La Taverna Cinese (seconda parte)

 – Dove si trova ora Sandokan?
 – A otto miglia da qui, nel mezzo di un fitto bosco.
 – Al sicuro dunque.
 – Non lo so. Ho visto delle guardie delrajah aggirarsi nella foresta.
 – Diavolo!
 – E voi, non correte alcun pericolo?
 – Io! Chi sarà quel pazzo che mi prenderà per un pirata? Io, un bianco, un europeo?
 – State però in guardia, signor Yanez. Ilrajah deve essere un uomo assai furbo.
 – Lo so, ma noi siamo più furbi di lui.
 – Sapete nulla di Tremal-Naik?
 – Nulla, Kammamuri. Ho interrogato parecchie persone, ma senza esito.
 – Povero padrone – mormorò Kammamuri.
 – Lo salveremo, te lo prometto – disse Yanez. – Questa sera mi metterò all’opera.
 – Che cosa volete fare?
 – Cercare di avvicinare ilrajah e diventare suo amico.
 – E come?
 – L’idea l’ho e mi pare buona. Provocherò un tafferuglio, farò del baccano, fingerò di voler accoppare qualcuno e mi farò arrestare dalle guardie delrajah .
 – E poi?
 – Quando mi avranno arrestato inventerò qualche amena storiella e mi spaccerò per un nobile lord, per un baronetto…
 – E io che cosa dovrò fare?
 – Nulla, mio caromaharatto . Andrai difilato da Sandokan e gli dirai che tutto cammina di bene in meglio. Domani però verrai a ronzare attorno all’abitazione delrajah . Forse avrò bisogno di te.
 Ilmaharatto si alzò.
 – Un momento – disse Yanez, traendo di tasca una borsa ben gonfia e porgendogliela.
 – Che cosa devo fare?
 – Per effettuare il mio progetto bisogna che non abbia un soldo in saccoccia. Dammi anzi il tuokriss , che non ha alcun valore, e prendi il mio che ha troppo oro e troppi diamanti.
 – Ehi! taverniere del demonio, sei bottiglie di vino di Spagna.
 – Volete ubriacarvi? – chiese Kammamuri.
 – Lascia fare a me e vedrai. Addio mio caro.
 L’indiano gettò sulla tavola uno scellino e uscì, mentre il portoghese stappava le bottiglie che certo costavano assai care. Tracannò due o tre bicchieri e il rimanente lo diede a bere ai malesi che gli erano vicini, ai quali non parve vero di aver trovato un europeo così generoso.
 – Ehi, taverniere! – gridò ancora il portoghese, – portami dell’altro vino e qualche piatto di lusso.
 Il cinese, tutto contento di fare così grassi affari e pregando in cuor suo il buon Buddha di mandargli ogni giorno una dozzina di simili avventori, portò nuove bottiglie e una terrina di delicatissimi nidi di salangana, conditi con aceto e sale, un cibo che solo i ricconi possono gustare.
 Il portoghese, quantunque avesse mangiato per due, tornò a lavorare di denti, a bere e a regalare vino a tutti i vicini.
 Quando finì, il sole era tramontato da una buona mezz’ora e nella taverna erano state accese gigantesche lanterne di talco, che spandevano sui bevitori la loro scialba luce, cara ai caudati figli del Celeste Impero.
 Accese la sigaretta, esaminò la batteria delle sue pistole e si alzò mormorando:
 – Andiamocene, caro Yanez. Il taverniere farà un baccano indiavolato, io ne farò più di lui, accorreranno le guardie delrajah ed io verrò arrestato. Sandokan, ne sono certo, non avrebbe ideato un piano migliore.
 Gettò in aria due o tre boccate di fumo e si diresse tranquillamente verso la porta. Stava per varcarla, quando si sentì prendere per la giacca.
 – Monsieur! – disse una voce.
 Yanez si volse accigliato e si trovò dinanzi il taverniere.
 – Che cosa vuoi, mascalzone? – chiese, fingendosi offeso.
 – Il conto, señor.
 – Quale conto?
 – Voi non mi avete pagato,gentleman. Mi dovete tre sterline, sette scellini e quattro penny.
 – Vattene al diavolo. Non ho un soldo in tutte le dieci tasche.
 Il cinese, da giallo che era, divenne cinereo.
 – Ma voi mi pagherete – gridò aggrappandosi ai panni del portoghese.
 – Lascia il mio vestito, canaglia! – urlò Yanez.
 – Mi dovete tre sterline, sette scellini e…
 – E quattro penny, lo so: ma io non ti pagherò, briccone… Va’ a scuoiare il tuo cane e lasciami in pace.
 – Siete un ladro,gentleman ? Io vi farò arrestare!
 – Prova!
 – Aiuto! Arrestate questo ladro! – urlò il cinese furibondo.
 Quattro sguatteri si precipitarono in aiuto del loro padrone armati di casseruole, di pentole e di schiumarole. Era quello che desiderava il portoghese, che ad ogni costo voleva far baccano.
 Con mano di ferro abbrancò il taverniere per la gola, l’alzò da terra e lo scagliò fuori della porta a rompersi il naso sui ciottoli della via. Indi caricò i quattro sguatteri, dispensando con rapidità meravigliosa tali calci che i disgraziati, in meno che non si dica, si trovarono stesi per terra accanto al padrone.
 Urla indemoniate scoppiarono tosto.
 – Aiuto, compatriotti! – urlava il taverniere.
 – Al ladro! All’assassino! Accoppalo! Ammazzalo! – urlavano gli sguatteri.

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