Conclusione

Venti minuti dopo i quattro incrociatori lasciavano il banco di Vernon su cui affondava a poco a poco nel fango la carcassa del valoroso Re del Mare.

Sul più grosso, su cui si trovavano imbarcati tutti i superstiti, compresi Kammamuri, Sambigliong e l’ingegnere Horward, si erano radunati nella sala del quadro Tremal-Naik, le due fanciulle, i due capi della pirateria ed il figlio di Suyodhana.

Una viva ansietà, non esente da una grandissima curiosità, pareva che si fosse impadronita di tutti. Gli sguardi erano tutti fissi sul tigrotto dell’India, che fino allora avevano creduto un ufficiale della marina anglo-indiana e che si era seduto accanto a Darma.

– Io debbo a voi delle spiegazioni, – disse il figlio del terribile thug, che non dispiaceranno nemmeno a Darma e che serviranno a scusare la guerra lunga e ostinata che io ho fatto a voi tutti. Non fu che a venticinque anni che io fui informato per la prima volta dal mio precettore, un indiano d’alto sapere e d’alta casta, che io non ero il figlio d’un ufficiale anglo-indiano, come fino allora mi avevano fatto credere, bensì del capo della setta dei thugs, che aveva sposata segretamente una donna inglese morta dandomi alla luce.

Affidato alle cure d’una famiglia del gallese, stabilita da molti anni a Benares, come l’orfano d’un ufficiale della Compagnia Indiana e allevato all’inglese, comprenderete facilmente quale terribile impressione produsse in me la notizia comunicatami al mio venticinquesimo anno, d’essere invece il figlio del capo d’una setta da tutti gli onesti condannata. Il testamento lasciato da mio padre, che mi rendeva padrone di centosettanta milioni di rupie, depositati nella banca di Bombay, m’imponeva di vendicare la morte della Tigre dell’India. Esitai a lungo, credetelo, ma alfine il grido del sangue s’impose e per quanto mi ripugnasse l’idea di farmi vendicatore di quella setta, io, che allora ero ufficiale della marina anglo-indiana, mi lasciai vincere, suggestionato anche dal mio precettore.

Conoscevo tutta l’istoria, sapevo dov’era il vostro rifugio e mi preparai alla guerra facendo costruire cinque poderose navi. Sapendo che il governo inglese viveva in continue inquietudini per voi, troppo vicini a Labuan e che il rajah di Sarawak, il nipote di James Brooke, altro non attendeva che l’occasione per vendicare suo zio, andai a offrire al governatore della colonia il mio aiuto e le mie navi. Volevo avervi tutti nelle mie mani, per vendicare la morte di mio padre.

Mentre io mi preparavo sul mare, il mio precettore, fingendosi un pellegrino della Mecca, sollevava i dayaki del Kabatuan. Fortunatamente l’amore operò in me un cambiamento. Spense a poco a poco l’odio che io nutrivo per voi e mi abbandonai al destino. Gli occhi di questa fanciulla mi avevano stregato e mi fecero vedere quasi con orrore, l’enormità del delitto che io stavo per commettere, nel voler vendicare quella sanguinaria setta riprovata da tutti gli onesti.

Io non odo più, da molte notti, il terribile grido di vendetta di mio padre. La sua anima deve essersi placata. Mi perdoni, ma io, uomo civile, non posso più diventare il vendicatore del thug dell’India. Signor Yanez, Tigre della Malesia, siete liberi, assieme a tutti i vostri uomini. Io solo vi ho vinti, io solo quindi ho il diritto di condannarvi o di assolvervi e vi assolvo.

Il figlio dei thugs stette fermo un istante, poi rivolgendosi verso Tremal-Naik, gli disse:

– Volete essere mio padre?

– Sì, – rispose l’indiano. – Siate felici, figli miei, e che la pace non sia più mai turbata, ora che i thugs non sussistono più.

L’anglo-indiano e Darma con una mossa simultanea si erano gettati nelle braccia aperte di Tremal-Naik.

Kammamuri, che era disceso silenziosamente nella saletta, piangeva in un angolo, di commozione.

– Signor Yanez, signor Sandokan, – disse sir Moreland, – dove desiderate che vi conduca? Noi torneremo in India e voi?

La Tigre della Malesia stette un istante pensieroso, poi rispose:

– Mompracem ormai è perduta, ma abbiamo a Gaya i nostri prahos ed i nostri uomini e là abbiamo amici devoti. Conduceteci in quell’isola, se non vi rincresce. Fonderemo una nuova colonia lassù, lontani dalle minaccie degli inglesi.

Poi, dopo un’altra breve pausa, continuò:

– Chissà che non ci rivediamo un giorno nell’India. Da tempo accarezzavo un sogno.

– Quale? – chiesero Tremal-Naik, Darma e sir Moreland.

Sandokan fissò i suoi sguardi su Surama quindi rispose:

– Tu sei figlia di rajah e t’hanno rubato il posto che ti aspettava. Perchè non daremo a te, fanciulla, un trono da dividere con Yanez, che diverrà fra giorni tuo sposo? Ne riparleremo, mia buona Surama.

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