Le due prove (seconda parte)

 – Non è una speranza del momento, dunque? – chiese. – È proprio vero quello che dite? Voi che vi siete mostrato tanto generoso verso di me, che tanto bene mi avete fatto, operate anche questo miracolo, e la mia vita sarà vostra.
 – Questo miracolo lo compirò, ve lo prometto, Tremal-Naik – disse Sandokan con voce grave.
 – E quando?…
 – Questa sera, vi ho detto.
 – In che modo?
 – Lo saprete presto. Kammamuri!
 Ilmaharatto si fece innanzi. Il buon giovanotto, come il suo padrone, aveva le lacrime agli occhi.
 – Parlate, capitano – disse.
 – La notte in cui il tuo padrone si presentò nella caverna di Suyodhana, c’eri nel tempio?
 – Sì, capitano.
 – Sapresti ripetermi ciò che dissero il capo deithugs e il tuo padrone?
 – Sì, parola per parola.
 – Ebbene, vieni con me al forte.
 – E noi che cosa dovremo fare? – chiese Yanez.
 – Per ora non abbiamo bisogno né di te né di Tremal-Naik – disse Sandokan. – Andate a passeggiare e non ritornate al forte prima di questa sera. Vi preparerò una sorpresa.
 Sandokan e ilmaharatto si allontanarono in direzione del forte. Yanez passò un braccio in quello del povero Tremal-Naik e si misero a passeggiare lungo la costa discorrendo.
 – Che cosa preparerà? – chiese Tremal-Naik al portoghese.
 – Non lo so, Tremal-Naik; ma senza dubbio prepara qualcosa di straordinario.
 – Per la mia Ada?
 – Certamente.
 – Riuscirà a farle riacquistare la ragione?
 – Lo credo. La Tigre della Malesia sa mille cose che noi ignoriamo.
 – Ah! potesse riuscire!
 – Riuscirà, Tremal-Naik. Ditemi, è ancora vivo questo Suyodhana?
 – Lo credo.
 – È potente?
 – Potentissimo, signor Yanez. Comanda a migliaia e migliaia di strangolatori.
 – Sarà difficile colpirlo.
 – Dite impossibile.
 – Per tutti, ma non per la Tigre della Malesia. Chissà, forse un giorno la Tigre della Malesia e la Tigre dell’India potrebbero trovarsi l’una di fronte all’altra.
 – Lo credete?
 – Ho un presentimento. Ditemi, Tremal-Naik, credete che ithugs abbiano ancora la loro sede nell’isola di Raimangal?
 – Non lo credo. Quando gli inglesi mi processarono, svelai il luogo ove abitavano ithugs e alcune navi furono mandate a Raimangal, ma tornarono senza avere trovato un solo strangolatore.
 – Erano fuggiti?
 – Senza dubbio.
 – Ma dove?
 – Non lo so.
 – Sono ricchi ithugs ?
 – Ricchissimi, signor Yanez, perché essi non si accontentano di strangolare. Saccheggiano carovane e paesi interi.
 – Che bel nemico da combattere! La Tigre della Malesia si divertirebbe. Chissà, un giorno forse, stanchi di Mompracem, potremmo andare in India a misurarci con Suyodhana e le sue genti.
 – Avete intenzione di ritornare a Mompracem?
 – Sì, Tremal-Naik – disse Yanez. – Domani manderemo alcuni uomini a Sarawak ad acquistare deiprahos e poi riguadagneremo la nostra isola.
 – Ed io verrò con voi?
 – Se voi veniste esporreste lavergine della pagoda ad un continuo pericolo. Voi sapete che noi siamo pirati e che ogni giorno dobbiamo combattere.
 – Dove andrò dunque?
 – Vi daremo una scorta di valorosi pirati che vi condurranno a Batavia. Là abbiamo una palazzina e l’abiterete con Ada.
 – Questo è troppo, signor Yanez – disse Tremal-Naik con voce commossa. – Non vi basta aver esposto la vostra vita per salvarmi, volete ancora darmi una casa?
 – E un gruzzolo di diamanti che varrà qualche milione, mio caro Tremal-Naik.
 – Ma io non accetterò.
 – Alla Tigre della Malesia nulla si deve rifiutare, Tremal-Naik. Un rifiuto la irriterebbe.
 – Ma…
 – State zitto, Tremal-Naik. Un milione per noi è nulla.
 – Siete molto ricchi dunque?
 – Forse più deithugs indiani.
 Mentre discorrevano, il sole era rapidamente tramontato e le tenebre erano calate. Yanez guardò l’orologio all’incerto chiarore delle stelle.
 – Sono le nove – disse, – possiamo tornare al forte.
 Lanciò un ultimo sguardo sull’ampia distesa d’acqua che appariva deserta fino agli estremi limiti dell’orizzonte, poi lasciò la costa entrando nel boschetto. Tremal-Naik, triste e pensieroso, col capo chino sul petto, lo seguiva.
 Pochi minuti dopo i due compagni si trovarono dinanzi al fortino sull’entrata del quale stava Sandokan che fumava flemmaticamente la pipa.
 – Vi aspettavo – diss’egli muovendo loro incontro. – Tutto è pronto.
 – Che cosa è pronto? – chiese Tremal-Naik.
 – Ciò che deve far riacquistare la ragione allavergine della pagoda . –
 Prese per mano i due amici e li condusse nell’interno di una vastissima capanna che occupava quasi l’intero recinto del forte, un tempo destinato a contenere una guarnigione e gran copia di viveri e di munizioni.
 Tremal-Naik e Yanez mandarono un grido di sorpresa.
 L’ampia sala, in poche ore, era stata trasformata, per opera di Sandokan, di Kammamuri e dei pirati, in un’orribile caverna che a Tremal-Naik ricordava, in parte, il tempio deithugs indiani, dove il truce Suyodhana aveva compiuto la sua spaventevole vendetta.
 Una infinità di rami resinosi accesi spandevano all’intorno una luce azzurrognola, livida, spettrale. Qua e là erano stati accumulati massi enormi e rizzati tronchi d’alberi che potevano passare per colonne, adorni di mostri d’argilla rozzamente plasmati rappresentanti Visnù, il dio conservatore degli indiani, il quale ha la sua residenza nel Vaicondu o mare di latte del serpente Adissescien altri dèi cateri, giganteschi geni malvagi che, divisi in cinque tribù, vanno errando per il mondo dal quale non possono uscire né meritare la beatitudine promessa agli uomini, se non dopo aver raccolto un certo numero di preghiere.
 Nel mezzo si ergeva una statua, pure d’argilla, orribile a vedersi.
 Aveva quattro braccia, una lingua smisurata e i suoi piedi posavano sopra un cadavere. Dinanzi a quel mostro era collocata una vaschetta entro la quale nuotava un pesciolino.

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