Narcotici e veleni (prima parte)

 Due uomini si erano improvvisamente rizzati dietro a uncetting , arbusto rampicante il cui succo è talmente velenoso che uccide in pochi istanti un bue. Il primo era un indiano alto, magro, nervoso, vestito di tela bianca e armato d’una lunga carabina incrostata d’argento; l’altro era undayaco di belle forme, con le membra straordinariamente cariche di anelli di ottone e di perle di Venezia e i denti anneriti col succo caldo del legnosiuka . Un solociawat , pezzo di stoffa di cotone copriva i suoi fianchi e un fazzoletto rosso la sua testa, ma portava indosso un vero arsenale. La terribile cerbottana con le frecce tinte nel succo dell’upasgli pendeva da una spalla; al fianco aveva il formidabileparang , pesante sciabola dalla larga lama intarsiata con pezzi d’ottone, della quale idayachi si servono per decapitare i nemici; il laccio, che essi sanno adoperare forse meglio deithugs indiani, gli stringeva la vita. Non mancava nemmeno ilkriss , dalla lama serpeggiante e avvelenata.
 – Alto là! – ripeté l’indiano, facendosi innanzi.
 Il portoghese fece a Kammamuri un rapido gesto e si avanzò con le dita della mano destra sulla batteria del fucile.
 – Che vuoi e chi sei tu? – chiese all’indiano.
 – Sono una guardia delrajah di Sarawak – rispose l’interrogato.
 – E voi?
 – Lord Gilles Welker, amico di James Brooke, tuorajah .
 L’indiano e ildayaco presentarono le armi.
 – Quell’uomo è al vostro servizio, milord? – chiese l’indiano indicando Kammamuri.
 – No – rispose Yanez. – L’ho incontrato nella foresta e avenfo egli paura delle tigri, ha chiesto di seguirmi.
 – Dove vai? – domandò l’indiano almaharatto .
 – Ti ho detto anche stamane che sono provveditore deiplacers di
 Poma – rispose Kammamuri. – Perché domandarmi anche adesso dove vado?
 – Perché ilrajah così vuole.
 – Di’ al tuorajah che io sono un suo fedele suddito.
 – Passa.
 Kammamuri raggiunse Yanez che aveva continuata la sua via, mentre le due spie tornavano ad imboscarsi sotto l’arbusto velenoso.
 – Cosa pensate, signor Yanez, di quegli uomini? – chiese ilmaharatto quando fu certo che non potevano né udirlo né vederlo.
 – Penso che ilrajah è astuto come una volpe.
 – Deviamo?
 – Deviamo, Kammamuri. Quelle due spie possono avere qualche sospetto e seguirci per un buon tratto.
 – Faremo perdere le nostre tracce.
 Kammamuri abbandonò il sentiero fino allora seguito e piegò a sinistra, seguito dal cavallo e dal portoghese. La via divenne ben presto difficilissima. Migliaia e migliaia d’alberi, dritti gli uni, piegati e contorti gli altri, e cespugli e rampicanti si ammassavano in modo da impedire spesso il passaggio, se non agli uomini, almeno al cavallo.
 Qui vi erano colossali alberi della canfora, che dieci uomini non sarebbero stati capaci di abbracciare; là arenghe saccarifere che, incise, danno un liquore zuccherino e inebriante se lasciato fermentare; più oltre superbe palmepinang che piegavano sotto il peso delle noci formanti grandi grappoli; poi bellissimi mangostani, alti quanto un ciliegio, le cui frutta, grosse come aranci, sono le più gustose e le più delicate che sui trovino sulla terra, e areche dalle foglie grandissime;uncaria cambir eisonandra guta egiunta wan , piante, queste ultime, che danno il caucciù. E come se tutti questi vegetali non bastassero a rendere difficile il cammino, smisuratirotang , che nel Borneo tengono il luogo delle liane enepentes correvano da un albero all’altro formando vere e proprie reti che ilmaharatto e il portoghese erano costretti a tagliare a colpi dikriss .
 Percorso mezzo miglio descrivendo lunghi giri per trovare un passaggio, saltando alberi atterrati, sfondando cespugli, tagliando radici e gomene vegetali a destra e a manca, i due pirati giunsero sulle rive di un canale d’acqua nera e putrida. Kammamuri tagliò un ramo e misurò la profondità.
 – Due piedi – disse. – Salite sul cavallo, padron Yanez.
 – Perché?
 – Entreremo nel canale e lo risaliremo per un buon tratto. Se le due spie ci seguono, non troveranno più le nostre tracce.
 – Bravo, Kammamuri.
 Il portoghese salì in sella e dietro di lui salì ilmaharatto . Il cavallo dopo aver un po’ esitato, entrò in quelle acque che spandevano un fetore insopportabile e rimontò, traballando e scivolando sul fondo melmoso, la corrente.
 Fatti ottocento passi, riguadagnò la riva. Yanez e ilmaharatto discesero e stettero in ascolto coll’orecchio appoggiato a terra.
 – Non odo nulla – disse Kammamuri.
 – E nemmeno io – aggiunse il portoghese. – È lontano il campo?
 – Un miglio e mezzo almeno. Affrettiamoci, padrone.
 Un sentieruzzo, aperto fra i cespugli e irotang dagli animali, spariva nel folto della foresta. I due pirati lo raggiunsero allungando il passo. Una mezz’ora dopo, altri due uomini s’alzavano dietro una macchia, intimando ai due pirati di arrestarsi. Kammamuri gettò un fischio.

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