«All’abbordaggio, figli del mare!»

La battaglia si era impegnata con furore d’ambe le parti, fra grandi clamori e un rimbombo assordante, essendovi su tutte quelle navi più di trecento pezzi d’artiglieria.

 I filibustieri, incoraggiati dal primo successo, combattevano col solito valore, mirando soprattutto a distruggere l’ufficialità e facendo un fuoco infernale sui ponti, sui casseri e sui castelli, per sgombrarli e tentare un fulmineo abbordaggio.

 La nave ammiraglia, tutta avvolta dalle fiamme, era ormai perduta e bruciava assieme al brulotto, che le era rimasto impiccicato al fianco.

 I filibustieri delle piccole navi non avevano trovata alcuna resistenza, poiché il fuoco era avvampato così rapidamente, che la maggior parte degli spagnoli, che montavano la fregata, erano rimasti arsi dal primo scoppio e soffocati dal fumo intenso e nauseante, che si sprigionava dalla stiva della Caramada .

 Per compassione avevano salvato i pochi superstiti, compreso l’ammiraglio, che era stato raccolto da una scialuppa, nel momento in cui stava per annegare.

 Tuttavia la vittoria non era ancora guadagnata, poiché le due altre navi si difendevano terribilmente, mettendo a dura prova il valore dei corsari. Due volte Morgan aveva tentato di abbordare la nave che aveva assalito e ne era sempre stato respinto, con grande perdita d’uomini.

 I sessanta cannoni della spagnola, abilmente manovrati, avevano anzi causato alla Folgore tali danni, da temere che da un momento all’altro affondasse o per lo meno perdesse la sua intera alberatura.

 Eppure, dall’espugnazione di quella grossa fregata dipendeva la vittoria, essendo i filibustieri ancora troppo inferiori di forze per tener fronte a tutte e due.

 Morgan, che vedeva sfuggirsi di mano tutte le speranze che aveva concepite e vedeva la sua squadra in pericolo di venire dispersa e ricacciata verso Maracaybo, fece un supremo appello ai suoi uomini.

 «A me i più valorosi!…» urlò, impugnando colla destra la spada e colla sinistra la pistola. «Cento piastre a chi metterà i piedi sulla fregata!… Carmaux!… Abborda!…»

 Il francese, che si trovava alla ribolla con Wan Stiller, con un brusco colpo di barra gettò la Folgore addosso alla fregata, mentre i gabbieri dalle coffe e dalle gabbie gettavano i grappini d’abbordaggio.

 La spagnola però era così alta di bordo, che le murate della Folgore si trovavano appena a livello degli sportelli della batteria.

 I corsari, tuttavia, incoraggiati da Morgan e da Pierre le Picard, che pei primi si erano aggrappati alle bancazze, tentando di issarsi fino ai bastingaggi, dopo d’aver scagliate parecchie bombe sulla fregata spagnola, per allontanarne i difensori, si erano slanciati all’arrembaggio, con urla tremende, tenendo fra i denti le loro corte sciabole, colle quali solevano combattere nelle pugne corpo a corpo.

 Disgraziatamente gli spagnoli affacciati al parapetto della loro nave avevano buon gioco a fucilarli mentre si arrampicavano.

 Il momento era terribile e lo scoraggiamento cominciava ad impossessarsi di quei forti e rubidi uomini del mare, quando improvvisamente una voce metallica ed imperiosa, che ricordava i comandi taglienti del Corsaro Nero, si levò sul ponte della Folgore , dominando il rimbombo delle artiglierie e le urla dei combattenti:

 «Su, uomini del mare!… All’abbordaggio!…»

 Tutti si erano voltati, dimenticando per un istante che gli spagnoli stavano sopra di loro e che li fucilavano.

 Jolanda di Ventimiglia, tutta vestita di nero, come usava suo padre, con una lunga piuma pure nera infissa nei capelli ed una spada nella destra, era comparsa sul ponte della Folgore , fra il fumo delle artiglierie, e additava ai corsari la fregata.

 «Su, uomini del mare!…» ripeté, con quell’accento che sapeva ritrovare suo padre nei momenti più terribili. «All’abbordaggio! La figlia del Corsaro Nero vi guarda!…»

 Un clamore spaventevole aveva risposto alla fanciulla. «All’abbordaggio!… All’abbordaggio!…»

 E quegli uomini, che stavano per cedere, si erano inerpicati su per le bancazze e su per le sartìe, come una legione di demonî, urlando a squarciagola:

 «Morte!… Morte agli spagnoli!…»

 Un uomo solo, che si teneva sospeso allo sportello d’un sabordo della batteria, era rimasto immobile, fissando i suoi sguardi sull’eroica fanciulla, che colla sua presenza stava per decidere della vittoria. Era Morgan.

 Quella contemplazione però non ebbe che la durata di pochi istanti.

 Udendo sopra la sua testa il fragore delle spade e delle sciabole, si inerpicò su per lo sportello, aggrappandosi alle sartìe dell’albero maestro, e gridando con voce tuonante:

 «Su, su, figli del mare!… La figlia del Corsaro Nero vi guarda!…»

 I filibustieri erano già sulla coperta della fregata e si erano rovesciati addosso all’equipaggio spagnolo, con tale impeto, da ricacciarlo parte a poppa e parte a prora, in completo disordine.

 Il comandante della fregata, vedendo la nave ormai perduta, si era lasciato uccidere e anche gli ufficiali erano per la maggior parte caduti al primo urto.

 L’arrivo di Morgan e di Pierre le Picard, con un nuovo drappello di filibustieri, persuase gli spagnoli a gettare le armi e chiedere quartiere.

 L’equipaggio della terza fregata, vedendo ammainare, dall’albero maestro della compagna, il grande stendardo di Spagna e vedendo la nave ammiraglia affondare, fra un vortice di fiamme e di scintille e fra l’orrendo fragore delle santebarbare, prese rapidamente il suo partito, onde non venire a sua volta assalita e presa.

 Con due tremende bordate, eseguite dai suoi sessanta cannoni, respinse le navi più piccole della squadra filibustiera, che le si stringevano addosso, maltrattandole più o meno gravemente quasi tutte, poi, spiegate rapidamente tutte le vele, prese la fuga in direzione del forte della Barra.

 Sia per partito preso, affinché i corsari non s’impadronissero più tardi delle artiglierie, od imperizia dei suoi piloti, urtò così poderosamente contro le scogliere dell’isolotto, da spaccarsi a metà e da colare a fondo in pochi minuti, lasciando appena il tempo all’equipaggio di guadagnare terra e di rifugiarsi nel forte.

 Un urlo formidabile, un urlo di vittoria, sprigionatosi da quasi quattrocento petti, aveva salutata la fuga dell’ultima nave.

 Mai, fino allora, i filibustieri avevano ottenuto un trionfo così completo. Miracoli molti e prodigi di valore quasi incredibili, ne avevano compiuti in cento altre lotte, ma non come quelli.

 Morgan, appena fatti rinchiudere i prigionieri spagnoli nelle batterie e collocare alle porte delle polveriere uomini fidati, onde evitare qualche tradimento, era sceso sulla sua nave, dove Jolanda di Ventimiglia si trovava sempre, calma, sorridente, colla spada ancora in pugno.

 «Signora» le disse, mentre i suoi occhi, ordinariamente freddi, s’accendevano d’un lampo strano. «È a voi che noi dobbiamo la fortuna di aver vinto una delle più terribili battaglie che ricordi la storia dei filibustieri della Tortue. Senza la vostra improvvisa comparsa e quel grido, che imitava così bene la voce squillante di vostro padre, l’invincibile Corsaro Nero, forse a quest’ora la mia flotta sarebbe stata distrutta e noi tutti saremmo in fondo al mare.»

 «Io!…» esclamò la fanciulla sorridendo. «Mi sono rammentata della frase che mio padre lanciava, quando spingeva i suoi uomini all’abbordaggio e l’ho pronunciata. Una cosa che qualunque altra donna avrebbe potuto fare.»

 «No, signora» rispose Morgan, con insolito calore. «Un’altra donna non avrebbe avuto il coraggio di esporsi al fuoco d’una così grossa fregata e si sarebbe guardata dal lasciare la sua cabina. Solo voi, nelle cui vene scorre il sangue del più grande eroe del mare, avreste potuto fare ciò che avete fatto. Abbiate, signora, la riconoscenza mia e quella dei miei uomini.»

 Poi, volgendosi verso i filibustieri, che dall’alto delle murate della fregata spagnola o del cassero e dal castello della Folgore contemplavano muti la fanciulla, gridò:

 «Salutate l’eroina del mare!»

 Un urlo entusiastico, che si ripeté su tutti i legni, che erano accorsi attorno alla fregata di Morgan, s’alzò fra quei quattrocento uomini:

 «Viva la figlia del Corsaro Nero!… Evviva l’eroina del mare!…»

 Quei ruvidi uomini, che da un istante all’altro sembravano impazziti, agitavano i cappelli e scaricavano in aria le armi, fra urrah strepitosi, che dovevano giungere fino agli orecchi della guarnigione del forte della Barra.

 La fanciulla, profondamente commossa, fece colla mano un cenno di saluto; poi, aiutata da Morgan, scese la scaletta del ponte, ritornando nel quadro, mentre i tre urrah di rigore squarciavano l’aria ed i cannoni della vinta fregata tuonavano, con orrendo frastuono, in onore della valorosa italiana.

 «Tuoni d’Amburgo!» esclamò Wan Stiller, che si trovava sotto il ponte di comando, insieme all’inseparabile suo compare ed a don Raffaele. «Si direbbe che io ho gli occhi umidi!…»

 «Ed io li ho davvero» rispose Carmaux. «Ah!… la brava fanciulla!… E quel grido!… Mi pareva che noi fossimo tornati ai tempi in cui il Corsaro Nero comandava l’abbordaggio dal castello della vecchia Folgore .»

 «Sì, una bella e valorosa fanciulla» borbottò il piantatore. «Peccato che non si trovasse sul ponte della fregata dei miei compatrioti.»

 «Che cosa avete da mormorare, don Raffaele?» chiese Carmaux, che aveva realmente gli occhi umidi.

 «Dicevo che se quella fanciulla non fosse uscita dalla sua cabina, non so se voi avreste vinta la fregata» rispose il piantatore con un sospiro.

 «Non dico il contrario. Si difendevano bene i vostri compatrioti, parola di Carmaux. Ci hanno ammazzati quindici o venti uomini e feriti quasi altrettanti.»

 «E non siete ancora fuori dalla laguna. Il forte della Barra è stato rialzato più formidabile di prima e non vi lascierà passare, senza bombardarvi per bene.»

 «È vero» disse Wan Stiller, guardando le imponenti opere di difesa che munivano l’isolotto e che in sole sei settimane gli spagnoli avevano costruite. «Quello sarà un osso ben duro da rodere.»

 «E che ci darà dei grossi fastidi» aggiunse Carmaux. «Eppure bisognerà andarcene al più presto. Pierre le Picard ha saputo da un pilota, caduto in nostra mano, che queste tre fregate facevano parte di una squadra di sei vascelli incaricata di sterminarci.

 «Prima ancora che gli altri giungano, dobbiamo sgombrare. Non si è due volte fortunati. Ah!…»

 «Che cos’hai compare?» chiese Wan Stille.

 «Don Raffaele, devo darvi una notizia che non so se vi farà piacere o dispiacere.»

 «Quale?»

 «Sapete chi ho veduto fra i difensori della fregata?»

 «Non saprei.»

 «Il capitano Valera.»

 L’emozione che provò il povero uomo nell’apprendere quella notizia fu tale, che cadde fra le braccia dell’amburghese che gli stava dietro.

 «Ohe, don Raffaele!» gridò il filibustiere, rimettendolo in equilibrio, «che cosa vi piglia?»

 «È morto?» chiese il piantatore, che era diventato livido.

 «No, si trova fra i prigionieri» rispose Carmaux.

 «Allora sono un uomo finito.»

 Il fischietto del mastro d’equipaggio, che chiamava i filibustieri a raccolta, interruppe la loro conversazione.

 Morgan, dopo un breve consiglio tenuto coi comandanti delle navi, che si erano radunati nel quadro della Folgore , aveva dato ordine ai mastri di far alzare le vele e di muovere, senza ritardo, verso il forte della Barra per tentare di espugnarlo, o per lo meno di guadagnare il mar dei Caraibi, onde evitare il pericolo di farsi rinchiudere nella laguna dalle altre tre fregate, che potevano comparire da un momento all’altro.

 Gli equipaggi delle due navi più maltrattate e che erano diventate quasi inservibili, furono imbarcati sulla nave spagnola e, alla mezzanotte, la squadra, aggiustati alla meglio i danni riportati dalle alberature, muoveva risolutamente verso il forte, per tentare l’ultimo colpo.

 Già entusiasmati dal primo successo, i filibustieri si tenevano quasi sicuri di riuscire anche nella seconda impresa, sicché si fecero sotto il forte, senza nemmeno degnarsi di rispondere al fuoco intenso degli spagnoli e, giunti dinanzi alle scogliere, misero in acqua le scialuppe e presero terra in numero di trecento, assalendo vigorosamente le torri e le trincee.

 Avevano però fatto troppo affidamento sulle loro forze e come aveva già detto Wan Stiller, trovarono un osso troppo duro per i loro denti.

 Nonostante l’impetuosità dei loro attacchi e la moltitudine di bombe che lanciavano a mano sugli spalti, due ore dopo erano costretti a ripiegare più che in fretta, lasciando un numero considerevole di morti e portando con sé molti feriti.

 La sconfitta inaspettata, turbò profondamente quei formidabili uomini, che si reputavano invincibili e anche lo stesso Morgan, il quale cominciava a dubitare di poterla spuntare.

 Egli tornò col grosso della squadra, aveva fatto ritorno a Maracaybo, per vedere di prendere, d’accordo coi capi delle navi, qualche decisione disperata.

 Prevalse dapprima l’idea di impressionare la guarnigione del forte, mandando al governatore alcuni prigionieri, coll’incarico di chiedergli un forte riscatto se voleva che risparmiassero la città. E così fu fatto.

 Ottenuto un formale rifiuto, Morgan si rivolse agli abitanti i quali, per non vedersi completamente rovinati, si decisero, facendo uno sforzo supremo, a pagarlo.

 Con quelle migliaia di piastre non miglioravano affatto la posizione dei filibustieri, i quali si vedevano sempre nell’impossibilità di lasciare la laguna e sopra il capo la minaccia di veder comparire il resto della squadra spagnola.

 Decisero di scendere a patti, chiesero al comandante del forte che li lasciasse uscire, offrendogli in cambio la libertà di tutti i prigionieri, che si trovavano come ostaggi a bordo delle navi filibustiere, minacciando, in caso di rifiuto, d’impiccarli tutti agli alberi ed assicurandolo poi che, dopo, passerebbero egualmente sotto il forte.

 La risposta fu tutt’altro che quella sperata, poiché il governatore fece loro dire da un suo messo, che se gli abitanti di Maracaybo avessero impedito l’ingresso ai pirati, come egli era risoluto d’impedirne l’uscita, non si sarebbero trovati in quelle tristi condizioni e che li impiccassero pure.

 Morgan non era inumano e d’altronde non voleva offrire alla figlia del Corsaro Nero un così triste e feroce spettacolo. Aumentando però il pericolo e cominciando a mancare i viveri in Maracaybo, decise di tentare nuovamente la sorte.

 Fece dividere fra i filibustieri le duecento cinquantamila piastre ricavate dal saccheggio nelle due città, parte in oro, parte in argento ed in pietre preziose, gli schiavi negri e le merci preziose che erano in grande quantità; poi, sopra piccoli legni, fece passare dietro le boscaglie del forte della Barra duecento dei suoi uomini, come se si preparassero ad assalire gli spagnoli da quella parte.

 Appena però calarono le tenebre, li fece rimbarcare nascostamente sui legni.

 Gli spagnoli, ingannati da quella manovra, sospettando che i filibustieri assalissero il forte dalla parte di terra, erano stati solleciti a piazzare da quella parte la maggior parte delle loro artiglierie, per schiacciarli facilmente.

 Quell’inganno doveva essere la salvezza dei corsari. Infatti, col favor delle tenebre, la stessa notte, la squadra lasciava tacitamente la laguna, coi fanali spenti, imboccando audacemente lo stretto della Barra.

 Quando gli spagnoli s’accorsero dello strattagemma, era troppo tardi per impedire ai loro odiati nemici l’uscita, ed invano fecero tuonare le loro artiglierie.

 Appena giunto fuori di tiro, Morgan fece sbarcare la maggior parte dei prigionieri, per non avere le navi troppo ingombre, e, salutato il forte con una salva, si spingeva in alto mare senz’altre molestie.

 Ancora una volta la fortuna aveva arriso a quell’audace filibustiere.

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