Tremal-Naik (prima parte)

 Quantunque fosse assai stanco, il buon portoghese non fu capace di chiudere occhio in tutta la notte. Quel vecchio bianco che guidava un drappello didayachi e somigliava tanto allo zio della moglie della Tigre, stato visto in vicinanza della città dal malese Sambigliong l’aveva sempre nella mente e riempivagli l’animo di forti inquietudini.
 Invano cercava di tranquillizzarsi, ripetendosi che forse il malese si era ingannato, che il lord doveva essere ancora lontano, forse a Giava, forse in India, forse più lontano ancora, in Inghilterra. Parevagli sempre di udire la voce del vecchionell’attiguo corridoio; parevagli sempre di udire delle persone avvicinarsi alla sua stanza, un fragore d’armi risuonare nel palazzo.
 Più volte, non sapendo dominare le sue inquietudini, scese dal letto e aprì prudentemente le finestre, più volte socchiuse la porta della stanza, temendo che fossero state appostate delle sentinelle per impedirgli la fuga. Si addormentò verso l’alba, ma fu un sonno agitato da brutti sogni che durò un paio d’ore al più. Si destò udendo un gong strepitare per la via.
 Si alzò, si vestì, si cacciò nelle tasche un paio di corte pistole e si diresse verso la porta. In quell’istesso istante veniva bussato.
 – Chi è? – chiese egli con viva ansietà.
 – Ilrajah vi aspetta nel suo gabinetto – disse una voce.
 Yanez si sentì un brivido correre per le ossa. Aprì la porta e si trovò dinanzi un indiano.
 – È solo ilrajah ? – chiese, coi denti stretti.
 – Solo, milord – rispose l’indiano.
 – Che vuole da me?
 – Vi attende per bere il thè.
 – Corro da lui – disse Yanez, dirigendosi verso lo studio del principe.
 – Ilrajah era seduto dinanzi al suo tavolino, sul quale c’era un servizio da thè in argento. Vedendo Yanez entrare, si alzò col sorriso sulle labbra, stendendogli la mano.
 – Buon giorno, milord! – esclamò. – Siete rientrato tardi ieri sera.
 – Perdonate, Altezza, se ho mancato al pranzo; ma la colpa non è mia – disse Yanez, rassicurato dal sorriso delrajah .
 – Che vi è accaduto?
 – Mi sono smarrito in mezzo ai boschi.
 – Eppure avevate una guida.
 – Una guida!
 – Mi dissero che eravate con un indiano che si spaccia per provveditore delle miniere di Poma.
 – Chi ve lo ha detto, Altezza? – chiese Yanez, facendo uno sforzo straordinario per conservare la calma.
 – Le mie spie, milord.
 – Altezza, ai vostri servigi avete della brava gente.
 – Lo credo – disse ilrajah sorridendo. – L’avete incontrato dunque, quell’uomo?
 – Sì, Altezza.
 – Fino dove vi ha accompagnato?
 – Fino ad un piccolo villaggio didayachi .
 – Indovinate chi era quell’uomo.
 – Chi era? – chiese Yanez, pronunciando con fatica quelle due parole.
 – Un pirata – disse ilrajah .
 – Un pirata!… È impossibile, Altezza.
 – Ve lo assicuro.
 – E non mi ha ammazzato?
 – I pirati di Mompracem, milord, qualche volta sono generosi, come il loro capo.
 – È generosa la Tigre della Malesia?
 – Così si dice. Mi si racconta che parecchie volte regalò grossi diamanti ai poveri diavoli che pochi momenti prima aveva moschettato e sciabolato.
 – E’ un pirata molto strano, dunque!
 – È coraggioso e generoso insieme.
 – Ma siete certo, Altezza, che quell’indiano facesse parte della banda di Mompracem?
 – Sicurissimo, perché le mie spie lo videro parlare con alcuni pirati della Tigre della Malesia. Ma non parlerà più con loro, ve lo giuro. A quest’ora deve essere in mano dei miei. –
 In quell’istante, giù nella strada, si udirono delle grida acute e un forte colpo di gong.
 Yanez pallido, agitatissimo, si precipitò verso la finestra per vedere ciò che accadeva, ma soprattutto per nascondere la propria commozione.
 – Per Giove! – esclamò con voce strozzata diventando maggiormente pallido. – Kammamuri!
 – Che cosa succede? – chiese ilrajah .
 – Conducono qui il mio indiano, Altezza – rispose con voce abbastanza calma.
 – Non mi ero ingannato, io.
 Si curvò sul davanzale e guardò.
 Quattro guardie, armate fino ai denti, conducevano verso il palazzo l’indiano Kammamuri, al quale erano state legate strettamente le braccia con solide fibre dirotang . Il prigioniero non opponeva alcuna resistenza, né sembrava atterrito. Procedeva con passo calmo e guardava tranquillamente la folla didayachi , cinesi e malesi che lo seguiva schiamazzando.
 – Pover’uomo! – esclamò Yanez.
 – Lo compiangete, milord? – chiese ilrajah .
 – Un po’, lo confesso.
 – Eppure quell’indiano è un pirata.
 – Lo so, ma con me fu assai gentile. Che ne farete, Altezza?
 – Cercherò di farlo parlare innanzitutto. Se riesco a sapere dove si cela la Tigre della Malesia… Radunerò le mie guardie e l’assalirò.
 – L’assalirete?
 – Radunerò le mie guardie e l’assalirò.
 – E se il prigioniero si ostina a non parlare?
 – Lo farò appiccare – disse freddamente ilrajah .
 – Povero diavolo!
 – Tutti i pirati hanno uguale trattamento, milord.
 – Quando lo interrogherete?
 – Quest’oggi non ho tempo, perché devo ricevere un ambasciatore olandese, ma domani sarò libero e lo farò parlare.
 Un lampo balenò negli occhi del portoghese.
 – Altezza – disse, dopo un po’ d’esitazione. – Potrò assistere all’interrogatorio?
 – Se lo desiderate.
 – Grazie, Altezza.
 Ilrajah scosse un campanello d’argento che stava sul tavolo. Un cinese vestito di seta gialla, con una coda lunga un buon metro, entrò portando una teiera di porcellana diMing , piena di thè fumante.
 – Il thè non vi spiacerà, spero – disse ilrajah .
 – Non sarei inglese – rispose Yanez, sorridendo.
 Vuotarono parecchie tazze della deliziosa bevanda, indi si alzarono.
 – Ove vi recate oggi, milord? – chiese ilrajah .
 – A visitare i dintorni della città – rispose Yanez. – Ho scorto un fortino e, con il vostro permesso, lo visiterò.
 – Troverete dei compatrioti, milord.
 – Dei compatrioti! – esclamò Yanez, fingendo di ignorare ogni cosa.
 – Raccolti da me alcune settimane fa, mentre stavano per annegare.
 – Dei naufraghi dunque?
 – Precisamente.
 – E che cosa fanno in quel forte?
 – Attendono l’arrivo di una nave per imbarcarsi e nel medesimo tempo sorvegliano unthug indiano che rinchiusi là dentro.
 – Che? Unthug ! Unthug indiano! – esclamò Yanez. – Oh! vorrei vedere uno di quei terribili strangolatori.
 – Lo desiderate?
 – Ardentemente.
 Ilrajah prese un foglio di carta, scrisse alcune righe, lo piegò e lo consegnò al portoghese che lo prese con vivacità.
 – Consegnatelo al luogotenente Churchill – disse ilrajah . Egli vi mostrerà ilthug e, se desiderate, vi farà visitare l’intero fortino che però non ha nulla di bello.
 – Grazie, Altezza.
 – Pranzerete con me questa sera?
 – Ve lo prometto.
 – Arrivederci, milord.
 Yanez, che non vedeva l’ora di uscire da quello studio, si diresse verso la propria stanza.
 – Ragioniamo, Yanez mio – mormorò quando si trovò solo. – Si tratta di fare un gran colpo senza essere scoperto.
 Si affacciò poi alla finestra, immergendosi in profondi pensieri.
 Rimase lì, immobile, con gli occhi fissi sul fortino, dieci o dodici minuti, corrugando di quando in quando la fronte.
 – Ci siamo! – esclamò d’un tratto. – Mio caro Brooke, il buon Yanez ti prepara un giochetto che, se ho tutto ben calcolato, sarà bellissimo. Per Giove! Sandokan sarà contento del fratello bianco.
 S’avvicinò al tavolo, prese una penna e, sopra un pezzettino di carta, scrisse:
 Mi manda il tuo fedele servo Kammamuri per salvarti. Tremal-Naik, se vuoi essere libero e rivedere la tua Ada, ingoia verso la mezzanotte le pillole che qui trovi, né prima né dopo, se puoi. Yanez, amico di Kammamuri.

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