Capitolo X – Sulle scogliere

Non era certamente quello il momento di dormire coll’uragano che s’avanzava minaccioso, sconvolgendo l’oceano, che da tanti giorni non era più tranquillo. I lampi si succedevano ai lampi, quasi senza interruzione, mentre l’acqua scrosciava con grande impeto. Pareva che le cateratte del cielo si fossero aperte tutte come nei terribili giorni del Diluvio Universale.

Mentre Testa di Pietra guidava la baleniera e Piccolo Flocco stava attento alla randa, pronto a ridurla con una o due mani di terzaruoli o di lasciarla cadere di colpo in caso di pericolo, l’assiano, avendo scoperto sotto la prora un mastello di grossa tela, si era messo a vuotar l’acqua che s’accumulava sotto i banchi.

Le onde frattanto correvano sempre all’assalto, muggendo e urlando, come se fossero impazienti di inghiottire anche quella piccola preda. I lampi davano loro delle tinte strane: ora livide ed ora color del fuoco intenso. Sopra di loro il vento di levante sibilava rabbiosamente, facendo un ottimo accompagnamento ai fulmini ed a tutti gli altri spaventevoli fragori. Tuttavia la baleniera, malgrado le sue piccole dimensioni (era lunga appena cinque metri) teneva testa alla bufera, balzando e rimbalzando, fra quel caos di montagne d’acqua, meglio di una palla di gomma su un selciato. Scartava peraltro terribilmente, e subiva tali scossoni, da scombussolare di nuovo lo stomaco del povero Assiano.

Pareva in certi momenti che dovesse scomparire d’un tratto in qualche profonda voragine; ma Testa di Pietra e Piccolo Flocco non si lasciavano sorprendere da quei poderosi colpi di mare, e con leste manovre evitavano l’attacco.

Tutta la notte i tre valorosi battagliarono disperatamente, risoluti di non lasciarsi inghiottire: poi, verso le quattro del mattino, un frastuono orrendo colpì i loro orecchi.

«Che cos’è, Testa di Pietra?» chiese Piccolo Flocco.

«Corriamo verso delle scogliere!» rispose il mastro, alzandosi precipitosamente senza abbandonare la barra.

«Quali?»

«Scogli dinanzi a noi a meno di una gomena forse!»

«Che devo fare?» chiese il giovane gabbiere con ansia.

«Cala la vela. Ci fracasseremo tutti, o ci salveremo tutti. Appena avvenuto l’urto, fuggite e non lasciatevi prendere dalle onde che corrono all’assalto dell’ostacolo.»

La vela fu subito calata, ma il vento soffiava così forte, che la scialuppa filava egualmente, come se avesse della tela ancora spiegata.

Il mastro teneva la barra con mano di ferro, e cercava di dirigersi verso un punto che fosse meno battuto dalle tremende ondate dell’Atlantico.

Cominciava ad albeggiare, ed una luce grigiastra, incerta, smorta, si diffondeva lentamente fra i neri nuvoloni ancora gravidi di pioggia e di vento. La scogliera era visibile, ma non si trattava veramente di scogliera, bensì d’un gruppo di terre basse, quasi a fior d’acqua, e di rocce disposte in forma di pettini.

«Badate!» disse Testa di Pietra, la cui voce, forse per la prima volta, tremava.

Le onde si seguivano con ruggiti sempre più spaventevoli. Si scagliavano contro l’ostacolo, cercando di spezzarlo, poi retrocedevano, ma, pressate dal vento, tornavano all’assalto.

La piccola baleniera non ubbidiva più al timone, non avendo più la randa spiegata. Balzava con scatti spaventosi sulle creste, affondava, rimontava, sbattuta da tutte le parti. Era un guscio di noce in balia d’una specie di vortice.

«Testa di Pietra!» gridò il giovane gabbiere, aggrappandosi all’albero.

«Patre!» gridò l’Assiano fra un urto e l’altro del suo povero stomaco martoriato. «Io sfere paura. Questa non essere guerra.»

«Coraggio, ragazzi!» rispose il Bretone dopo d’aver mandato un lungo sospiro. «Ci siamo!… Ecco la gran prova!»

Erano ormai sopra le scogliere. La baleniera fece un ultimo e più spaventoso balzo; poi fra i ruggiti delle onde si udirono prima un crac, come se qualche cosa si fosse spezzata, poi tre grida umane che il vento portò sulle ali, lontano, lontano.

Trascorsero alcuni minuti. Solamente l’oceano faceva udire la sua possente voce, battendo infuriato contro le scogliere e le isolette sabbiose che si opponevano alla corsa sfrenata delle sue mostruose ondate. Dei grandi uccelli marini: albatros, rompitori d’ossa e fregate svolazzavano in compagnia di battaglioni di rincopi che il vento travolgeva sopra il luogo ove i tre fuggiaschi erano naufragati. Perlustravano le scogliere, i primi ed i secondi specialmente, colla speranza di fare un lauto banchetto.

Ad un tratto un grande albatros, quasi interamente bianco, e le cui ali non misuravano meno di tre metri e mezzo da una estremità all’altra, dopo aver descritto sopra le scogliere parecchi giri, grugnendo come un maiale, si lasciò cadere quasi a piombo e scomparve fra due rocce.

«Ah, canaglia! Anche tu!… Ma non sono ancora morto! Piglia, corpo d’un campanile!» si udì gridare.

Il volatile aveva cercato d’innalzarsi sbattendo disperatamente le ampie ali, ma dopo una breve lotta ricadde, mandando un ultimo grugnito.

Il coltello di Testa di Pietra lo aveva decapitato.

Come mai quell’uomo straordinario non era stato sfracellato? Bisogna sapere che tra gli squarci di quelle rocce si trovavano ammonticchiati dei veri letti di alghe, o, meglio, di quei fuchi che i marinai chiamano vesciche e che le onde trasportano in gran numero. Ebbene, Testa di Pietra, dopo un gran volo, era andato a cadere, per una fortuna singolare, su uno di quei letti. Né vi era da stupirsi, perché il bravo Bretone era nato sotto buona stella e poteva quindi contare sulla fortuna.

Ma il capitombolo era stato tutt’altro che dolce, tanto è vero che il vecchio marinaio, il quale vantava membra e costole d’acciaio, senza contare la famosa testa, dura come la pietra, in seguito all’urto, svenne come una femminuccia qualunque. Chi sa quanto sarebbe rimasto tramortito, se l’albatros, che l’aveva creduto morto, non fosse andato a svegliarlo con un poderoso colpo di becco! Quegli uccellacci riescono talvolta a spaccare il cranio ai nuotatori; ma Testa di Pietra non se ne risentì affatto. Anzi, estratto rapidamente il coltello di manovra, che aveva ancora infilato nella cintura (una lama che stava fra il machete messicano e la navaja andalusa) lo aveva ucciso.

«Corpo di tutti i campanili!» esclamò poi stropicciandosi energicamente i fianchi, «che volata!… E gli altri? Che siano stati sfracellati sul colpo? Povero Piccolo Flocco! Povero pirra pirra! Orsù, Testa di Pietra, raduna tutte le forze dei Bretoni di Batz e và a cercarli.»

Si era alzato facendo scoppiare delle vesciche che gli avevano servito di letto, e con non poca meraviglia s’accorse che la sua macchina funzionava ancora.

«Ci vorrebbe un po’ d’olio,» disse. «A ciò penseremo più tardi.»

Smosse il letto, schiacciando centinaia e centinaia di fisalie, appartenenti all’ordine dei molluschi privi di testa, e si guardò intorno. La scogliera, contro la quale doveva essersi spaccata la baleniera, si prolungava per qualche miglio, interrotta di quando in quando da banchi di sabbia che l’oceano sconvolgeva spaventosamente.

«Non vedo che onde e uccelli marini,» disse, movendo attraverso le rocce. «Che siano morti? Piccolo Flocco non è di Batz, ma è sempre un Bretone, e anche il Tedesco deve avere le ossa dure: cerchiamoli.»

Un raggio di sole si era proiettato sulla scogliera, aprendosi per qualche istante il varco fra uno squarcio delle nubi sempre gravide di bufera, sicché le ricerche non potevano riuscire difficili.

Se l’oceano non aveva riportati via i suoi due compagni, in qualche luogo avrebbe dovuto trovare i loro cadaveri.

Cautamente, poiché le onde certe volte giungevano perforo a bagnare i letti delle vesciche di mare, Testa di Pietra si avanzò. La scogliera pareva fosse stata divisa in due verso le cime più alte, dove si aprivano dei passaggi, simili a corridoi, ingombri di fuchi e di guano.

«Si direbbero batterie coperte,» disse Testa di Pietra, che non poteva starsene zitto anche nell’angoscia.

Ad un tratto si arrestò, mandando un grido altissimo.

Venti passi più innanzi aveva scorta la baleniera, cacciata dentro due rocce e coi fianchi fracassati.

«Devono essere là dentro!» esclamò. «A un colpo tale non possono aver resistito!»

Affrettò il passo, e dopo aver corso venti volte il pericolo di farsi portar via dalle onde, che si rovesciavano sulle rocce, poté avvicinarsi alla scialuppa.

L’oceano l’aveva scaraventata di sopra alla prima fila di scogli, poi l’aveva lasciata cadere bruscamente sulla seconda, formata di punte aguzze. E lì era rimasta confitta, colla chiglia fracassata, senza timone. Nemmeno se fosse stata di ferro, avrebbe potuto resistere a quell’urto.

Il Bretone guardò ansiosamente dentro e non vide né Piccolo Flocco né l’Assiano.

I viveri e le armi, per un caso straordinario, ma spiegabilissimo, perché si trovavano queste e quelli sotto i banchi, non erano stati scaraventati fuori dal tremendo contraccolpo.

«Che il mare mi abbia rubato Piccolo Flocco?» urlò, tendendo il pugno verso l’oceano che tumultuava sempre con un frastuono infernale. «Non era un Tedesco, quello, sangue d’un tricheco! era un Bretone al pari di me. Ma no, è impossibile che siano morti. Come mi sono salvato io, il caso o la fortuna può aver risparmiato anche loro. Avanti, avanti, poltrone di Testa di Pietra! Finché hai forza, cerca e ricerca.»

Prese un archibugio e una scure e tornò indietro esplorando attentamente i letti delle vesciche marine. Ve n’erano dappertutto fra roccia e roccia e molto soffici. Aveva già visitati cinque o sei depositi, quando vide un rompitore d’ossa calare fulmineo fra due rocce col largo becco spalancato. I quebranta huesos, come vengono anche chiamati quei formidabili pescatori, veri distruttori di dorate, di pesci-volanti e di polipi, sono delle procellarie giganti, grosse quanto un albatros, quantunque di minor forza. Non pesano più di dieci chilogrammi, perché hanno un gran volume di penne; ma sono sempre da temersi per la loro avidità bestiale e per l’impetuosità dell’attacco. Non temono l’uomo, e al pari degli albatros, quando scorgono dei naufraghi, li attaccano con gran furore.

Testa di Pietra conosceva da lunga pezza quei brutti uccellacci dalle penne brune, ed armò risolutamente l’archibugio, quantunque fosse ben poco sicuro del colpo.

«Là vi è un camerata!» gridò. «Dove sono dei morti, quelle canaglie accorrono sempre.»

Puntò e fece fuoco.

La detonazione si confuse coi muggiti del mare. Il rompitore d’ossa, colpito in pieno, si lasciò portar via da una violentissima raffica, precipitando poscia in mezzo alle onde.

Il Bretone si avanzò quasi correndo, non badando alle punte delle rocce, dure come l’acciaio, che gli sfondavano gli stivali; e dopo avere fatti quindici o venti passi, si precipitò su un letto di vesciche di mare, assai spesso, racchiuso in una specie di nicchia, abbastanza larga per contenere parecchie persone.

Un corpo umano giaceva in mezzo ai fuchi.

«Hulbrik!» esclamò il Bretone. «E Piccolo Flocco?… Pensiamo per ora a questo.»

Tornò rapidamente verso la scialuppa, prese una bottiglia, scampata miracolosamente al disastro, la quale conteneva del gin o del ginepro, e tornò subito verso il povero Tedesco, che pareva mezzo fracassato.

«Ohé, mastro pirra pirra!» gridò.

Udendo quella voce ben nota, l’Assiano aprì prima un’occhio, poi un altro e disse:

«Ah!… Patre!… Io stare molto male!»

«Rotta la colonna vertebrale?»

«Non mi parere.»

«Allora non muori. Hai veduto Piccolo Flocco?»

Una risata rispose a quella domanda. Il giovane gabbiere, sempre lesto come uno scoiattolo, si era alzato su un letto di fuchi, stropicciandosi vigorosamente i fianchi.

«Nulla di rotto, ragazzo?» gli chiese il mastro.

«Non sai che i Bretoni del Pouliguen sono elastici come i pesci?» rispose Piccolo Flocco.

«I Bretoni non cadono che sotto i colpi di cannone.»

«E la scialuppa?»

«Sventrata.»

«Allora siamo prigionieri?»

«Per ora sì.»

«E come vivremo?»

«Non inquietarti così presto. Come vedi, sono armato, e nella scialuppa si trova un altro archibugio; poi abbiamo nella dispensa un albatros che ho decapitato or ora. Sarà duro come un mulo dei Pirenei; ma quando la fame batte, tutto si manda giù e tutto si trova appetitoso. Potete camminare?»

Hulbrik e Piccolo Flocco si guardarono, poi radunate le loro forze, seguirono il mastro zoppicando più o meno.

In cinque o sei minuti si trovarono là dove la baleniera era naufragata. Fecero rapidamente l’inventario di quello che ancora conteneva, e furono soprattutto lieti nel ritrovare un barilotto contenente cinque o sei litri d’acqua puzzolente, il quale chi sa per quale miracolo aveva resistito all’urto.

«Vi faccio una proposta,» disse Testa di Pietra, «mangiamo.»

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