Capitolo XIV – Un terribile naufragio

Da settimane e settimane gli uragani continuavano a succedersi nell’oceano orientale. Come abbiamo detto, gravi danni avevano già recato sia alle navi inglesi ritirantesi, sia ai filibustieri americani, portando via tanto agli uni che agli altri non poche navi e molte vite umane. La nuova bufera che si avanzava pareva non dovesse essere migliore delle altre, a giudicarlo dallo stato del cielo. Una folta cortina di nuvole biancastre, con dei riflessi di rame, galoppava da oriente, tutto scombussolando. I lampi si succedevano ai lampi, ed i tuoni si seguivano, quasi senza interruzione, con un fracasso spaventevole. Il mare poi era tutto nero, come se anche le sue profondità fossero state sconvolte.

Testa di Pietra aveva radunato i suoi due compagni sul castello di prora, il quale, essendo più alto, correva meno il pericolo di venire spazzato troppo di frequente dalle onde che s’incalzavano, scaraventando in aria gigantesche colonne di spuma. E la nave, priva del timone e di vele, si lasciava portare dal vento, il quale la spingeva veloce verso ponente.

«Brutto affare, corpo di centomila campanili!» esclamò il mastro che si era avvinghiato allargano prodiero. «Questa burrasca non ci voleva con una nave mezzo sfondata!»

«Dove andremo a finire?» chiese Piccolo Flocco, già bagnato dalla testa alle piante.

«Forse a fracassarci contro qualche costa.»

«E allora tutto sarà finito!»

Il mastro non rispose. Stretto bene all’argano, guardava attentamente l’oceano che i lampi illuminavano.

«Che cosa cerchi?» chiese il giovane gabbiere.

«Sai chi corre sulla nostra rotta portata dal vento e dalla furia delle onde?»

«Una nave?»

Indovina quale.»

«La Tuonante?»

«Scenderei subito nella scialuppa e andrei ad abbordarla. Si tratta invece della fregata del marchese d’Halifax.»

«Possibile?»

«Guarda anche tu: la vista l’hai buona.»

Piccolo Flocco attese che fonda passasse, poi si rizzò.

«La vedi?» disse il mastro tendendo un braccio.

«Sì, una nave colle vele lacerate in balia della tempesta.»

«Non somiglia alla fregata del Marchese?»

«Sì, Testa di Pietra. Che ci venga addosso?»

«Cioè, si romperà assieme con noi non appena i marosi ci avranno scaraventati sui banchi o sulle scogliere.»

«Ma dove corriamo noi?»

«Verso la Florida, suppongo.»

«Che faremo su quella triste penisola abitata da orde di ferocissimi Indiani?»

«Proveremo le delizie della tortura del palo.»

«E me lo dici così freddamente?»

«Vorresti campare quanto Noè, tu? Un marinaio, mio caro, non spera mai di diventare vecchio.»

«Eppure tu lo sei diventato!»

Il mastro non rispose. Egli osservava attento la fregata, la quale non poteva reggere alla furia dei venti e delle onde. Aveva chiuso quasi tutte le sue vele, e presi terzaruoli fino su quelle basse, poi si era lasciata andare alla cappa. Ma si dibatteva a circa 1500 metri dal brick-goletta e pareva ne seguisse, certo involontariamente, la rotta.

«Testa di Pietra,» disse il giovane gabbiere, «vuoi che gettiamo alla fregata una buona gomena da rimorchio?»

«Per tirarcela dietro!… Tu sei pazzo, Piccolo Flocco. Ma, già, la cosa sarebbe impossibile, poiché noi non governiamo.»

«E che si aspetta? Che ci affondi a cannonate?»

«Sì, con questi colpi di mare! Dove andrebbero a finire le palle? Su questa carcassa no di certo, te l’assicuro io.»

«Tu sei un vecchio cannoniere e bisogna crederti. Ma la vicinanza della fregata m’inquieta assai.»

«Me, punto, almeno per ora,» rispose il mastro. «Spero anzi in un naufragio che ci faccia impadronire della bionda miss.»

«Vorresti assalire la fregata in mezzo alla tempesta?

«Non sarei così pazzo; tuttavia la vicinanza del Marchese non mi dispiace affatto… Io, conto sul caso.»

«Su quale?»

«Che il diavolo si porti all’inferno tutti i curiosi!» disse il mastro piccato. «Cacciati vicino a me, guardati dai colpi di mare, e stà zitto se puoi… E tu, caro Hulbrik, come stai? »

«Male stomaco, patre,» rispose l’Assiano.

«Rigetta pure liberamente. Il mare s’incarica di pulire.»

Si rannicchiarono tutti e tre dietro l’argano e attesero, abbastanza tranquilli, il naufragio.

L’Atlantico diventava sempre più furibondo. Scaraventava ondate, alte una diecina e forse più di metri, in tutte le direzioni, con dei rombi assordanti. La sconquassata nave, presa di traverso, faceva dei gran salti, mettendo a dura prova gli intestini del povero Assiano.

I due Bretoni, bene aggrappati all’argano, guardavano serenamente la tempesta, quantunque sicuri di fracassarsi presto o tardi su qualche costa. E intanto la fregata, per un caso strano, seguiva il brick-goletta, portata forse da qualche impetuosa corrente che si spingeva verso le spiagge della Florida. Era distante circa un migliaio e mezzo di metri, ma accennava ad avvicinarsi.

Testa di Pietra non la perdeva di vista un solo momento e si domandava in cuor suo, non senza una certa ansietà, come sarebbe finita quell’avventura.

E le ore passavano e la bufera aumentava sempre più. Raffiche terribili, furiose, spazzavano di quando in quando l’Atlantico, facendo fare alle due navi dei salti straordinari.

Ad un tratto Testa di Pietra mandò un grido.

«Coliamo a fondo?» chiese Piccolo Flocco.

«No; questa carcassa resiste meravigliosamente.»

«Allora perché gridi? »

«La fregata non ha più timone. Si lascia trasportare dall’uragano invece di tentare di sfuggirlo. »

«Naufragherà insieme con noi.»

«Io vorrei rompermi le gambe e anche l’osso del collo da solo,» rispose Testa di Pietra.

«E non poter far nulla per sfuggire quella dannata nave!…»

«Ora che so che non governa più, non desidero sfuggirla.»

«Ti piacerebbe ricadere nelle mani del Marchese e provare la resistenza delle corde inglesi? »

«Io credo invece, Piccolo Flocco, che noi riusciremo questa volta a strappare a quel signore la bionda miss. Ho un’idea nel mio cervello che credo meravigliosa.»

In quel momento il brick-goletta subì un urto così forte, che fece sgangherare le murate e non pochi puntali del frapponte.

Testa di Pietra e Piccolo Flocco balzarono in piedi.

Intorno alla nave il mare era spaventoso. Le onde si rompevano con estrema violenza, come se avessero incontrato degli ostacoli. Vi erano dei banchi in quei paraggi e fors’anche delle scogliere? I due Bretoni cominciavano a temerlo.

«E la costa?» chiese ansiosamente il giovane gabbiere.

«L’ho veduta in questo momento delinearsi alla luce dei lampi,» rispose il mastro.

«Riusciremo a giungere fin là?»

«Io non dispero.»

La nave subì un secondo urto, e rimase per un istante immobile, facendosi subissare dalle onde, poi si alzò novamente.

«Passati?» chiese Piccolo Flocco.

«Noi sì, pare,» rispose il mastro. «Ma come se la caverà la fregata che pesca molto più… Saldi in gambe!»

Uno spaventevole colpo di mare spezzò la tolda con furia irresistibile, sventrando le ultime murate che avevano resistito, e si spinse fin sul castello, ululando, muggendo, tentando di portarsi via i tre naufraghi; ma ritornò nell’oceano senza nessuna preda umana.

«Un altro colpo come questo, e noi siamo spacciati,» disse il mastro aggrappato disperatamente all’argano.

«E la fregata?»

«Corpo d’una balena!»

«Che cos’hai?»

«Ha fortuna quel marchese d’Halifax! La sua nave ha deviato verso il sud in modo da evitare queste secche.»

«Pluff!… Che salti!»

«E il salto finale sarà il più terribile, mio Piccolo Flocco! L’uragano ci spinge rapidamente verso la costa. Fra tre o quattr’ore questa povera nave avrà terminata la sua esistenza.»

«Verrà sventrata o fracassata?»

«Te lo saprò dire più tardi.»

«E noi come ce la caveremo? Può servire la scialuppa?»

«Io credo che non ci sia nemmeno più; eppoi a che cosa servirebbe con questo mare furibondo?… Tò! Abbiamo urtato ancora, mi pare.»

«Sì,» rispose il gabbiere. «La nave fila sempre attraverso a dei banchi. Che ne pensi, mastro?»

Testa di Pietra fece un gesto di sconforto, poi guardò la fregata, la quale filava molto più al sud, a più di duemila metri, sospinta da ondate immense. Pareva che il Marchese fosse riuscito a montare un altro timone, nonostante la furia della burrasca. Forse non si trattava d’un timone, ma d’un pennone ingrossato a remo, più difficile a maneggiarsi, e tuttavia sempre ottimo per una nave che era priva di governo.

Testa di Pietra masticò una decina di campanili, poi esclamò d’un tratto:

«Ah, tocchiamo ancora! Siamo sotto alla costa.»

A duemila metri, illuminata da lampi, si alzava una costa, la quale pareva non offrisse nessun approdo. Là il mare era veramente spaventoso e mandava muggiti che sembravano colpi di cannone. Che terra era? La Florida? Così credeva il vecchio mastro.

Il brick-goletta continuava a raschiare i bassifondi, minacciando di perdere, da un momento all’altro, la chiglia e di cagionare un’avaria insanabile. Testa di Pietra aveva incrociate le braccia sul largo petto. Non si teneva nemmeno più stretto all’argano. Il pover’uomo doveva essere completamente scoraggiato.

Una mezz’ora trascorse ancora, durante la quale la nave non fece altro che salire e scendere fra un orribile urlio delle onde. La costa, per uno strano effetto d’ottica, pareva corresse incontro ai naufraghi; e l’illusione era così perfetta, che perfino l’Assiano, il quale ormai si era completamente vuotato, chiese a Testa di Pietra:

«Cammina quella terra?

«Come i campanili del tuo paese,» rispose il mastro.

«Tutti fermi i campanili tedeschi, patre.»

Una raffica furiosa si abbatté in quel momento sulla povera nave, facendola girare come una trottola parecchie volte, poi una enorme massa di schiuma si sollevò lungo i fianchi scagliandosi in coperta. Allora la forte voce di Testa di Pietra si udì tra il grande fracasso delle onde:

«Nella stiva!»

Sorreggendosi a vicenda, poiché i rollii ed i beccheggi si susseguivano, raggiunsero il boccaporto maestro e si calarono nel frapponte. Guai se fossero rimasti ancora sopra, con quel pò pò di mare scatenato!… Sarebbero stati spazzati via tutti. Ma era pur vero che se la nave si fosse sfasciata improvvisamente e riempita d’acqua, nessuno sarebbe uscito vivo da quella specie di trappola.

Ad un tratto avvenne un cozzo terribile, seguito da mille fragori. Cadevano i puntali, cedevano i bagli, si apriva il fasciame a babordo ed a tribordo con un fracasso assordante. Un’onda penetrò nel frapponte attraverso uno di quegli squarci, raggiunse i tre naufraghi, che si erano accoccolati attorno alla scassa dell’albero di trinchetto, e li rovesciò. Scomparve, tornò all’assalto carica di sabbia, fece girare diverse volte su loro stessi i due Bretoni e l’Assiano, e di nuovo si ritirò.

«È finito il ballo?» chiese Piccolo Flocco fregandosi gli occhi pieni di resa.

«Mi pare,» rispose il mastro.

«Si è fermata la carcassa?»

«Non hai udito quel rombo? Avrebbe svegliato anche un marinaio annegato da sei mesi!»

«Possiamo uscire?»

«Adagio, ragazzo. Le onde devono spazzare la coperta da poppa a prora.»

«Eppure non possiamo rimaner sempre qui!»

«Con la fame,» aggiunse l’Assiano.

«Già, povero diavolo, tu sei completamente vuoto, ma non troveremo più gli zamponi d’orso e nemmeno i cadaveri delle altre bestie che abbiamo uccise,» disse Testa di Pietra. «Le onde hanno portato via tutto.»

«Io afere molta fame.»

«E io non meno di te, Hulbrik.» rispose il mastro. «Mio caro, sul mare bisogna avere molta pazienza.»

In quell’istante un’altra ondata giallastra invase il frapponte, ma senza raggiungere i tre naufraghi.

«Buon segno!» disse il mastro. «Vieni, Piccolo Flocco.»

Scesero rapidamente la scala che metteva nel fondo della stiva, ma subito si ritrassero. Degli scogli avevano squarciato il fasciame in diversi luoghi, e, l’acqua entrava abbondantemente; peraltro quelle rocce trattenevano saldamente il brick-goletta, impedendogli di affondare.

«Siamo come ancorati!» disse il mastro.

«O sventrati?» chiese il giovane gabbiere.

«Come vuoi: questa nave ha finito qui i suoi giorni.»

«Montiamo?»

«Si può provare: aiuta il Tedesco. Quel povero ragazzo è assolutamente sfinito.»

Per la quarta volta fonda giallastra e carica di sabbia riapparve con grande strepito, ululando attraverso gli squarci aperti dagli scogli, ma si mantenne ancora più bassa.

«Buon segno!» ripeté Testa di Pietra, stropicciandosi le mani. «La carcassa si è infilata su qualche punta rocciosa e tien fermo meglio di dieci ancore. Difficile sarà lo sbarco. Orsù, andiamo a vedere.»

La nave non si moveva più, quantunque le onde ruggissero spaventosamente. Pareva che un palo d’acciaio avesse attraversato il brick-goletta arrestandolo o, meglio, inchiodandolo.

«Testa di Pietra,» disse Piccolo Flocco, «siamo morti?»

«Mi pare di essere ancora vivo.»

«Per ora…»

«Ed anche più tardi, spero. La carcassa si è sventrata su una scogliera e per il momento non si moverà.»

«La toglieremo noi.»

«Sei pazzo, Piccolo Flocco?… Di quali argani disponiamo? E dove sono gli ancorotti da pennello? Ormai siamo finiti e non ci rimane che sbarcare, se lo potremo.»

Si slanciò sulla scala e mise la testa fuori del boccaporto, ma tosto si ritrasse, mandando un grido d’orrore.

«Scappano i Bretoni di Batz?»

«Io, fuggire?…Vieni a vedere, e poi metti i piedi sul ponte. Vedrai uno spettacolo che ti farà venire la pelle d’oca.»

Il giovane gabbiere salì gli ultimi gradini impugnando una scure, e, come il suo compatriotta, batté rapidamente in ritirata senza far uso dell’arma.

Nessun uomo d’altronde, per quanto pieno di coraggio, avrebbe osato andare innanzi.

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