Fra il piombo ed il fuoco

Dopo quel primo scacco, gli spagnoli persuasi delle difficoltà che si presentavano nell’espugnazione di quell’edificio difeso da quei sessanta disperati, non avevano più rinnovato il tentativo.

 La prima giornata era così trascorsa relativamente calma, ma l’assedio era stato convertito in un blocco strettissimo onde impedire ai filibustieri di invadere e saccheggiare le case vicine per provvedersi, se non di viveri, almeno d’acqua nelle cisterne dei cortili.

 Anche durante la notte, gli assedianti si mantennero tranquilli attorno ai fuochi che avevano accesi in gran numero per far comprendere agli assediati che vegliavano rigorosamente.

 Il secondo giorno le cose non variarono. Qualche colpo di cannone sparato contro la barricata, qualche scarica d’archibugi verso le finestre e null’altro.

 Pierre le Picard cominciava ad impensierirsi. La corvetta doveva essere giunta fino dal giorno innanzi all’isola di Santa Caterina. Se non era tornata era segno che colà non doveva aver trovata l’avanguardia della squadra flibustiera.

 Come continuare la resistenza?

 Le tortillas erano finite, i fiaschi erano vuoti e la sete più che la fame cominciava a farsi sentire, specialmente a causa del gran caldo che regnava.

 «La va male» brontolava Carmaux, che si affacciava ora ad una finestra ed ora ad un’altra colla speranza di veder gli spagnoli levare l’assedio. «Siamo in un bell’impiccio e se non facciamo un colpo di testa, creperemo di fame e di sete.»

 Già i più vecchi ed i più influenti avevano proposto a Pierre le Picard di tentare una sortita; ma il filibustiere che non disperava ancora, si era recisamente parendogli quella un’impresa troppo arrischiata.

 «Sessanta e senza archibugio non riusciranno mai a vincerne quattro o cinquecento, armati anche di cannoni» aveva risposto. «Aspettiamo ancora. Forse gli aiuti sono già in viaggio.»

 Stava per calare la notte, quando Carmaux e Wan Stiller, che spiavano le mosse degli assedianti, notarono fra loro un movimento insolito.

 Il numero dei soldati, soprattutto degli archibugieri, era aumentato e ai quattro pezzi della trincea se n’era aggiunto un quinto.

 «Uhm!…» mormorò il francese, scuotendo la testa. «Temo che la notte non passerà liscia.»

 Fece chiamare Pierre le Picard e lo mise a parte dei suoi timori.

 «Sì, si preparano ad un assalto decisivo» disse il filibustiere, dopo aver notato a sua volta il movimento che regnava fra gli assedianti.

 «Signor Pierre» disse Carmaux, «mi viene un sospetto.»

 «E quale?»

 «Che gli spagnoli siano stati avvertiti che si viene in nostro aiuto. È impossibile che l’avanguardia della flotta, che doveva partire dodici ore dopo di noi dalla Tortue, non sia ancora giunta a Santa Caterina. Sono trascorsi già tre giorni e non mi stupirei che fosse arrivato anche il capitano Morgan col grosso»

 «Che tu sia un veggente, Carmaux?»

 «Non è che una semplice supposizione, signor Pierre.»

 «Che io condivido. Prepariamoci ad una difesa disperata.»

 I corsari, avvertiti dei preparativi d’attacco che facevano gli spagnoli, si erano messi alacremente all’opera per prolungare la difesa il più possibile.

 Accesero tutte le lampade, che erano ancora in buon numero; raccomodarono alla meglio la barricata, quindi coi mobili rimasti ne formarono una seconda sull’ultimo pianerottolo dello scalone, dinanzi alla porta della sala maggiore del secondo piano, dove intendevano opporre l’ultima difesa.

 Avevano appena ultimati quei preparativi, quando i cinque pezzi della trincea tuonarono insieme con un rimbombo assordante, sfondando i rottami del portone.

 Pierre le Picard aveva divisi i suoi uomini in due drappelli: uno doveva incaricarsi della difesa della scala, l’altro far fuoco dalle finestre nel caso che gli spagnoli tentassero qualche scalata.

 I colpi di cannone si succedevano ai colpi, fracassando a poco a poco i mobili accumulati dinanzi alla scala.

 Quella musica infernale durò un quarto d’ora, poi, quando la barricata crollò, una compagnia d’alabardieri, sostenuta da un grosso drappello di archibugieri, mosse risolutamente all’assalto dello scalone con urla formidabili.

 Malgrado i colpi di pistola dei filibustieri, gli assalitori entrarono ben presto sotto l’atrio, occupandolo fortemente, e sgombrandolo dai rottami per far posto ad una seconda compagnia che si era formata per l’assalto decisivo.

 I filibustieri, radunatisi sull’ultimo pianerottolo, li aspettavano colle spade in pugno.

 Pierre le Picard era in prima linea ed incoraggiava i suoi uomini, gridando:

 «Tenete duro!… I soccorsi stanno per giungere.»

 La compagnia d’assalto, entrata a sua volta, fece una scarica contro gli assediati gettandone a terra parecchi, poi si slanciò su per la scala colle picche in pugno.

 Era il momento atteso dai filibustieri per riprendersi la rivincita. Con un urto poderso rovesciarono giù per la scala i mobili che avevano accumulato dinanzi la porta della sala maggiore, poi, approfittando della confusione e dello spavento che aveva colto gli spagnoli, vedendosi precipitare addosso quella valanga, si scagliarono a loro volta col ferro in mano, impegnando una mischia furiosa.

 La loro discesa era stata così fulminea, che gli archibugieri rimasti sotto l’atrio non avevano avuto nemmeno il tempo di fare fuoco. Se li trovarono dunque addosso mentre la compagnia d’assalto, disorganizzata da quella tempesta di mobili che ne aveva uccisi parecchi e anche storpiati non pochi, scappava a tutte gambe.

 Gli spagnoli, anche in quell’epoca, non erano uomini da cedere facilmente il passo e fecero animosamente fronte al poderoso assalto dei corsari, difendendosi disperatamente.

 La lotta durava da qualche minuto con gravi perdite d’ambo te parti, quando si udì una voce gridare:

 «Al fuoco!… Al fuoco!….»

 La barricata si era incendiata, o forse era stata incendiata appositamente dagli assedianti, e fiamme vivissime si sprigionavano fra quell’ammasso di rottami, sollevando fra i combattenti una barriera ardente.

 «In ritirata!…» aveva urlato Pierre le Picard, che era uscito incolume da quella lotta sanguinosa.

 I filibustieri che si sentivano avvolgere dal fumo, risalirono precipitosamente la scala, mentre le fiamme si comunicavano alle tappezzerie ed ai tendaggi delle vicine porte.

 Un’ondata di fumo e di scintille, spinta dalla corrente d’aria che entrava per il portone, s’allungava su per la scala.

 «Ci bruciano vivi!» gridò Carmaux. «Chiudete la porta della sala o soffocheremo.»

 Fu subito obbedito, ma ormai l’incendio si propagava rapidamente per le sale inferiori.

 I corsari si contarono rapidamente: erano ancora in quarantadue. Diciotto erano rimasti sulla scala e nell’atrio uccisi dalle scariche di moschetteria e dalle alabarde.

 «Amici» disse Pierre le Picard «non ci rimane che di saltare dalle finestre e morire vendendo cara la pelle. Sfondiamo una inferriata e mostriamo agli spagnoli come sanno cadere i filibustieri della Tortue.»

 Nella sala erano rimasti ancora alcuni mobili assai pesanti, fra cui una lunga tavola.

 Venti braccia la sollevarono e servendosene come d’una catapulta percossero poderosamente una delle inferriate, rinnovando l’urto per tre volte di seguito.

 Al quarto le sbarre, strappate dal loro alveolo, caddero sulla piazza.

 «Io apro la via» gridò Pierre, mentre il fumo, passando fra le fessure, stava per invadere la sala.

 Misurò l’altezza: non vi erano che cinque metri, un’inezia per quegli uomini che avevano dell’agilità da vendere.

 Pierre impugnò la spada, e per il primo saltò, cadendo in piedi.

 Aveva appena toccato terra e si preprava ad avventarsi contro i nemici, quando un rimbombo assordante echeggiò verso la baia. Pareva che venti o trenta cannoni avessero fatto fuoco contemporaneamente.

 Pierre aveva mandato un urlo di gioia:

 «Ecco la nostra squadra!… Saltate, amici!…»

 Si guardò intorno: non vi erano più spagnoli sulla piazza.

 Udendo quegli spari che annunciavano l’arrivo d’altri filibustieri, si erano affrettati a porsi in salvo sulla via di Panama per rifugiarsi forse nella formidabile rocca di S. Felipe.

 Anche gli abitanti fuggivano all’impazzata verso i boschi, fra le urla delle donne ed i pianti dei bambini.

 I corsari, che temevano di veder sprofondare il pavimento della sala, saltarono tutti, compresi Carmaux e Wan Stiller.

 Pierre le Picard organizzò la sua banda e mosse velocemente verso la rada. Le cannonate erano cessate e si udivano invece gli urrà strepitosi degli equipaggi.

 Quando il drappello giunse sulla gettata, dieci scialuppe cariche di gente armata vi giungevano.

 Un uomo sbarcò per il primo e mosse verso Pierre, dicendogli:

 «Sono ben lieto di essere giunto in tempo per salvarti.»

 Era Morgan.

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