La battaglia (terza parte)

 Dal vascello che sbarrava la foce del fiume si era improvvisamente alzato un razzo. Quasi nel medesimo istante un lampo balenava sul ponte delRealista , seguito da una formidabile detonazione.
 La Tigre della Malesia sussultò, mentre l’estremità dell’albero maestro, smussata da una palla da otto, cadeva in coperta con gran fracasso.
 – Tigrotti! – urlò egli. – Fuoco! Fuoco!
 Un urlo tremendo gli rispose:
 – Viva la Tigre della Malesia! Viva Mompracem!
 Successe un breve silenzio, gravido di minaccia, poi la piccola rada s’incendiò da un capo all’altro.
 Dalle quattro navi nemiche uscivano vampe, fumo e palle, squarciando le tenebre e turbando la pace della notte; dalle foreste giungeva un fuoco nutrito di moschetteria che si estendeva con incredibile celerità lungo le rive.
 La battaglia era cominciata. I cinque vascelli combattevano con rabbia indicibile, lampeggiando, tuonando, vomitando uragani di ferro che fendevano l’aria con fischi stridenti. Gli equipaggi, anneriti dala polvere, ebbri di entusiasmo, caricavano e scaricavano senza posa le artiglierie, cercando di distruggersi a vicenda, incoraggiandosi con urla selvagge.
 L’Helgoland, in mezzo alla baia, solidamente ancorato, si difendeva furiosamente contro i giganti che lo attaccavano.
 Tuonava a babordo, tuonava a tribordo senza perdere un colpo, rispondendo con la mitraglia alla mitraglia, con le bombe alle bombe, atterrando gli alberi, massacrando le manovre, smontando i cannoni, sfondando le batterie, forando le carene, tempestando le foreste sotto le quali sparavano i soldati di James Brooke.
 Sembrava un vascello di ferro difeso da un esercito di titani.
 Cadevano i suoi pennoni e tentennavano i suoi alberi; si sventravano le imbarcazioni, si demolivano le murate, si sfasciavano i suoi fianchi, si ammazzavano i suoi uomini, ma che importava? Polvere e palle ce n’era per tutti e rispondeva con crescente furore, risoluto a perire piuttosto che arrendersi.
 Ad ogni colpo, ad ogni scarica, giù nella batteria si udivano i tigrotti di Mompracem urlare:
 – Vendetta! Viva Mompracem!
 La Tigre della Malesia, in piedi in mezzo alla nave, contemplava l’orribile spettacolo.
 Come era bello quel formidabile uomo, là sul ponte del vascello, che tremavagli sotto i piedi, al chiarore di cinquanta cannoni, cogli occhi in fiamme, i capelli sciolti al vento, le labbra aperte ad un terribile sorriso, la scimitarra in pugno! Il pirata sorrideva, mentre la morte gli fischiava attorno, gli alberi cadevano dinanzi a lui, mentre la mitraglia ruggiva ai suio orecchi schiantando le tavole del ponte, mentre le bombe scoppiavano, lanciando a trecento metri le loro schegge infuocate!
 Gli stessi suoi nemici, nel vederlo là sull’eroico vascello, impassibile fra l’uragano di ferro, si sentivano presi da una voglia matta di urlare:
 – Viva la Tigre della Malesia! Viva l’eroe della pirateria malese! –
 La battaglia durava da mezz’ora, sempre più tremenda, sempre più accanita. L’Helgoland, schiacciati dal fuoco non interrotto di quelle cinquanta bocche, sbranato dalla mitraglia, dilaniato dalla tempesta di bombe che cadeva sempre più fitta, non era più che una fumante carcassa.
 Non alberi, non manovre, non murate, non un madiere intero. Era una spugna: i cui fori precipitavasi fischiando l’acqua del fiume. Tirava ancora, rispondeva sempre a quei quattro nemici che avevano giurato di colarlo a picco, ma non si sentiva più capace di tirare innanzi. Già dieci pirati giacevano nella batteria, senza vita; giàdue cannoni non tuonavano più, smontati dal fuoco infernale del nemico; già le bombe venivano meno, già la poppa piena d’acqua calava a poco a poco. Dieci, forse quindici minuti ancora, e l’eroicoHelgoland sarebbe andato a picco. Yanez, che faceva bravamente il suo dovere scaricando un cannone dei più grossi, si avvide della gravità della situazione. A rischio di ricevere una scarica di mitraglia nella testa, si slanciò sul ponte in mezzo al quale stava la Tigre della Malesia.
 – Fratello! – gridò.
 – Fuoco, Yanez!… fuoco!… – tuonò Sandokan. – Essi corrono all’abbordaggio.
 – Non possiamo più reggere, fratello! Il vascello va a picco!…
 – Folgori del cielo!
 – Cosa facciamo? I minuti sono preziosi. –
 Uno schianto formidabile seguì queste parole. Il castello di prua, colpito da una bordata di granate, era caduto, sfondando parte della coperta e della camera dei marinai. La Tigre della Malesia emise un grido di rabbia.
 – È finita! A me, tigrotti, a me!…
 Si precipitò nella batteria dalla quale i tigrotti di Mompracem continuavano a bombardare i vascelli nemici. Un uomo, ilmaharatto Kammamuri, gli sbarrò la via.
 – Capitano – disse, – l’acqua invade la cabina della Vergine. Dov’è Sambigliong? – chiese la Tigre.
 – Nella cabina.
 – È viva la Vergine?
 – Sì, capitano.
 – Conducetela sul ponte e state pronti a gettarvi nel fiume. Tigrotti, tutti in coperta!
 I pirati scaricarono un’ultima volta i cannoni e salirono sulla coperta ingombra di rottami.
 Le navi nemiche, rimorchiate da alcune scialuppe, si avvicinavano per abbordare l’Helgoland.
 – Sandokan! – gridò Yanez, non vedendo comparire il terribile uomo. – Sandokan!
 Risposero le urla vittoriose degli equipaggi nemici e le carabine dei pirati.
 – Sandokan! – ripeté. – Sandokan!
 – Eccomi, fratello – rispose una voce.
 La Tigre della Malesia si slanciò sul ponte con la scimitarra nella destra e una torcia accesa nella sinistra. Dietro a lui venivano Sambigliong e Kammamuri, portando lavergine della pagoda .
 – Tigrotti di Mompracem! – tuonò Sandokan. – Fuoco ancora una volta!
 – Viva la Tigre! Viva Mompracem! – urlarono i pirati, scaricando le carabine contro i quattro vascelli.
 L’Helgolandbarcollava come un ubriaco e si fendeva rapidamente sotto le continue scariche del nemico.
 Per i fianchi squarciati entravano, muggendo, le acque, trascinandolo rapidamente a picco.
 Da prua, da poppa, dai boccaporti, dai sabordi delle batterie uscivano dense colonne di fumo.
 La voce della Tigre della Malesia, squillante come una tromba, si fece ancora udire fra il rombo dei cannoni.
 – Si salvi chi può!… Sambigliong, gettati nel fiume con la Vergine!…
 Ildayaco e Kammamuri balzarono in acqua assieme con la giovanetta che aveva perduto i sensi, e dietro di loro si precipitarono tutti gli altri, nuotando fra le navi nemiche che si trovavano bordo contro bordo col vascello affondante.
 Sul legno era rimasto però un uomo. Era la Tigre della Malesia. Nella destra stringeva ancora la scimitarra e nella sinistra la torcia. Le sue labbra erano atteggiate ad un terribile sogghigno: un lampo feroce balenava nei suoi occhi.
 – Viva Mompracem! – lo si udì gridare.
 Un urrah formidabile echeggiò nell’aria. Venti, quaranta, cento uomini si slanciarono con le armi in pugno sul ponte oscillante dell’Helgoland.
 La Tigre della Malesia non li attese. Con un balzo prodigioso superò la murata e sparve nelle acque del fiume.
 Quasi nel medesimo istante il vascello si apriva con un rimbombo orrendo, una fiamma gigantesca si levava verso il cielo illuminando il fiume, le navi nemiche, i boschi, i monti, e scagliando all’intorno miriadi di rottami incandescenti.
 Vascelli ed equipaggi sparvero fra il fumo e le fiamme dell’Helgolandsaltato in aria per lo scoppio della polveriera!…

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