La liberazione di Kammamuri (seconda parte)

 Ilmaharatto , invece di rispondere, gli lanciò uno sguardo torvo.
 – Coraggio, amico – continuò la guardia. – Ilrajah è buono e non ti appiccherà.
 – Ma mi avvelenerà – disse Kammamuri con finto terrore.
 – E come?
 – Col cibo e con la bevanda che vedi.
 – È per questo che non hai assaggiato nulla?
 – Certamente.
 – Hai torto, amico mio.
 – Perché?
 – Perché né iltuwah , né il riso, né le frutta contengono veleno alcuno.
 – Berresti tu una tazza di quel liquore?
 – Se tu lo vuoi!
 Kammamuri afferrò la tazza entro la quale aveva sciolto le pillole del portoghese e la porse alla guardia.
 – Bevi – disse.
 L’indiano, che non aveva alcun sospetto, avvicinò la tazza alle labbra e bevve buona parte del contenuto.
 – Ma… – disse esitando. – Cos’hanno messo in questotuwah ?
 – Non lo so – disse ilmaharatto che lo guardava attentamente.
 – Un fremito strano agita le mie… membra.
 – Ah!…
 – Toh! la testa mi gira, mi mancano le forze, non ci vedo più, mi pare…
 Non finì. Traballò come fosse stato ferito in mezzo al petto, alzò le mani, sbarrò gli occhi e cadde pesantemente a terra rimanendo immobile.
 Kammamuri d’un salto gli fu sopra e gli strappò la pistola e la scimitarra.
 Così armato s’avvicinò alla porta e tese gli orecchi.
 Temeva che il fracasso prodotto dall’indiano nel cadere attirasse altre guardie. Fortunatamente nessun passo si fece udire nel corridoio.
 – Sono salvo! – esclamò respirando. – Fra dieci minuti sarò fuori della città.
 Levò i corti calzoni, la giacca e la fascia che indossava l’indiano, e in un batter d’occhio si vestì. Sulla testa si annodò un fazzoletto in modo da nascondere buona parte della fronte e un po’ gli occhi, poi cinse la scimitarra e passò nella cintura la pistola.
 – Avanti – mormorò. – Passerò per una guardia delrajah .
 Aprì senza far rumore la porta, percorse il corridoio che era deserto e oscurissimo, scese la scala e, passando rapidamente dinanzi alla sentinella, uscì sulla piazza.
 – Sei tu, Labuk? – chiese una voce.
 – Sì – rispose Kammamuri, senza volgersi indietro per paura di venire riconosciuto da colui che lo interrogava.
 – Che Siva ti protegga.
 – Grazie, amico.
 Ilmaharatto procedeva con passo rapido, guardando attentamente intorno a sé e aguzzando l’orecchio: si teneva presso i muri delle case, celandosi quando in fondo alle vie e alle viuzze gli sembrava di scorgere qualcuno che assomigliava a una guardia delrajah .
 Dopo dieci buoni minuti giungeva ai piedi della collina sulla cui cima illuminato dalla luna, biancheggiava il fortino. Si arrestò tendendo gli orecchi.
 Verso il fiume si sentivano i battellieridayachi e malesi canticchiare monotoni ritornelli; nel quartiere cinese si udivano gli acuti suoni dell’yo, specie di flauto a sei buchi e il dolce tremolio delkine , una chitarra con le corde di seta.

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