tira avanti.
– Una condanna pesa… su Ada… Kâlì l’ha dannata a morire… Il tuo padrone l’ama… essa lo riama… Ebbene, uno dei due… bisogna che muoia. M’avevano qui… mandato per assassinarlo… Ho mancato al colpo…
– Avanti! Avanti! – esclamò Tremal-Naik, che non perdeva una sillaba.
– Non mi vedranno… indovineranno la sorte che… mi è toccata…
sapranno che tu… sei ancor vivo… Ebbene, uno dei due… bisogna che muoia… Ada è in loro… mano… morrà… abbruciata… Kâlì l’ha condannata.
– Orrore! Ma io la salverò!…
Un sorriso ironico agitò le labbra del torturato.
– I “thugs” sono… potenti, – balbettò.
– Ma Tremal-Naik sarà più potente di loro. Odimi, Manciadi. Io so che il “banian sacro conduce nei sotterranei; è d’uopo che sappia il segreto per scendere.
– Ho parlato… troppo. Puoi uccidermi, giacché… sono agonizzante…
ma non… dirò altro. Lasciami morire…
– Devo ricominciare? – chiese Kammamuri.
– So quanto mi occorre, – disse Tremal-Naik. – Parto!
– Questa istessa notte?
– Non hai udito tu?… Domani potrebbe essere troppo tardi.
– La notte è oscura e tempestosa.
– Tanto meglio; approderò senz’essere veduto.
– Padrone, andare a Raimangal è come andare incontro alla morte.
– In questa notte, Kammamuri, non m’arresteranno nemmeno i fulmini del cielo. Darma!
La tigre. che stava accovacciata nella stanza attigua, s’alzò mugolando e venne a collocarsi vicino al padrone.
– Andiamo al canotto, buona bestia, e prepara i tuoi artigli.
– Ed io, padrone, cosa devo fare? – chiese Kammamuri. Tremal-Naik pensò alcuni istanti, poi disse:
– Quell’uomo è ancora vivo e probabilmente non morrà; veglierai su di lui. Chissà, forse potrebbe esserci ancora utile.
– E vuoi partire senza di me?
– Tu lo vedi, non puoi seguirmi. Se lasciamo solo quell’uomo, domani sarà morto. Ti attendo al canotto.
Tremal-Naik s’armò della carabina, delle pistole e del coltellaccio, si munì di un’ampia provvista di polvere e di palle ed uscì a rapidi passi. La tigre gli si mise dietro balzando a destra ed a manca, mescendo i suoi ruggiti agli urli del vento e al rombo dei tuoni.
– La notte non è buona, – disse Tremal-Naik, guardando le tempestose nubi, – ma nulla m’arresterà. Ah! potessi giungere in tempo da salvarla. Povera Ada!
D’un tratto una secca detonazione giunse ai suoi orecchi, seguita dall’abbaiar lugubre di Punthy.
– Cos’è? – si chiese Tremal-Naik, sorpreso.
Guardò verso la capanna e scorse Kammamuri che gli veniva incontro correndo. Era armato fino ai denti e sulle spalle portava i remi del canotto.
– Cos’è successo? – chiese il “cacciatore di serpenti”.
– Kammamuri ha vendicato Aghur, – rispose il maharatto.
– Hai ucciso Manciadi, forse?
– Sì, padrone, con una pistolettata. Quell’uomo ci era d’impiccio; ora almeno potrò seguirti.
– Kammamuri, sai che forse non ritorneremo mai più nella jungla?
– Lo so, padrone.- Sai che a Raimangal ci attende la morte?
– Lo so, padrone. Tu vai a sfidarla per salvare la donna che tu ami ed io ti seguo. Meglio morire al tuo fianco che solo nella jungla.
– Ebbene, mio prode Kammamuri, seguimi! Punthy veglierà sulla nostra capanna.

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