Capitolo X – A bordo della Folgore

La Folgore del Corsaro Nero, uscita dagli isolotti e oltrepassato il lungo promontorio formato dagli ultimi contrafforti della Sierra di S. Marta, si era lanciata sulle acque del mar Caraybo, navigando verso il nord, ossia verso le Grandi Antille.

Il mare era tranquillo, appena rotto dalla brezza mattutina che soffiava da sud-sud-est, la quale sollevava qua e là delle brevi onde che andavano a infrangersi, con sordi muggiti, contro i fianchi del rapido veliero.

Gran numero d’uccelli di mare volteggiavano al largo, accorrendo dalle coste. Bande di corvi di mare, uccellacci rapaci, grossi quanto un gallo, svolazzavano in prossimità delle spiagge, pronti a scagliarsi sulle piú piccole prede ed a farle a brani ancora vive; mentre sulle onde scorrazzavano battaglioni di rincopi, dalle code forcute, le penne nere sul dorso e candide sotto il ventre e muniti di corti becchi che li condannano a soffrire dei lunghi digiuni, poiché se i pesci non si gettassero quasi spontaneamente nelle bocche di quei disgraziati volatili, questi non riuscirebbero ad afferrarli avendo la mandibola inferiore assai piú lunga della superiore. Anche i fetonti, che sono cosí comuni nelle acque del gran golfo messicano, non mancavano. Si vedevano sfiorare le onde in lunghe file, lasciando pendere le lunghe barbe delle code ed imprimendo alle loro nere ali un tremito convulso, assai bizzarro.

Spiavano i pesci volanti che balzavano bruscamente fuori dalle acque, solcando l’aria per cinquanta o sessanta braccia, per poi ricadere e ricominciare subito il loro gioco.

Mancavano invece assolutamente le navi. Gli uomini di guardia, rimasti in coperta, avevano un bel guardare, ma nessun veliero si vedeva solcare l’orizzonte in alcuna direzione.

La paura d’incontrare i fieri corsari della Tortue tratteneva le navi spagnole entro i porti delle Carache, dello Yucatan, del Venezuela e delle grandi isole antillane, fino a quando non si trovavano in numero da formare una squadra.

Solo le navi ben armate e montate da numerosi equipaggi osavano attraversare ancora il Mar Caraybo od il Golfo del Messico; sapendo già per prova quanta fosse l’audacia di quegli intrepidi schiumatori del mare, che avevano spiegata la loro bandiera sull’isolotto della Tortue.

Durante quella prima giornata nulla era accaduto a bordo della filibustiera, dopo il seppellimento del povero Corsaro Rosso.

Il comandante non si era piú fatto vedere in coperta, né sul ponte di comando lasciando la cura della direzione e delle manovre al suo secondo. S’era chiuso nella sua cabina, e piú nessuno aveva avuto nuove di lui, nemmeno Carmaux e Wan Stiller.

Si era però saputo che aveva condotto con sé l’africano o lo si era sospettato, perché nemmeno il negro era stato piú veduto ricomparire, né lo si era trovato in alcun angolo della nave, nemmeno nella stiva.

Che cosa facessero nella cabina, chiusi a chiave, nessuno avrebbe potuto dirlo. Forse nemmeno il secondo, perché Carmaux che aveva voluto interrogarlo, per tutta risposta aveva ricevuto una spinta, unita ad un cenno quasi minaccioso che voleva significare:

– Non occuparti di ciò che non ti riguarda, se ti è cara la vita!

Calata la sera, mentre la Folgore imbrogliava parte delle sue vele per tema dei colpi improvvisi di vento che sono cosí frequenti in quei paraggi e che quasi sempre cagionano delle disgrazie, Carmaux e Wan Stiller, che ronzavano attorno al quadro, videro finalmente sorgere dal boccaporto di poppa la testa lanuta dell’africano.

– Ecco il compare!… – esclamò Carmaux. – Speriamo di sapere se il comandante si trova ancora a bordo, o se è andato a confabulare coi suoi fratelli in fondo al mare. Quel funebre uomo sarebbe capace di questo.

– Lo credo, – disse Wan Stiller, che conosceva le sue superstizioni. – Io lo ritengo piú uno spirito del mare che un uomo di carne ed ossa come noi.

– Ehi, compare, – disse Carmaux al negro. – Era tempo che tu venissi a salutare il compare bianco.

– È il padrone che mi ha trattenuto, – rispose l’africano.

– Grosse novità adunque? Che cosa fa il comandante?

– È piú triste che mai.

– Non l’ho mai veduto allegro, nemmeno alla Tortue, né l’ho visto mai sorridere.

– Non ha fatto che parlare dei suoi fratelli e di tremende vendette.

– Che manterrà, compare. Il Corsaro Nero è un uomo che eseguirà alla lettera il suo terribile giuramento ed io non vorrei trovarmi nei panni del Governatore di Maracaybo e di tutti i suoi parenti.

– Wan Guld deve covare un odio implacabile contro il Corsaro Nero, ma quell’odio gli sarà fatale.

– Ed il motivo di quell’odio lo si conosce, compare bianco?

– Si dice che sia molto vecchio e che Wan Guld avesse giurato di vendicarsi dei tre corsari prima ancora che venisse in America e che offrisse i suoi servigi alla Spagna.

– Quando si trovava in Europa?

– Sí.

– Si sarebbero conosciuti prima?

– Cosí si dice, poiché mentre Wan Guld si faceva nominare Governatore di Maracaybo, comparivano dinanzi alla Tortue tre splendide navi comandate dal Corsaro Nero, dal Rosso e dal Verde.Erano quei corsari tre begli uomini, coraggiosi come leoni, e marinai arditi ed intrepidi. Il Verde era il piú giovane ed il Nero il piú attempato; ma per il valore nessuno era inferiore all’altro e nel maneggio delle armi non avevano rivali in tutti i filibustieri della Tortue. Quei tre valenti dovevano in breve fare tremare gli spagnuoli in tutto il Golfo del Messico. Non si contavano le navi da loro predate e le città espugnate; nessuno poteva resistere alle loro tre navi, le piú belle, le piú veloci e le meglio armate di tutta la filibusteria.

– Lo credo, – rispose l’africano. – Basta guardare questo vascello.

– Vennero però anche per loro i giorni tristi, – prosegui Carmaux. – Il Corsaro Verde, salpato colla sola sua nave dalla Tortue per ignota destinazione, cadeva nel bel mezzo d’una squadra spagnuola, veniva vinto dopo una lotta titanica, preso, condotto a Maracaybo e appiccato da Wan Guld.

– Me lo ricordo, – disse il negro. – Il suo cadavere però non fu gettato a pascolo delle fiere.

– No, poiché il Corsaro Nero, accompagnato da pochi fidi, riusciva di notte a entrare in Maracaybo ed a rapirlo per poi seppellirlo in mare.

– Sí, lo si seppe poi e si dice che Wan Guld, per la rabbia di non avere potuto prendere anche il fratello, facesse fucilare le quattro sentinelle incaricate di vegliare sugli appiccati della Plaza de Granada.

– Ora è stata la volta del Corsaro Rosso ed anche questo è stato sepolto nei baratri del mar Caraybo, ma il terzo fratello è il piú formidabile e finirà coll’esterminare tutti i Wan Guld della terra.

– Andrà presto a Maracaybo, compare. Mi ha chiesto tutte le informazioni necessarie per condurre contro la città una flotta numerosa.

– Pietro Nau, il terribile olonese, è ancora alla Tortue ed è l’amico del Corsaro Nero. Chi potrebbe resistere a questi due uomini?… E poi…

S’interruppe e, urtando il negro e Wan Stiller che gli stava vicino, ascoltandolo in silenzio, disse loro:

– Guardatelo!… Non fa paura quell’uomo? Sembra il dio del mare!…

Il filibustiere e l’africano avevano alzato gli occhi verso il ponte di comando.

Il Corsaro era là, tutto vestito di nero come sempre, col suo ampio cappello abbassato sulla fronte e la grande piuma svolazzante.

Colla testa china sul petto, le braccia incrociate, passeggiava lentamente per il ponte, tutto solo e senza produrre il minimo rumore.

Morgan, il luogotenente, vegliava all’estremità del ponte, ma senza osare interrogare il suo capitano.

– Sembra uno spettro, – mormorò sotto voce Wan Stiller.

– E Morgan non sfigurerebbe come suo compagno, – disse Carmaux. – Se uno è tetro come la notte, l’altro non è piú allegro. Entrambi si sono trovati. Toh!…

Un grido era echeggiato fra le tenebre. Scendeva dall’alto della crocetta dell’albero maestro, ove si vedeva confusamente una forma umana.

Quella voce aveva gridato per due volte:

– Nave al largo, sottovento!

Il Corsaro Nero aveva interrotto bruscamente la sua passeggiata. Stette un istante immobile, guardando verso sottovento, ma trovandosi cosí basso, difficilmente poteva scorgere una nave navigante a sei o sette miglia di distanza.

Si volse verso Morgan che si era pure curvato sul bordo dicendogli:

– Fate spegnere i fuochi.

I marinai di prora, ricevuto il comando, s’affrettarono a coprire i due grandi fanali accesi, l’uno a babordo e l’altro a tribordo.

– Gabbiere, – riprese il Corsaro, quando l’oscurità fu completa a bordo della Folgore, – dove naviga quella nave?

– Verso il sud, comandante.

– Alla costa di Venezuela?

– Lo credo.

– A quale distanza?

– A cinque o sei miglia.

– Sei certo di non ingannarti?

– No: distinguo nettamente i suoi fanali.

Il Corsaro si curvò sulla passerella, quindi lanciò queste tre parole:

– Uomini in coperta!

In meno di mezzo minuto i centoventi filibustieri che formavano l’equipaggio della Folgore erano tutti al posto di combattimento. Gli uomini di manovra ai bracci delle vele, i gabbieri in alto, i migliori fucilieri sulle coffe e sul cassero, gli altri lungo le murate e gli artiglieri dietro ai loro pezzi colle micce accese in mano.

L’ordine e la disciplina che regnavano a bordo delle navi filibustiere erano tali, che a qualunque ora della notte ed in qualsiasi frangente, tutti gli uomini si trovavano al posto assegnato con una rapidità prodigiosa, sconosciuta perfino sulle navi da guerra delle nazioni piú marinaresche.

Queglii scorridori del mare, piovuti nel Golfo del Messico da tutte le parti dell’Europa, ed arruolati tra le peggiori canaglie dei porti di mare di Francia, d’Italia, d’Olanda, della Germania e dell’Inghilterra, dediti a tutti i vizi, ma noncuranti della morte e capaci dei piú grandi eroismi e delle piú incredibili audacie, sulle navi filibustiere, diventavano piú obbedienti degli agnelli, in attesa di diventare tigri nei combattimenti.

Sapevano bene che i loro capi non avrebbero lasciata impunita nessuna negligenza e che la piú piccola vigliaccheria o indisciplina l’avrebbero fatta pagare con un colpo di pistola nel cranio, o per lo meno coll’abbandono su qualche isola deserta.

Quando il Corsaro Nero vide tutti i suoi uomini a posto, osservandoli quasi uno per uno, si volse verso Morgan, il quale attendeva i suoi ordini.

– Credete che quella nave sia?… – gli chiese.

– Spagnola, signore, – rispose il secondo.

– Degli spagnuoli!… – esclamò il Corsaro con voce cupa. – Sarà una notte fatale per loro e molti non rivedranno il sole domani.

– Assaliremo quella nave stanotte, signore?

– Sí, e la coleremo a fondo. Laggiú dormono i miei fratelli, ma non dormiranno soli.

– Sia, se cosí desiderate, signore.

Balzò sulla murata, tenendosi aggrappato ad un paterazzo e guardò sottovento.

Fra le tenebre che coprivano il mare rumoreggiante, due punti luminosi, che non si potevano confondere colle stelle brillanti all’orizzonte, scorrevano quasi a fior d’acqua.

– Sono a quattro miglia da noi, – disse.

– E vanno sempre al sud? – chiese il Corsaro.

– Verso Maracaybo.

– Sfortuna a loro. Date il comando di virare di bordo e di tagliare la via a quella nave.

– Farete portare in coperta cento granate da gettare a mano, e farete assicurare ogni cosa nelle corsie e nelle cabine.

– Speroneremo la spagnuola?

– Sí, se sarà possibile.

– Perderemo i prigionieri, signore.

– Che m’importa di loro?

– Ma quella nave può contenere delle ricchezze.

– Nella mia patria ho castelli ancora e vaste terre.

– Parlavo per i nostri uomini.

– Per essi ho dell’oro. Fate virare di bordo, signore.

Al primo comando, a bordo del legno si udí echeggiare il fischietto del mastro. Gli uomini della manovra, con una rapidità fulminea e con un accordo perfetto, bracciarono le vele, mentre il timoniere cacciava la ribolla all’orza.

La Folgore girò di bordo quasi sul posto e spinta da una fresca brezza che soffiava dal sud-est, si slanciò sulla rotta del veliero segnalato, lasciando a poppa una lunga scia gorgogliante.

S’avanzava fra le tenebre, leggera come un uccello, quasi senza produrre rumore, come il leggendario vascello fantasma.

Lungo le murate, i fucilieri, immobili come statue e muti, spiavano la nave nemica, stringendo i loro lunghi fucili di grosso calibro, armi formidabili nelle loro mani, perché di rado mancavano il colpo, mentre gli artiglieri, curvi sui loro pezzi, soffiavano sulle micce, pronti a scatenare uragani di mitraglia.

Il Corsaro Nero e Morgan non avevano lasciato il ponte di comando. Appoggiati sulla traversa della passerella, l’uno presso all’altro, non staccavano gli sguardi dai due punti luminosi che solcavano le tenebre a meno di tre miglia di distanza.

Carmaux, Wan Stiller ed il negro, tutti e tre a prora, sul castello, chiacchieravano a bassa voce, guardando ora la nave segnalata che continuava tranquillamente la sua rotta, ed ora il Corsaro Nero.

– Brutta notte, per quella gente, – diceva Carmaux. – Io temo che il comandante, con quella rabbia che ha in cuore, non lascerà vivo un solo spagnuolo.

– Mi sembra però che quella nave sia ben alta di bordo, – rispose Wan Stiller che misurava l’altezza dei fanali dal pelo dell’acqua. – Non vorrei che fosse una nave di linea che va a raggiungere la squadra dell’ammiraglio Toledo.

– Peuh!… Non fa paura al Corsaro Nero. Nessuna nave ha mai potuto resistere alla Folgore e poi ho udito il comandante parlare di speronate.

– Tuoni d’Amburgo!… Se continua cosí, una volta o l’altra anche la Folgore perderà la prora.

– È a prova di scoglio, mio caro.

– Ma anche gli scogli talvolta si rompono.

– Zitto!…

La voce del Corsaro Nero aveva rotto improvvisamente il silenzio che regnava a bordo della nave.

– Uomini di manovra!… In alto i coltellacci e fuori gli scopamari!

Le vele supplementari che vengono aggiunte alle estremità dei pennoni di maestra e di trinchetto, dei pappafichi e contropappafichi, furono dai gabbieri subito spiegate.

– In caccia! – esclamò Carmaux. – Pare che la spagnuola fili molto bene, per costringere la Folgore a issare i coltellacci.

– Ti dico che abbiamo da fare con una nave di linea, – ripeté Wan Stiller. – Guarda come ha l’alberatura alta.

– Tanto meglio!… Farà caldo d’ambo le parti!…

In quell’istante una voce robusta echeggiò sul mare. Veniva dalla nave nemica ed il vento l’aveva portata a bordo della filibustiera.

– Ohé!… Nave sospetta a babordo!…

Sul ponte di comando della filibustiera si vide il Corsaro Nero curvarsi verso Morgan, come gli mormorasse alcune parole, poi scese sul cassero gridando:

– A me la barra!… Uomini del mare, in caccia!…

Un solo miglio separava le due navi, ma dovevano essere entrambe dotate d’una straordinaria velocità perché la distanza non pareva scemare.

Era trascorsa una mezz’ora quando sulla nave spagnuola o creduta tale, si vide un bagliore illuminare rapidamente il ponte e parte dell’alberatura, poi una fragorosa detonazione si distese sui neri flutti, perdendosi nei lontani orizzonti, con un rimbombo cupo e prolungato.

Un istante dopo un fischio, ben noto ai filibustieri, si udí in aria, poi uno sprizzo d’acqua balzò alto piú di venti braccia dalla poppa della nave corsara.

Nessuna voce si alzò fra l’equipaggio. Solo un sorriso sdegnoso apparve sulle labbra del Corsaro Nero, sprezzante saluto a quel primo messaggero di morte.

La nave avversaria dopo quella prima cannonata, che voleva essere un minaccioso invito di non piú seguirla, aveva virato nuovamente di bordo, mettendo la prora al sud, accennando risolutamente a cacciarsi nel Golfo di Maracaybo.

Il Corsaro Nero, accortosi di quella nuova direzione, si volse verso Morgan, che si teneva addossato alla murata, confuso tra i paterazzi di poppa e gli disse:

– A prora, signore.

– Devo cominciare il fuoco?

– Non ancora: è troppo oscuro. Andate a disporre tutto per l’abbordaggio.

– Abborderemo, signore?

– Lo si vedrà!

Morgan scese dal cassero, chiamò il mastro e si diresse a prora, dove quaranta uomini si tenevano distesi sul castello colle sciabole d’arrembaggio collocate dinanzi ed i fucili in mano.

– In piedi, – comandò. – Andate a preparare i grappini da lancio.

Poi, volgendosi verso gli uomini che stavano riparati dietro le murate, aggiunse:

– Allestite le tramezzate e ponete le brande sul capo di banda.

I quaranta uomini di prora si misero silenziosamente al lavoro, senza confusione, sotto gli sguardi vigilanti del secondo.

Quegli uomini, se temevano il Corsaro Nero, avevano non meno paura di Morgan, un uomo inflessibile, audace quanto il capo, coraggioso come un leone e deciso a tutto.

D’origine inglese, era giunto da poco in America; ma si era fatto subito notare per il suo spirito intraprendente e per la sua rara energia ed audacia. Aveva già fatte splendidamente le sue prove sotto un corsaro famoso, il Mansfield, ma doveva piú tardi superare per coraggio e per valore tutti i piú famosi filibustieri della Tortue, colla celebre spedizione di Panama e l’espugnazione, fino allora creduta impossibile, di quella città regina dell’Oceano Pacifico.

Dotato d’una robustezza eccezionale e d’una forza portentosa, bello di lineamenti e generoso d’animo, con due occhi penetranti che avevano un fascino misterioso, al pari del Corsaro Nero, sapeva imporsi a quei ruvidi uomini di mare e farsi ubbidire con un semplice cenno della mano.

Sotto la sua direzione, in meno di venti minuti, due robuste tramezzate furono innalzate da babordo a tribordo, una dinanzi all’albero di trinchetto e l’altra dinanzi a quello maestro, composte di travi e di botti ripiene di ferraccio, destinate a proteggere il cassero ed il castello, nel caso che i nemici avessero fatto irruzione sulla tolda.

Cinquanta granate da gettarsi a mano furono collocate dietro le travi, quindi i grappini d’abbordaggio furono disposti sulle murate e sulle brande arrotolate che dovevano servire da fuciliere.

Quando tutto fu pronto, Morgan fece ricoverare gli uomini sul castello, quindi si mise in osservazione accanto al bompresso, con una mano sull’impugnatura della sciabola e l’altra sul calcio d’una pistola che teneva nella fascia.

La nave avversaria non era allora che a sei o settecento metri. La Folgore, giustificando pienamente il suo nome, aveva guadagnata via e si preparava a piombarle addosso con un urto tremendo, irresistibile.

La nave spagnuola si poteva distinguere nei suoi maggiori particolari, quantunque la notte fosse oscura, non essendovi la luna.

Come Wan Stiller aveva sospettato, era una nave di linea, di aspetto imponente, coi suoi bordi altissimi, il suo cassero elevatissimo ed i suoi tre alberi coperti di vele fino ai contropappafichi.

Era un vero legno di battaglia, forse formidabilmente armato e montato da un numeroso e agguerrito equipaggio, deciso ad una strenua difesa.

Qualunque altro Corsaro della Tortue si sarebbe bene guardato di assalirlo poiché anche vincendo, ben poco avrebbe trovato da saccheggiare, tenendoci piú quegl’intrepidi ladri di mare a dare addosso alle navi mercantili od ai galeoni carichi di tesori provenienti dalle miniere del Messico, dell’Yucatan e del Venezuela, ma cosí non la pensava il Corsaro Nero, uomo che non si curava delle ricchezze.

Forse in quella nave vedeva un potente alleato di Wan Guld, che piú tardi avrebbe potuto ostacolare i suoi disegni e si preparava ad assalirla prima che andasse a rinforzare la squadra dell’ammiraglio Toledo, od a difendere Maracaybo.

A cinquecento metri, la nave spagnuola, vedendosi ostinatamente inseguita e piú non dubitando delle sinistre intenzioni del Corsaro, sparò una seconda cannonata con uno dei suoi piú grossi pezzi da caccia.

La palla questa volta non si perdette in mare. Passò fra le vele di parrocchetto e di gabbia e andò a smozzare l’estremità del picco della randa facendo cadere la nera bandiera del filibustiere.

I due contro-mastri d’artiglieria del cassero si volsero verso il Corsaro Nero che stava sempre alla barra, tenendo in una mano il portavoce e chiesero:

– Dobbiamo cominciare, comandante?

– Non ancora – rispose il Corsaro.

Una terza cannonata rimbombò sul mare, piú forte delle altre due ed una terza palla fischiò fra gli attrezzi della nave corsara, sfondando la murata poppiera, a tre soli passi dal timone.

Un altro sorriso sardonico sfiorò le labbra dell’audace filibustiere, ma nessun comando uscí dalla sua bocca.

La Folgore precipitava la corsa, mostrando alla nave nemica il suo alto sperone, il quale fendeva il mare con un cupo gorgoglio, impaziente di penetrare, con uno squarcio immenso, nel ventre della nave spagnuola. Correva come un nero uccello, armato d’un rostro formidabile.

La vista di quel legno che pareva sorto improvvisamente dal mare e che s’avanzava tacito, senza rispondere alle provocazioni, senza nemmeno dar segno di essere montato da un equipaggio, doveva produrre un effetto sinistro sugli animi superstiziosi dei marinai spagnuoli.

Ad un tratto un clamore immenso echeggiò fra le tenebre.

Sulla nave nemica si udivano urla di terrore e comandi precipitati.

Una voce imperiosa coprí per un istante quel tumulto, forse quella del comandante.

– Bracciate a babordo!… Appoggia la barra, tutta!…

– Fuoco di bordata!

Un fracasso spaventevole scoppia a bordo del vascello di linea, mentre lampi di fuoco illuminano la notte. I sette pezzi di tribordo ed i due cannoni da caccia della coperta hanno vomitato contro la nave corsara i loro proiettili. Le palle fischiano tra i filibustieri, attraverso vele, recidono corde, si sprofondano nella carena o sfondano le murate, ma non arrestano lo slancio della Folgore.

Guidata dal robusto braccio del Corsaro Nero, piomba, con tutto impeto sul grande vascello. Fortunatamente per questo, un colpo di barra dato a tempo dal pilota, lo salva da una spaventevole catastrofe.

Spostato bruscamente dalla sua linea, obliqua a babordo, sfugge miracolosamente al colpo di sperone che doveva cacciarlo a fondo col fianco squarciato.

La Folgore passa là dove, un istante prima, si trovava la poppa della nave avversaria. La tocca col suo fianco, urtandola bruscamente con un cupo rimbombo che si ripercuote nella profondità della stiva, le spezza la boma della randa e parte del coronamento, ma è tutto.

La nave corsara, mancato il colpo, prosegue la sua corsa rapida e scompare nelle tenebre senza aver dato segno di essere montata da un numeroso equipaggio e di essere formidabilmente armata.

– Lampi d’Amburgo!… – esclamò Wan Stiller che aveva trattenuto il respiro in attesa del tremendo urto. – Ciò si chiama per gli spagnuoli aver fortuna!

– Non avrei data una pipata di tabacco per tutti gli uomini che montano il vascello, – rispose Carmaux. – Mi pareva di vederli già scendere negli abissi del gran golfo.

– Credi che il comandante ritenterà il colpo?

– Gli spagnuoli si terranno ora in guardia e ci presenteranno la prora.

– E ci bombarderanno per bene. Se fosse stato giorno, quella bordata avrebbe potuto esserci fatale.

– Mentre invece non ci ha recato che dei guasti insignificanti.

– Taci, Carmaux!…

– Che cosa succede?

Il Corsaro Nero aveva imboccato il portavoce ed aveva gridato:

– Pronti a virare di bordo!…

– Si ritorna?… – si chiese Wan Stiller.

– Per bacco!… Non lascerà andare di certo la nave spagnuola, – rispose Carmaux.

– E mi pare che nemmeno il vascello abbia intenzione d’andarsene.

Era vero. La nave spagnuola, invece di proseguire la marcia si era arresta, mettendosi attraverso al vento, come se fosse decisa ad accettare la battaglia.

Però virava lentamente di bordo, presentando lo sperone per evitare di venire investita.

Anche la Folgore aveva virato di bordo a due miglia di distanza; invece però di ritornare addosso all’avversaria stava descrivendo attorno ad essa un grande cerchio, pur tenendosi fuori portata delle artiglierie.

– Comprendo, – disse Carmaux. – Il nostro comandante vuol attendere l’alba prima d’impegnare la lotta e di spingersi all’abbordaggio.

– Ed impedire agli spagnuoli di proseguire la loro corsa verso Maracaybo, – aggiunse Wan Stiller.

– Sí, è precisamente cosí. Mio caro, prepariamoci ad una lotta disperata e, come è costume fra noi filibustieri, se io dovessi venire tagliato in due da una palla di cannone o ucciso sul ponte del vascello nemico, nomino te erede della mia modesta fortuna.

– Che ascende? – disse Wan Stiller, ridendo.

– A due smeraldi che valgono almeno cinquecento piastre l’uno e che tengo cuciti nella fodera della mia giacca.

– Vi è tanto da divertirsi una settimana alla Tortue. Io nomino te mio erede, ma ti avverto che non ho che tre dobloni cuciti nella mia cintura.

– Basteranno per vuotare sei bottiglie di vino di Spagna alla tua memoria, amico.

– Grazie, Carmaux, ora sono tranquillo e posso attendere la morte con tutta serenità.

La Folgore intanto continuava la sua corsa attorno al vascello di linea, il quale rimaneva sempre fermo, limitandosi a presentare la prora. Volteggiava rapida, come un uccello fantastico, minacciando sempre, senza però far tuonare le sue artiglierie.

Il Corsaro Nero non aveva abbandonata la barra. I suoi occhi, che pareva divenissero luminosi come quelli delle fiere notturne, non si staccavano un solo istante dal vascello di linea, come se cercasse d’indovinare ciò che succedeva a bordo o che aspettasse qualche falsa manovra per vibrare la speronata mortale.

Il suo equipaggio lo guardava con superstizioso terrore. Quell’uomo che maneggiava la sua nave come se le avesse trasfusa la sua anima, che la faceva volteggiare attorno alla preda senza quasi cambiare velatura col suo tetro aspetto e colla sua immobilità, metteva un certo sgomento anche fra quegli arditi scorridori del mare. Tutta la notte la nave corsara continuò a girare attorno al vascello, senza rispondere ai colpi di cannone che di quando in quando le venivano sparati contro, ma con nessun successo. Quando però le stelle cominciarono ad impallidire ed i primi riflessi dell’alba tinsero le acque del golfo, la voce del Corsaro tornò a farsi udire.

– Uomini del mare!… – gridò. – Ognuno al posto di combattimento!… In alto la mia bandiera!…

La Folgore non girava piú attorno al vascello di linea; muoveva diritta contro di lui, risoluta ad abbordarlo.

La grande bandiera nera del Corsaro era stata issata sul picco della randa ed inchiodata affinché nessuno potesse ammainarla, ciò che significava vincere ad ogni costo o morire, ma senza resa.

Gli artiglieri del cassero avevano puntati i due cannoni da caccia, mentre i filibustieri dalle murate avevano passati i fucili fra gli spazi delle brande, pronti a tempestare il legno nemico.

Il Corsaro Nero si assicurò se tutti erano al posto di combattimento, poi guardò se i gabbieri avevano riprese le loro posizioni sulle coffe, sulle crocette e sui pennoni, quindi lanciò il grido:

– Uomini del mare!… Non vi trattengo piú!… Viva la filibusteria!…

Tre hurrà formidabili echeggiarono a bordo della nave corsara appoggiati dal rimbombo dei pezzi da caccia.

Il vascello di linea si era allora rimesso al vento e marciava incontro alla filibustiera. Doveva essere montato da uomini valorosi e risoluti, perché generalmente le navi spagnole cercavano di sfuggire agli attacchi dei corsari della Tortue, sapendo per prova con quali formidabili avversari avevano da fare.

A mille passi ricominciò il cannoneggiamento con gran furore. Correndo bordate, scaricava ora i suoi pezzi di tribordo, coprendosi di fumo e di fiamme.

Era un grande legno a tre ponti, coll’alberatura a nave, altissimo di bordo, e munito di quattordici bocche da fuoco, una vera nave da battaglia, forse distaccata per qualche urgente bisogno dalla squadra dell’ammiraglio Toledo.

Sul ponte di comando di poppa si vedeva il comandante in grande uniforme, colla sciabola in pugno, circondato dai suoi luogotenenti, mentre sulla tolda si scorgevano numerosi marinai.

Col grande stendardo di Spagna issato sull’alberetto di maestra, quel forte vascello muoveva intrepidamente incontro alla Folgore, tuonando terribilmente.

Il legno corsaro, quantunque assai piú piccolo, non si lasciava intimorire da quella pioggia di palle. Affrettava la marcia, rispondendo coi suoi cannoni da caccia, ed aspettando forse il momento opportuno per scaricare i dodici pezzi dei sabordi.

Le palle cadevano fitte sul ponte, sfondando le murate, penetrando nella stiva e nelle batterie, maltrattando le manovre e facendo dei vuoti fra i filibustieri di prora, però non cedeva il passo e muoveva con pari audacia all’abbordaggio.

A quattrocento metri i suoi fucilieri vennero in aiuto dei due cannoni del cassero, tempestando la tolda della nave nemica.

Quel fuoco doveva in breve diventare disastroso per gli spagnuoli, perché, come fu detto, i filibustieri quasi mai mancavano ai loro colpi, essendo stati prima bucanieri, ossia cacciatori di buoi selvatici.

Le palle di quei grossi archibugi facevano infatti strage ben di piú del fuoco dei cannoni. Gli uomini del vascello cadevano a dozzine lungo i bordi e cadevano gli artiglieri dei pezzi da caccia del cassero e gli ufficiali del ponte di comando.

Bastarono dieci minuti perché non ne restasse neppure uno. Anche il comandante era caduto in mezzo ai suoi luogotenenti, prima ancora che le due navi si fossero abbordate.

Rimanevano però gli uomini delle batterie, ben piú numerosi dei marinai della coperta. La vittoria era quindi ancora da disputarsi.

A venti metri l’una dall’altra, le due navi virarono bruscamente di bordo. Subito la voce del Corsaro tuonò tra il rimbombo delle artiglierie.

– Imbroglia la maestra e la gabbia, controbraccia il trinchetto, tendi al massimo la randa!…

La Folgore si spostò bruscamente sotto un violento colpo di barra e andò ad imbrogliare il suo bompresso fra le sartie della mezzana del vascello.

Il Corsaro era balzato giú dal cassero colla spada nella destra e una pistola nella sinistra.

– Uomini del mare! – aveva gridato. – All’abbordaggio!…

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