Un duello terribile

I due giuocatori, vedendo entrare quei tre personaggi, di cui due armati di spada e d’archibugio, balzarono rapidamente in piedi, allontanando le sedie.

 Colui che pareva un gentiluomo, era di statura piuttosto alta, magro come un biscaglino, colle gambe e le braccia estremamente lunghe e poteva avere una quarantina d’anni.

 Il suo volto, dai lineamenti duri, angolosi, con due occhi grigi dal lampo vivido, non era affatto piacevole.

 L’altro, che doveva essere un soldato, era invece piuttosto tozzo, basso di statura ed abbronzato come un indiano o per lo meno come un meticcio.

 Aveva gli occhi nerissimi invece ed i lineamenti assai meno duri del compagno, quantunque avesse nell’insieme qualche cosa che ricordava il muso astuto e feroce del coguaro.

 «Chi è di voi che si chiama il capitano Valera?» chiese Carmaux sempre ironico, scoprendosi con finta cortesia il capo.

 «Sono io» rispose l’uomo magro squadrandolo dal capo alle piante. «E voi chi siete?»

 «Vi preme saperlo?»

 «Certo, prima di cacciarvi di qui a calci.»

 «Ah!… È una cosa un po’ difficile, mio signore» disse il filibustiere ridendo. «Ho dunque l’onore di dirvi che noi siamo due corsari agli ordini del capitano Morgan.»

 Una bestemmia era sfuggita dalle labbra dello spagnolo.

 «Chi vi ha guidati qui?»

 Carmaux aveva gettato un rapido sguardo verso la porta e non vide che l’amburghese. Il prudente don Raffaele non aveva osato comparire dinanzi al capitano, che probabilmente lo conosceva.

 «Siamo venuti di nostra iniziativa» disse, ritenendo inutile compromettere il piantatore.

 «E che cosa volete?»

 «Null’altro che la restituzione della signora di Ventimiglia, che il conte di Medina vi ha affidata.»

 «Chi ve lo disse?» gridò il capitano, sfoderando rapidamente la spada.

 «Adagio colle armi» disse Carmaux, facendo due passi innanzi, mentre l’amburghese alzava l’archibugio.

 «Ci minacciate?»

 «Siamo gente di guerra, mio caro signore. Basta! Abbiamo chiacchierato abbastanza e non abbiamo tempo da perdere. Consegnateci la figlia del Corsaro Nero.»

 «Alcazar, a me!» urlò il capitano. «Cacciamo questi gaglioffi.»

 Il soldato era già balzato innanzi snudando la spada, e con un urto improvviso aveva rovesciata la tavola, gettando a terra il candeliere.

 Wan Stiller aveva fatto fuoco sul capitano, ma in causa dell’improvvisa oscurità aveva mancato il colpo.

 «Mano alla spada, compare!» urlò Carmaux. «Ci piombano addosso.

 «Don Raffaele, accendete una torcia!»

 Nessuno rispose.

 «Tuoni d’Amburgo!» gridò Wan Stiller, indietreggiando verso la porta, e menando colpi all’impazzata per impedire ai due spagnoli di accostarsi. «Il piantatore è scappato come una lepre!…»

 «Tieni testa tu per qualche minuto?»

 «Sì, compare.»

 Carmaux, indietreggiando, aveva ritrovata la porta. Avendo lasciate le due torce nel corridoio, appoggiate alla parete, s’avanzò a tentoni per ritrovarle ed accenderle, avendo con sé l’acciarino e l’esca.

 L’amburghese, che non correva più il pericolo di venire colpito dal compagno, tirava stoccate in tutte le direzioni e si copriva con mulinelli fulminei, urlando a squarciagola.

 «Avanti, se l’osate!… Prendete questa, capitano!… A te, soldataccio, che tremi come un coniglio!… Tuoni d’Amburgo!… Vi faccio in cinquemila pezzi!…»

 I due spagnoli, trincerati dietro la tavola, tiravano anch’essi colpi all’impazzata, per tener lontani gli avversari, e non facevano meno fracasso gridando:

 «Ladri!…»

 «Assassini!…»

 «Fuori di qui, bricconi!…»

 «Volete la figlia del Corsaro? Eccola colla punta d’acciaio.»

 Mentre i tre uomini battagliavano contro le tenebre, senza osare fare un passo innanzi, Carmaux trovò finalmente le torce, ma non il piantatore, il quale aveva approfittato per darsela a gambe. Carmaux ne accese una.

 «Vedremo ora come se la caveranno» disse.

 Spalancò la porta e si precipitò nella sala sotterranea, urlando:

 «Giù le armi o vi uccidiamo!»

 Invece di abbassare le spade, i due spagnoli si posero in guardia, gridando:

 «Avanzatevi, se l’osate!»

 Carmaux piantò la torcia in una fessura del pavimento, e si fece innanzi, dicendo:

 «A te il soldato, a me il capitano.»

 «Sì» rispose l’amburghese.

 Prima però d’incrociare la lama, Carmaux fece un ultimo tentativo.

 «Siamo allievi del Corsaro Nero, che fu il più formidabile spadaccino della Tortue» disse. «Noi vi uccidiamo, questo è certo. Volete arrendervi e consegnarci la signora di Ventimiglia?»

 «Il capitano Valera non si arrende ad un mascalzone pari tuo» rispose lo spagnolo. «Vedrai come ti scucirò il ventre.»

 «Tuoni dell’aria!… A noi due!…»

 Carmaux con un salto si era gettato verso la tavola, dietro la quale si tenevano i due spagnoli ed aveva incrociata la spada col capitano.

 Wan Stiller, dal canto suo aveva girato l’ostacolo, piombando addosso al soldato, il quale era stato costretto a lasciare il riparo per non farsi prendere alle spalle.

 I quattro duellanti mostravano di conoscere a fondo tutte le sottigliezze della scherma e di essere spadaccini di vaglia.

 I due corsari però, avendo fatte le loro prime armi sotto il Corsaro Nero, che fu il più famoso schermitore del suo tempo, fino dai primi colpi avevano gettato un po’ di timore negli animi dei due spagnoli, i quali si erano illusi di sbrigare presto la partita, non essendo generalmente i filibustieri che dei bravi tiratori d’archibugio.

 Carmaux incalzava furiosamente il capitano, senza concedergli un istante di tregua. L’aveva costretto a lasciare il riparo ed a rompere tre o quattro volte, ed ora combattevano presso un angolo della sala.

 Wan Stiller tempestava il soldato di botte. Già due volte l’aveva toccato, ma avendo lo spagnolo il petto coperto dalla corazza, non ne aveva avuto alcun danno.

 Si capiva però che il suo avversario, assai meno destro del capitano, non poteva durarla a lungo e si vedeva che si esauriva rapidamente vibrando stoccate inutili.

 «Ti arrendi?» chiese ad un certo momento l’amburghese, accorgendosi che non parava più colla rapidità di prima.

 «Mai» rispose il soldato. «I Bardabo muoiono, ma non si arrendono.»

 «Non vedi che sto per ucciderti, e che non ne puoi più?»

 «Allora prendi questa!»

 Il soldato che si trovava quasi addosso al muro, con uno scatto improvviso si era gettato sull’amburghese e, mentre gl’impegnava la spada guardia contro guardia, aveva allungata una gamba, tentando di dargli uno sgambetto e di farlo cadere.

 «Ah!… Traditore!…» urlò l’amburghese. «Non è leale ciò. Muori dunque!…»

 Si gettò bruscamente da una parte per disimpegnare meglio la lama, poi andò a fondo, spingendo il ferro con velocità fulminea.

 La punta, entrata sotto l’ascella destra del soldato, che la corazza non difendeva, era scomparsa nel corpo del disgraziato.

 «Toccato» brontolò lo spagnolo, con voce semi-spenta.

 Si appoggiò alla parete, lasciandosi sfuggire la spada, stravolse gli occhi, mormorò qualche parola, poi stramazzò al suolo vomitando sangue.

 «L’hai voluto» disse l’amburghese.

 Poi si slanciò verso Carmaux, dicendo:

 «Vengo in tuo aiuto, compare.»

 Il capitano teneva ancora testa al filibustiere, ma si trovava quasi addosso al muro e appariva assai affaticato.

 Aveva passata la spada dalla destra alla sinistra, per cercare di imbrogliare vieppiù Carmaux, il quale, non essendo mancino, non doveva trovare quel cambiamento di suo gusto.

 «Pensate anche a me» disse Wan Stiller, piombandogli addosso.

 «No, compare, non sarebbe leale» disse Carmaux. «Lascia a me sbrigare la faccenda.»

 Il capitano, udendo quelle parole aveva fatto un ultimo salto indietro ed aveva abbassata la spada.

 «Vi credevo un ladrone del mare» disse, «capace di assassinarmi anche a tradimento, e ritrovo invece in voi un gentiluomo. Al vostro posto, un altro non avrebbe rifiutato il concorso d’un compagno.»

 «Il Corsaro Nero mi ha insegnato a essere leale» rispose Carmaux. «Vi arrendete?»

 Il capitano prese la spada con ambe le mani, l’appoggiò su un ginocchio e la spezzò in due, dicendo:

 «Sono vostro prigioniero.»

 «Non sappiamo che cosa farne dei prigionieri» rispose Carmaux. «Morgan a quest’ora ne ha perfino troppi. Noi siamo venuti qui a cercare la figlia del Corsaro Nero»

 «Mi è stata affidata dal governatore e senza un suo ordine io non posso cederla.»

 «È fuggito dopo le prime cannonate e non sappiamo dove sia. Quindi non potrebbe, in questo momento, darvi il permesso.»

 «È presa adunque la città?»

 «È in nostra mano da tre ore.»

 «Allora, signori, ogni resistenza da parte mia sarebbe inutile, da che tutti sono fuggiti, compreso il governatore.»

 «Dov’è la signorina di Ventimiglia?»

 Il capitano ebbe un’ultima esitazione, poi disse:

 «Io ve la cederò, se voi mi promettete di ottenere dal vostro capitano il permesso di lasciare la città indisturbato.»

 «Il signor Morgan ve lo accorderà» disse Carmaux. «Impegniamo la nostra parola.»

 «Prendete la torcia e seguitemi.»

 Wan Stiller obbedì.Lo spagnolo si trasse dalla cintura di pelle, che portava ai fianchi, una chiave e si diresse verso una porta che si vedeva all’estremità della sala sotterranea.

 «Adagio, signore» disse Carmaux che era sempre diffidente. «Eravate soli qui?»

 «Non vi è nessun altro» rispose il capitano. «Al fracasso sarebbero già accorsi e allora le sorti del duello sarebbero forse cambiate.»

 «Infatti avete ragione» disse Carmaux.

 Il capitano introdusse la chiave nella toppa e aprì la porta, avanzandosi in un’altra sala illuminata da un lampadario di stile veneziano, colle pareti rivestite di pannelli, il pavimento riparato da un tappeto assai fitto e arredata con una certa eleganza.

 All’estremità si vedeva un’alcova, le cui tende rosse, con ricami d’oro sbiadito dal tempo e dall’umidità, erano abbassate.

 «Signora» disse il capitano. «Vi prego d’alzarvi. Delle persone che hanno conosciuto vostro padre sono venute qui e vi aspettano.»

 Un grido si udì dietro alle tende, un grido di stupore e anche di gioia; poi una fanciulla con una mossa fulminea erasi slanciata fuori dall’alcova, fissando i suoi occhi sui due filibustieri che si erano levati i berretti.

 Era una bellissima fanciulla, di quindici o sedici anni, alta e flessibile come un giunco, dalla pelle pallidissima, quasi alabastrina, con la tinta che ricordava suo padre il Corsaro Nero; aveva due occhi grandi, d’un nero intenso, e lunghe ciglia che lasciavano cadere sul suo viso la loro ombra.

 I suoi capelli, neri come l’ala di un corvo, li teneva sciolti sulle spalle, legati solamente presso la nuca da una piccola fila di perle.

 Indossava una semplice cappa bianco, con guarnizioni di trine e un sottile ricamo d’oro sulle larghe maniche.

 Vedendo i due corsari, si lasciò sfuggire un secondo grido e rimase colla bocca aperta, mostrando due file di denti piccoli come granelli di riso e più splendenti dell’opale.

 «Signorina di Ventimiglia» disse Carmaux, inchinandosi goffamente e con un certo imbarazzo, «noi siamo due fedeli marinai di vostro padre, qui mandati dal suo antico luogotenente, il capitano Morgan…»

 «Morgan!…» esclamò la fanciulla. «Morgan!… Il comandante in seconda della Folgore ?»

 «Sì, signorina. Avete udito a parlare di lui?»

 «Mio padre è morto troppo presto perché me ne parlasse» disse la fanciulla con profonda tristezza, «ma, nelle sue memorie, ho trovato molte volte il nome di quel fedele e valoroso corsaro, che lo seguì sui mari e che lo aiutò a compiere le sue vendette. Dov’è ora?»

 «Qui, in Maracaybo, signorina.»

 «Morgan qui? Allora i filibustieri della Tortue hanno preso la città!»

 «Da stamane.»

 «E potrò vederlo?»

 «Quando vorrete.»

 «E voi, capitano, me lo permetterete?» chiese volgendosi verso lo spagnolo.

 «Voi siete libera, signora, dal momento che il governatore è fuggito.»

 «Ah!» fece la giovane, con accento un po’ ironico. «Il conte di Medina è scappato dinanzi ai filibustieri della Tortue? Lo credevo più valoroso.»

 «Meglio la fuga che la prigionia.»

 «Già, per coloro che non sanno morire combattendo. Sicché io sono libera?»

 «E sotto la nostra protezione, signorina» disse Carmaux.

 «Voi siete…»

 «Eravamo due devoti servitori di vostro padre, il Corsaro Nero.»

 «I vostri nomi.»

 «Carmaux e Wan Stiller.»

 La giovane si passò una mano sulla fronte, come per risvegliare delle lontane memorie, poi disse:

 «Carmaux… Wan Stiller… voi dovete aver accompagnato mio padre nella Florida… dopo l’esplosione del vascello di mio nonno il duca… Nelle memorie scritte e lasciate a me da mio padre io ho trovato molte volte i vostri nomi…»

 Fece alcuni passi innanzi e tese le sue belle mani dalle dita affusolate verso i due filibustieri, dicendo:

 «Una stretta, eroi del mare, fedeli compagni di mio padre nella sua triste vita avventurosa.»

 I due corsari, confusi, impacciati, chiusero le due manine fra le loro dita ruvide e callose, borbottando qualche parola.

 «Ed ora» disse la fanciulla «sono con voi, se il capitano non si oppone.»

 Si gettò sulle spalle una lunga mantiglia di seta nera con pizzi di Venezia, prese un grazioso cappello di feltro oscuro adorno d’una piuma nera e si mise fra i due corsari, dicendo al capitano con accento ironico:

 «I miei saluti al signor conte di Medina e Torres, e ditegli che se mi vorrà, bisognerà che venga a prendermi alla Tortue, se ne avrà il coraggio.»

 Il capitano non rispose; ma appena Carmaux e Wan Stiller furono usciti colla fanciulla, disse:

 «Stupidi!… Non mi avete ucciso!… Miei cari, avrete ben presto mie nuove. Ed ora cerchiamo di raggiungere il governatore, senza attendere il loro salvacondotto.»

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