La tigre della Malesia (terza parte)

 Il portoghese spinse prudentemente una grossa porta di legno diteck , capace di resistere al cannone, e introdusse Kammamuri in una stanza tappezzata di seta rossa, ingombra di carabine d’Europa, di scuri, dikriss malesi, diyatagan turchi, di pugnali, di bottiglie, di pizzi, di stoffe, di maioliche della Cina e del Giappone, di mucchi d’oro, di verghe d’argento, di vasi riboccanti di perle e di diamanti.
 Nel mezzo, semisdraiato su di un ricco tappeto di Persia, Kammamuri scorse un uomo dal volto abbronzato, vestito sfarzosamente all’orientale, con vesti di seta trapunta in oro e lunghi stivali di pelle pure rossa a punta rialzata.
 Quell’individuo non dimostrava più di trentaquattro o trentacinque anni. Era alto di statura, stupendamente sviluppato, con una testa superba, una capigliatura folta, ricciuta, nera come l’ala di un corvo, che gli cadeva in pittoresco disordine sulle robuste spalle.
 Alta era la sua fronte, scintillante lo sguardo, sottili le labbra, atteggiate ad un sorriso indefinibile, magnifica la barba che dava ai suoi lineamenti un aspetto fiero che incuteva ad un tempo rispetto e paura.
 Nell’insieme, s’indovinava che quell’uomo possedeva la ferocia di una tigre, l’agilità di una scimmia e la forza di un gigante.
 Appena vide entrare i due personaggi, con uno scatto si alzò a sedere, fissando su di loro uno di quegli sguardi che penetrano nel più profondo dei cuori.
 – Che cosa mi rechi? – chiese con voce metallica, vibrante.
 – La vittoria, innanzi tutto – rispose il portoghese. – Ti conduco però un prigioniero. –
 La fronte di quell’uomo s’oscurò. – È forse quell’indiano l’individuo che tu hai risparmiato? – domandò egli, dopo qualche istante di silenzio.
 – Sì, Sandokan. Ti dispiace, forse?
 – Tu sai che rispetto i tuoi capricci, amico mio.
 – Lo so, Tigre della Malesia.
 – E che cosa vuole quell’uomo?
 – Diventare un tigrotto. L’ho veduto battersi, è un eroe.
 Lo sguardo della Tigre divenne lampeggiante. Le rughe che solcavano la sua fronte scomparvero come le nubi sotto un vigoroso colpo di vento.
 – Avvicinati – disse all’indiano.
 Kammamuri, ancora sorpreso di trovarsi dinanzi al leggendario pirata che per tanti anni aveva fatto tremare i popoli della Malesia, si fece innanzi.
 – Il tuo nome? – chiese la Tigre.
 – Kammamuri.
 – Sei?
 -Maharatto .
 – Un figlio di eroi dunque?
 – Dite il vero, Tigre della Malesia – disse l’indiano con orgoglio.
 – Perché hai lasciato il tuo paese?
 – Per recarmi a Sarawak.
 – Da quel cane di James Brooke? – chiese la Tigre con accento d’odio.
 – Non so chi sia questo James Brooke.
 – Meglio così. Chi hai a Sarawak per recarti laggiù?
 – Il mio padrone.
 – Cosa fa? È soldato delrajah , forse?
 – No, è prigioniero delrajah .
 – Prigioniero? E perché?
 L’indiano non rispose.
 – Parla – disse brevemente il pirata. – Voglio sapere tutto.
 – Avrete la pazienza di ascoltarmi? La storia è lunga quanto terribile.
 – Le storie terribili e sanguinose piacciono alla Tigre; siedi e narra

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