Nella pagoda sotterranea (prima parte)

Scesi senza aver destato l’allarme, nei sotterranei, non restava che cercare il gran tempio della dea Kâlì, piombare improvvisamente sull’orda e rapire la vittima, approfittando della confusione e dello sgomento che avrebbe provocato la comparsa della tigre.
Non era però facile guidarsi fra quella profonda oscurità e fra i corridoi dell’mmenso sotterraneo. Né Tremal-Naik, né il maharatto conoscevano la via, né sapevano in quale luogo fosse scavato il tempio. Tuttavia non erano uomini da dare indietro né da esitare un sol momento, quantunque mille e mille pericoli li minacciassero.
Appoggiate le mani ai muri, cominciarono ad avanzare l’un dietro l’altro, tastando coi piedi il terreno, per non cadere in qualche apertura, e nel più profondo silenzio, non sapendo se erano soli e se qualche sentinella si trovasse vicina.
In breve trovarono un’ampia apertura, una specie di porta, sulla cui soglia sostarono tendendo gli orecchi.
– Odi nessun rumore? – chiese con un filo di voce Tremal-Naik al compagno.
– Nessuno, padrone, all’infuori dei tuoni.
– E’ segno che il supplizio non è cominciato.
– Lo credo, padrone. Gl’indiani praticano l'”onugonum” con grande strepito.
– Eppure il mio cuore batte come volesse spezzarsi.
– E’ l’emozione, padrone.
– Credi tu che noi giungeremo alla pagoda?
– E perché no?
– Temo di smarrirmi in questi corridoi. To’, si direbbe che in questo supremo istante, io ho paura.
– E’ impossibile. Paura tu!
– Eppure è così. Non so se sia la febbre o la profonda emozione che si è impadronita di me.
– Coraggio, padrone, e andiamo innanzi adagio, adagio. Se qualcuno ci ode potrebbe dare l’allarme e far piombare su di noi tutti i misteriosi abitanti di queste tenebrose cavità.
– Lo so, Kammamuri; tieni la tigre.
Tremal-Naik posò i piedi su di un gradino viscido e cominciò a discendere colle mani tese innanzi a sé, per non urtare contro qualche ostacolo, e gli occhi bene aperti.
Dopo dieci gradini trovò il piano di una galleria che s’abbassava dolcemente.
– Vedi nulla? – chiese a Kammamuri.
– Nulla; mi pare di essere diventato cieco. Sarà questa, la via che conduce alla pagoda?
– Non lo so, Kammamuri. Darei mezzo del mio sangue per accendere un po’ di fuoco. Quale spaventevole situazione!
– Avanti, padrone. Temo che la mezzanotte sia vicina.
Tremal-Naik sentì le carni raggrinzarsi e il cuore battere con veemenza furiosa.
– Orrore! – esclamò con voce soffocata. – La mezzanotte!
– Zitto, padrone, potrebbero udirci.
Tremal-Naik ammutolì soffocando un gemito e si slanciò risolutamente innanzi, brancolando come un ubriaco, cercando colle mani le pareti.
Man mano che procedeva sentivasi preso da uno strano stordimento.
Sentivasi il sangue sibilare agli orecchi, il cuore battere ognor più precipitosamente ed ardere. Vi erano dei momenti in cui gli sembrava di udire in lontananza delle voci, delle grida strazianti come di persone torturate, e che gli pareva di scorgere dei lumicini, delle fiammelle e persino delle ombre muoversi d’intorno e volteggiar fra le tenebre. Aveva abbandonato ogni prudenza e camminava rapidamente, a balzelloni, coi pugni chiusi, gli occhi sbarrati, in preda a una specie di delirio. Non udiva nemmeno la voce di Kammamuri, che lo supplicava di frenare la sua esaltazione. Per fortuna lo scrosciare delle folgori si ripercuoteva sempre sotto le cupe arcate, soffocando il rumore dei passi.
D’improvviso il “cacciatore di serpenti” urtò contro un oggetto acuminato che gli traforò la veste toccandogli le carni. S’arrestò di botto indietreggiando.
– Chi è là? – chiese egli con voce stridula, impugnando il coltellaccio e alzandolo.
– Cos’hai trovato? – domandò il maharatto, che si preparava ad avventare innanzi Darma.
– Qualcuno sta presso di noi, Kammamuri. Sta’ in guardia.
– Hai visto qualche ombra?
– No, ma fui urtato da una lancia. La punta mi toccò il petto e per poco non mi ferì.
– Eppure Darma non dà segni d’inquietudine.
– Che mi sia ingannato? Non è possibile.
– Ritorniamo?
– Giammai. Mezzanotte forse sta per iscoccare. Avanti, Kammamuri.
Fece per slanciarsi innanzi e sentì la stessa punta acuta che gli penetrò, questa volta, nelle carni. Egli gettò una sorda imprecazione e allungò la man dritta, afferrando una specie di lancia tesa orizzontalmente all’altezza del suo petto.
Si provò a tirar a sé, ma resistette; tentò di torcerla ma non fu capace. Tremal-Naik si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa.
– Cosa significa ciò? – mormorò egli.
– Ebbene, padrone? – chiese Kammamuri. – Che ostacolo è?
– Una lancia irremovibile, forse infissa nel muro: deviamo.
Si volse a destra e dopo qualche passo incontrò una seconda lancia pure irremovibile. La sua sorpresa giunse al colmo.
– Forse è un’opera di difesa, – pensò, – e forse qualche strumento di tortura. Volgiamo a sinistra. Qualche via la troverò per tirare innanzi.
Camminò per qualche tratto, poi urtò colla testa sotto una volta assai bassa, e mise i piedi su di un gradino. Ne discese con precauzione quattro o cinque, poi si fermò. La sua mano s’incontrò con quella di Kammamuri e gliela strinse fortemente.
– Odi, padrone? – chiese il maharatto.
– Sì, odo, – rispose Tremal-Naik sommessamente.
– Cos’è questo mormorìo?
– Non lo so, taci ed ascolta.
Tesero l’orecchio trattenendo il respiro. Cosa invero strana, sulle loro teste udivasi una specie di gorgoglìo che l’eco della galleria ripeteva.
Un momento dopo, sotto la volta, apparve un disco lievemente illuminato che si spense quasi subito. Un cupo boato vi tenne dietro.
Kammamuri e Tremal-Naik si sentirono invadere da una viva inquietudine ed afferrarono le pistole.
Passò qualche minuto, poi il disco riapparve e tornò a scomparire seguìto ancora dal rimbombo misterioso.
– Comprendi qualche cosa? – chiese il maharatto.
– Credo di sì – rispose Tremal-Naik. – Questo sgocciolare e questo gorgoglìo fanno sospettare la presenza dell’acqua.. Forse sul nostro capo scorre un fiume.
– E quel disco che appare e scompare?
– Forse è una lente di vetro o di quarzo. Il chiarore proviene dai lampi e il boato è il tuono che scroscia al di fuori.
– Lo credi, padrone?
– Vero o no, non farò un passo indietro. Mezzanotte è vicina.
– Siamo in un luogo orribile, padrone. Io tremo come se avessi freddo.
Questo silenzio e queste tenebre mi fanno paura.
– E’ inquieta Darma?
– No, padrone, è tranquilla.
– E’ segno che il nemico non è ancora vicino. Andiamo avanti.
Ripresero la marcia fra le tenebre fredde ed umide, salendo e discendendo, urtando spesso la testa sotto le volte, camminando a casaccio seguiti sempre dalla tigre, che non dava ancora segno alcuno d’inquietudine.
Passarono così altri dieci minuti lunghi come dieci ore. I due indiani già credevano di aver preso una falsa via e stavano per ritornare, quando ad una svolta videro una grande fiamma ardere in mezzo alla galleria. Tremal-Naik scorse vicino ad essa un indiano semi-nudo, appoggiato ad una specie di zagaglia, sormontata dal misterioso serpente. Un sospiro di sollievo gli usci dalle labbra.
– Finalmente! – mormorò egli. – Cominciavo a temere di essermi inoltrato in una caverna disabitata. Attento, Kammamuri.
– Abbiamo il nemico in vista?
– Sì, c’è un indiano.
– Oh! – esclamò il maharatto, rabbrividendo.- Quell’uomo ci sbarra la via.
– Lo uccideremo.
– Non si può evitarlo?
– Sì, ritornando, ma Tremal-Naik non ritorna.
– Farai rumore, egli griderà e gli avremo tutti addosso.
– Quell’uomo ci volge le spalle e Darma ha il passo silenzioso.
– Sta’ in guardia, padrone.
– Sono deciso a tutto, anche a pugnare contro mille uomini.
Si chinò verso la tigre che fissava ferocemente l’indiano, mostrando le acute zanne ed i lunghi artigli.
– Guarda quell’uomo, Darma, – disse Tremal-Naik.
La tigre emise un sordo brontolìo.
– Va’ e sbranalo, amica mia.
Darma guardò il padrone, poi l’indiano. I suoi occhi si dilatarono e parve che s’incendiassero. Aveva compreso ciò che il “cacciatore di serpenti” desiderava. Si abbassò fino a toccare col ventre la terra, guardo un’ultima volta Tremal-Naik che le additava l’indiano e s’allontanò con passo silenzioso, ondeggiando lievemente la coda, come un gatto in collera. L’indiano nulla avea udito né veduto, volgendo la schiena al fuoco. Si avrebbe detto anzi che si era assopito appoggiato alla lancia.

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