Sotto i boschi (seconda parte)

 Ilmaharatto balzò in piedi, fuori di sé per la gioia.
 – Dov’è? Dov’è? – chiese con voce soffocata.
 – Nel fortino della città, custodito da una sessantina di marinai inglesi.
 Ilmaharatto si lasciò cadere sulla sedia, scoraggiato.
 – Lo salveremo ugualmente, Kammamuri – riprese Yanez.
 – E quando?
 – Appena lo potremo. Mi reco da Sandokan per progettare un piano.
 – Grazie, signor Yanez.
 – Lascia là i ringraziamenti e bevi. –
 Ilmaharatto vuotò la sua tazza.
 – Volete che partiano?
 – Partiamo, – disse Yanez, gettando sul tavolo alcuni scellini.
 – Vi avverto che la strada è lunga e difficile e che bisognerà allungarla ancotra di più, onde ingannare le spie.
 – Non ho fretta io. Ho detto alrajah che vado a caccia.
 – Siete diventato amico delrajah ?
 – Certamente.
 – In qual modo?
 – Te lo narrerò camminando. –
 Uscirono dalla taverna. Il portoghese si mise dinanzi e Kammamuri lo seguì, tenendo per la briglia il cavallo.
 – Evviva lord Welker! – gridò una voce.
 – Evviva il lord! Viva il generoso bianco! – urlarono parecchie altre voci.
 Il portoghese si volse e vide il taverniere circondato da una grossa banda di cinesi che avevano le tazze in mano.
 – Addio, ragazzi! – gridò.
 – Evviva il generoso lord! – tuonarono i cinesi.
 Usciti dal quartiere cinese, fiancheggiato di bugigattoli ingombri di rotoli di carta fiorita di Tung, di balle di seta, di scatole di thè di ogni qualità, di ventagli, di occhiali, di sputacchiere, di sedie di bambù, di code, di lanterne microscopiche o gigantesche, di armi, di amuleti, di vesti, di zoccoli, di cappelli di ogni forma e dimensione, tutta roba proveniente dai porti del celeste Impero, entrarono nel quartiere malese non molto dissimile da quellodayaco , forse più sporco e più maleodorante, indi si arrampicarono su colli e di là raggiunsero i boschi.
 – Camminate con precauzione – disse Kammamuri al portoghese. Ho incontrato parecchi serpenti pitoni stamane e ho visto anche le tracce di una tigre.
 – I boschi del Borneo li conosco, Kammamuri – rispose Yanez. Non
 tremare per me.
 – Siete venuto altre volte qui?
 – No, ma ho percorso più volte i boschi del reame di Varauni.
 – Combattendo?
 – Talvolta sì.
 – Eravate nemici del sultano di Varauni?
 – Nemici fierissimi. Egli odiava terribilmente i pirati di Mompracem perché in ogni scontro vincevano la sua flotta.
 – Ditemi, padron Yanez, la Tigre della Malesia fu sempre pirata?
 – No, mio caro. Una volta era un potenterajah del Borneo settentrionale; ma un inglese ambizioso istigò alla ribellione le truppe e la popolazione e lo detronizzò dopo avergli ucciso padre, madre, fratelli e sorelle.
 – E vive ancora questo inglese?
 – Sì, vive.
 – E non l’avete punito?
 – È troppo forte. La Tigre della Malesia però non è ancora morta.
 – Ma voi, padron Yanez, perché vi siete unito a Sandokan?
 – Non mi sono unito a lui, Kammamuri; fui fatto prigioniero mentre navigavo verso Labuan.
 – Non uccideva i prigionieri Sandokan?
 – No, Kammamuri. Sandokan fu sempre feroce verso i suoi più acerrimi nemici e generosissimo verso gli altri, specialmente verso le donne.
 – Ed egli vi trattò sempre bene, padron Yanez?
 – Mi amò come e forse più di un fratello!
 – Ditemi, padron Yanez, quando avrete liberato il mio padrone, ritornerete a Mompracem?
 – È probabile, Kammamuri. Alla Tigre della Malesia occorrono grandi distrazioni per soffocare il suo dolore.
 – Quale dolore?
 – Quello di aver perduto Marianna Guillonk.
 – L’amava molto dunque?
 – Immensamente, alla follia.
 – È strano assaiche un uomo così feroce e terribile si sia innamorato di una donna.
 – E di una donna inglese per di più – aggiunse Yanez.
 – Dello zio di Marianna Guillonk avete saputo nulla?
 – Nulla, per ora.
 – Che sia qui?
 – Potrebbe darsi.
 – Avete paura di lui? – Forse, e…
 – Alto là – gridò in quell’istante una voce. Yanez e Kammamuri si arrestarono.

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