La liberazione di Kammamuri (terza parte)

 Verso la piazza, ove rizzavasi gigante il palazzo delrajah , non giungeva nessun rumore.
 – Sono salvo! – mormorò dopo alcuni istanti d’angosciosa attenzione. – Non hanno ancora scoperta la mia fuga.
 Si cacciò in mezzo ai boschi di mangostani altissimi, di mangifere di bellissimo aspetto e dicettings che si arrampicavano disordinatamente su per la collina.
 Ora saltando da un albero all’altro con l’agilità di una scimmia per far perdere le tracce, ora entrando negli stagni di nere acque melmose ed ora sfondando cespugli, in meno di un’ora giunse, senz’essere stato scorto da alcuno, ad un tiro di fucile dal fortino.
 Si arrampicò su di un albero altissimo dal quale poteva scorgere chi saliva e chi scendeva la collina e attese pazientemente l’arrivo del portoghese.
 La notte passò senza incidenti. Alle quattro del mattino il sole apparve improvvisamente all’orizzonte, illuminando il fiume che si smarriva fra ubertose campagne e fitti boschi, la cittadina e le piantagioni circostanti.
 Dall’alto del suo osservatorio ilmaharatto vide, qualche ora dopo, due bianchi uscire dal fortino e lanciarsi a tutte gambe giù per il sentiero.
 – Cosa succede? – mormorò Kammamuri. – Per mettersi a correre in quel modo bisogna che sia accaduto qualche cosa di serio nel fortino. Per Siva! Che quelli della città abbiano segnalato a questi uomini la mia fuga?
 Si rannicchiò in mezzo al fogliame, per non essere scorto da quelli che passavano pel sentiero, e attese, in preda ad una viva ansietà.
 Un’ora dopo i due inglesi risalivano verso il fortino, seguiti da un ufficiale delle guardie e da un europeo vestito di tela bianca, il quale aveva una scatoletta nera ppesa alla cintura.
 – Che sia un medico? – si chiese Kammamuri diventando pallido. – Che qualcuno sia ammalato? Là dentro c’è il mio padrone!… Signore Yanez, venite, fate presto!
 Si lasciò scivolare fino a terra e strisciò verso il sentiero, risoluto ad interrogare qualcuno. Fortunatamente batterono le dodici, poi l’una, le due, le tre, senza che alcun marinaio o alcuna guardia passassero di là.
 Verso le cinque, però, un uomo con un largo cappellaccio di paglia e un paio di pistole alla cintura apparve ad una svolta del sentiero. Kammamuri lo riconobbe subito.
 – Padron Yanez! – esclamò.
 Il portoghese, che saliva con passo lento guardando attentamente a destra e a sinistra come se cercasse qualcuno, a quella chiamata si arrestò. Scorgendo Kammamuri, affrettò il passo e, quando l’ebbe raggiunto, lo spinse nel fitto di un macchione dicendogli:
 – Se qualche guardia ti scorgeva, eri spacciato e questa volta per sempre; bisogna essere prudenti, mio caro.
 – È successo qualche cosa di grave al fortino, padron Yanez – disse ilmaharatto . – Un sospetto mi è balenato alla mente e ho lasciato il mio nascondiglio.
 – Un sospetto!… E quale?
 – Che il mio padrone sia rinchiuso là dentro e che sia moribondo. Ho visto un bianco recarsi lassù e mi è sembrato un medico.
 – È proprio il tuo padrone che ha messo in moto i soldati del fortino.
 – Il mio padrone!…
 – Sì, mio caro.
 – E sta male?
 – È morto.
 – Morto! – esclamò ilmaharatto traballando
 – Non spaventarti, piccino mio. Lo credono morto, ma invece è vivo.
 – Ah! padron Yanez, quale paura mi avete fatto provare! Gli avete dato da bere qualche potente narcotico?
 – Gli ho dato delle pillole che sospendono la vita per trentasei ore.
 – E lo crederanno morto?
 – Fulminato.
 – E come faremo a salvarlo?
 – Questa sera, se non m’inganno, lo seppelliranno.
 – Capisco – disse ilmaharatto . – Seppellito che sia, noi lo disseppelliremo e lo porteremo al sicuro. Ma dove lo porteranno?
 – Lo sapremo.
 – E come?
 – Quando usciranno dal forte noi li seguiremo.
 – E quando faremo il colpo?
 – Questa notte.
 – Noi due?
 – Tu e Sandokan.
 – Dovrò avvertirlo dunque.
 – Certamente.
 – E voi non verrete con noi?
 – Non posso.
 – Perché?
 – Ilrajah questa sera dà un ballo in onore dell’ambasciatore olandese e, come capirai, non posso mancare senza destare dei sospetti.
 – Aho! – esclamò ilmaharatto , alzando vivamente la testa verso il fortino.
 – Che hai?
 – Degli uomini escono dal forte.
 – Per Giove!
 Scostò con le mani i rami del fitto cespuglio e guardò la cima della collina.
 Due marinai erano usciti portando sopra una barella un corpo umano chiuso in una specie di amaca. Dietro a loro uscirono altri due marinai armati di zappe e di vanghe, e una guardia delrajah .
 – Prepariamoci a partire – disse Yanez.
 – Che strada prendono? – chiese Kammamuri, con viva ansietà.
 – Scendono il colle dal lato opposto.
 – Vanno a seppellirlo nel cimitero!
 – Non lo so. Giriamo il bosco, ma bada di non far rumore.
 Uscirono dalla macchia e si cacciarono sotto la boscaglia che copriva quasi tutta la collina. Scavalcando tronchi atterrati, sfondando intricati cespugli e tagliando lunghe radici, girarono attorno al forte e si trovarono sul versante opposto. Yanez si arrestò.
 – Dove sono? – si chiese.
 – Eccoli laggiù – disse ilmaharatto .
 Il drappello infatti era in vista. Scendeva uno stretto sentiero che menava ad una piccola prateria circondata da superbi alberi. Nel mezzo, cinto da una bassa palizzata, c’era uno spazio irto di cippi e di tavolette di legno.
 – Quello dev’essere il cimitero – disse Yanez.
 – Si dirigono verso quel luogo? – chiese Kammamuri.
 – Sì.
 – Respiro, padron Yanez. Temevo che gettassero il mio povero padrone nel fiume.
 – Anche a me era venuto questo pensiero.
 I marinai erano entrati nel cimitero e si erano arrestati nel mezzo, deponendo a terra Tremal-Naik. Yanez li vide girare per qualche istante fra i Cippi, come se cercassero qualche cosa, poi uno di essi alzò la zappa e cominciò a scavare.
 – E là che lo sotterreranno – disse il portoghese almaharatto . – La terra smossa di fresco vi indicherà il luogo dove è sepolto
 – C’è pericolo che il mio padrone muoia asfissiato? – chiese Kammamuri.
 – No, amico mio. Ora corri subito da Sandokan, ordinagli di radunare i suoi, di venire qui e dissotterrare il tuo padrone.
 – E poi?
 – Poi tornerete nel bosco e domani verrò a raggiungervi. Domani sera potremo lasciare questi luoghi per sempre. Va’, amico, va’.
 Ilmaharatto non se lo fece dire due volte. Impugnò la pistola e scomparve sotto gli alberi con la rapidità di un daino.

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