Il brulotto

I venti uomini, che erano stati mandati dinanzi alla casa per tenere sgombra la via, avevano impegnata la lotta contro gli abitanti della città e contro i soldati che avevano cercato rifugio nelle case.

 Dalle finestre partivano archibugiate in buon numero e venivano precipitate sedie, vasi di fiori, mobili e anche dei mastelli di acqua più o meno pura, ma i filibustieri non avevano cercato di dare indietro fino alla casa di don Ribeira.

 Con scariche nutrite e anche ben aggiustate, avevano costretti gli abitanti a ritirarsi dalle finestre, poi avevano mandati innanzi alcuni drappelli di tiratori scelti, per tenere sgombre le vie laterali ed impedire delle sorprese.

 Quando comparve il Corsaro Nero, un lungo tratto di via era caduto nelle mani delle avanguardie ed altri drappelli si erano slanciati più innanzi continuando a sparare contro tutte le finestre che vedevano ancora aperte od illuminate.

 «Avanti altri dieci uomini!» comandò Morgan. «Altri dieci alla retroguardia e fuoco su tutta la linea!

 «Badate alle vie laterali!» urlò Carmaux, che aveva assunto il comando della retroguardia.

 La banda, sempre sparando e urlando a piena gola per spargere maggior terrore e per farsi credere in numero doppio, partì a passo di corsa, dirigendosi verso il porto.

 Già non distava dalla piccola baia più di tre o quattrocento metri, quando verso il centro della città, si udirono alcune scariche. Poco dopo si videro gli uomini della retroguardia raddoppiare la corsa, rasentando le pareti delle case.

 «Siamo assaliti alle spalle?» chiese il Corsaro Nero che veniva trasportato in una corsa rapidissima.

 «Gli spagnuoli si sono radunati e ci danno addosso, capitano!» gridò Carmaux che lo aveva raggiunto, seguito da Moko e da Wan Stiller.

 In quel momento verso la baia si udirono a rimbombare alcune cannonate.

 «Buono!» esclamò Carmaux. «Anche le fregate vogliono prendere parte alla festa!»

 «Morgan!» gridò il signor di Ventimiglia, vedendo ricomparire il suo luogotenente. «Cosa succede nella baia?»

 «Nulla di grave, signore,» rispose il comandante in seconda. «Sono le fregate che sparano contro la spiaggia credendo forse che noi stiamo per abbordarle.»

 Mentre la retroguardia, rinforzata da altri venti uomini, arrestava gli spagnuoli nella loro corsa, l’avanguardia affrettando il passo giungeva incolume sulla spiaggia e precisamente di fronte al luogo ove trovavasi la Folgore.

 L’equipaggio, accortosi già della battaglia impegnatasi, aveva messe in acqua numerose scialuppe per raccogliere i camerati, mentre alcuni artiglieri, per nascondere l’imbarco, scaricavano i pezzi da caccia in direzione delle fregate e contro il fortino.

 «Imbarcate!» comandò Morgan.

 Il Corsaro Nero fu collocato in una baleniera assieme a Yara, a Carmaux e ad alcuni feriti e trasportato sollecitamente a bordo.

 Quando egli si vide ancora sul ponte della sua valorosa nave, respirò a lungo, dicendo:

 «Ora non mi prendete più, miei cari. La mia Folgore vale una squadra!»

 Intanto gli uomini rimasti sulla spiaggia avevano fatto fronte al nemico che sbucava da tutte le vie e da tutti i viottoli, ingrossando di minuto in minuto.

 Il Corsaro Nero però, che non aveva voluto lasciare il ponte, s’avvide del pericolo che correvano i suoi uomini e voltosi agli artiglieri dei due pezzi da caccia, gridò loro:

 «Mitragliate quei nemici!… Giù una buona scarica.»

 I due pezzi d’artiglieria furono volti verso la strada principale della città, dove si affollavano gli spagnuoli e fecero grandinare su di essa un nembo di mitraglia.

 Quelle due scariche bastarono per disperdere, almeno momentaneamente, gli avversari. I filibustieri che erano rimasti a terra ne approfittarono per gettarsi confusamente nelle scialuppe.

 Quando gli spagnuoli tornarono a mostrarsi, gli ultimi marinai stavano salendo a bordo.

 «Troppo tardi, miei cari!» gridò Carmaux, facendo ai nemici un gesto ironico. «Vi avverto d’altronde che la mitraglia non ci fa difetto.»

 Il Corsaro Nero, visto che tutti i suoi uomini erano a bordo, compresi i feriti, si era finalmente lasciato trasportare nella sua cabina. Quel luogo era quanto si può immaginare di più ricco e di più comodo. Non era una delle solite stanzette che formano il così detto quadro degli ufficiali, bensì un salotto ampio assai, bene arieggiato, con due finestre sorrette da colonnine corinzie, riparate da tende di seta azzurra. Nel mezzo si vedeva un comodo letto, pure sorretto da colonnine di metallo dorato; negli angoli v’erano scaffali di stile antichissimo e dei divani, e alle pareti brillavano dei grandi specchi di Venezia con cornice di cristallo e panoplie d’armi d’ogni specie. Una grande lampada, d’argento dorato, con globi di vetro rosa, spandeva all’intorno una luce strana, che rassomigliava a quella proiettata dall’aurora durante le belle mattinate estive.

 Il Corsaro si lasciò portare sul letto senza quasi fare un moto. Pareva che le lunghe emozioni provate e gli sforzi poderosi avessero finalmente fiaccato l’anima del formidabile scorridore del mare. Era stato preso dallo svenimento.

 Morgan era pure sceso nella cabina seguito dal medico di bordo, da Yara e da Carmaux, l’aiutante di campo del filibustiere.

 «Cosa ne dite?» chiese Morgan all’uomo di scienza, il quale aveva allora esaminato il ferito.

 «Nulla di grave,» rispose il medico. «Sono ferite più dolorose che pericolose, quantunque una sia molto profonda. Tra quindici giorni il cavaliere sarà ristabilito.»

 «Fate rinvenire il capitano,» disse Morgan. «Devo parlargli subito.»

 Il dottore aprì una cassetta contenente una piccola farmacia, sturò una fiala e la fece fiutare al capitano. Un istante dopo il signor di Ventimiglia riapriva gli occhi, guardando ora Morgan ed ora il medico che stavano curvi su di lui.

 «Morte dell’inferno!» esclamò. «Credevo di aver sognato! È vero che sono a bordo della mia nave?»

 «Sì, cavaliere,» disse Morgan, ridendo.

 «Ero svenuto?»

 «Sì, capitano.»

 «Maledette ferite!» esclamò il Corsaro con rabbia. «È la seconda volta che mi giuocano questo brutto tiro!… Devono essere state due belle stoccate!…»

 «Guarirete presto, signore, – disse il medico.

 «Grazie dell’augurio. Ebbene, Morgan, come stiamo?»

 «La baia è sempre bloccata.»

 «E la guarnigione del forte?»

 «Pel momento si accontenta di guardarci.»

 «Credete che si possa forzare il blocco?»

 «Questa notte?»

 «Sì, luogotenente. Domani sarebbe forse troppo tardi.»

 «Le due fregate devono tenersi in guardia, capitano.»

 «Oh!… Di questo non ne dubito.»

 «E sono poderosamente armate. Una possiede diciotto cannoni e l’altra quattordici!»

 «Venti più di noi!»

 Stette alcuni minuti silenzioso, in preda ad una viva preoccupazione, poi disse improvvisamente:,

 «Usciremo egualmente in mare. È necessario andarcene questa notte onde non correre il pericolo di venire abbordati dalle forze di mare e di terra.»

 «Usciremo!» esclamò Morgan, con stupore. «Pensate che con tre o quattro bordate ben aggiustate possono demattare la nostra nave e sfondarci i fianchi.»

 «Possiamo evitare queste bordate.»

 «In quale modo, signore?»

 «Preparando un brulotto. Non vi è alcuna nave in porto?»

 «Sì, vi è una barcaccia ancorata presso l’isolotto. Gli spagnuoli l’hanno abbandonata subito dopo che noi abbiamo gettato l’ancora.»

 «È armata?»

 «Con due cannoni e porta due alberi.»

 «È carica?»

 «No, capitano.»

 «Abbiamo delle materie infiammabili a bordo, è vero?»

 «Non manchiamo nè di zolfo, nè di pece, nè di granate.»

 «Allora date ordine che si prepari un buon brulotto. Se il colpo ci riesce, vedremo qualche fregata in fiamme. Intanto lasciatemi riposare sino alle due»

 Morgan, Carmaux ed il medico uscirono, mentre il Corsaro tornava a coricarsi. Prima di chiudere gli occhi cercò la giovane indiana e la vide rannicchiata in un angolo della cabina.

 «Cosa fai, fanciulla mia?» le chiese con voce dolce.

 «Veglio su di te, mio signore.»

 «Coricati su di uno di quei sofà e cerca di riposare. Fra alcune ore qui pioveranno palle e granate e le fiamme dei cannoni faranno troppo chiaro pei tuoi occhi. Dormi, buona fanciulla e sogna la tua vendetta.»

 «Me la darai, mio signore?» chiese la giovanetta, alzandosi di scatto, cogli sguardi sfavillanti.

 «Te lo prometto, Yara.»

 «Grazie, mio signore: la mia anima ed il mio sangue ti appartengono.»

 Il Corsaro le sorrise e si rovesciò sui guanciali, chiudendo gli occhi.

 Mentre il ferito riposava, Morgan era salito sul ponte per preparare il terribile colpo di testa che doveva dare ai filibustieri o la libertà o la morte.

 Quell’uomo, che godeva l’intiera fiducia del fiero scorridore del mare, era uno dei più valenti lupi di mare che contasse allora la filibusteria, un uomo che doveva più tardi diventare il più celebre fra tutti i filibustieri, colla famosa spedizione di Panama e con quelle, non meno audaci, di Maracaibo e di Porto Cabello. Era meno alto del Corsaro, anzi si poteva dire che era al disotto della statura media, ma in cambio era membruto e dotato di una forza eccezionale e d’un colpo d’occhio di aquila.

 Aveva già date molte prove di valore sotto il comando di filibustieri celebri, quali Montbar, nominato lo Sterminatore , Michele il Basco, l’Olonese ed il Corsaro Verde, fratello del Nero, e godeva perciò una fiducia immensa anche fra i marinai della Folgore, che l’avevano già potuto apprezzare in numerosi abbordaggi.

 Appena salito in coperta, aveva ordinato ad un drappello di marinai di prendere a rimorchio la barcaccia designata a servire di brulotto e di condurla presso la Folgore.

 Non si trattava veramente d’una barcaccia, bensì d’una caravella destinata al piccolo cabotaggio, già molto vecchia e quasi impotente a sostenere l’urto delle poderose ondate del Golfo del Messico. Come tutte le navi di quella specie, portava due altissimi alberi a vele quadre ed aveva il castello di prora ed il cassero assai elevati, sicchè di notte si poteva benissimo scambiarla per una grossa nave e fors’anche per la Folgore istessa. Il suo proprietario già l’aveva fatta scaricare al primo apparire dei filibustieri, per tema che il contenuto cadesse nelle mani di quei rapaci scorridori del mare, però a bordo era rimasta ancora una notevole quantità di tronchi di campeggio, legno adoperato per fare certe tinture molto pregiate anche in quell’epoca.

 «Questo legname ci servirà a meraviglia,» aveva detto Morgan, il quale si era subito recato a bordo della caravella.

 Chiamò Carmaux ed il mastro d’equipaggio e diede loro alcuni ordini, aggiungendo:

 «Sopratutto fate presto e bene. L’illusione deve essere perfetta.»

 «Lasciate fare a noi,» aveva risposto Carmaux. «Non mancheranno nemmeno i cannoni.»

 Un momento dopo trenta marinai si calavano sul ponte della caravella, già stata ormeggiata a tribordo della Folgore.

 Sotto la direzione di Carmaux e del mastro si misero subito al lavoro.

 Innanzi a tutto coi tronchi di campeggio inalzarono presso il timone una robusta barricata per coprire il pilota, poi cogli altri, segati a certe lunghezze, improvvisarono dei fantocci che collocarono lungo le murate, come uomini pronti a slanciarsi all’abbordaggio e dei cannoni che misero sul castello di prora e sul cassero. Si capisce che quei pezzi d’artiglieria non dovevano servire che di spauracchio, componendosi puramente di tronchi d’albero appoggiati alle murate.

 Ciò fatto, i marinai ammucchiarono sul boccaporto maestro alcuni barili di polvere, della pece, del catrame, dello zolfo e una cinquantina di granate disperdendone anche a prora ed a poppa, quindi bagnarono con resina e spirito le murate affinchè prendessero fuoco più facilmente.

 «Per bacco!» esclamò Carmaux, stropicciandosi le mani. «Questo brulotto arderà come un ceppo di pino.»

 «È una vera polveriera galleggiante,» disse Wan Stiller, che non aveva lasciato l’amico un solo momento.

 «Ora piantiamo delle torce sui bordi e accendiamo i grandi fanali del cassero,» disse Carmaux.

 «E spiegheremo a poppa il grande stendardo dei signori di Ventimiglia e di Valpenta.

 «Quello è necessario, amico Stiller.»

 «Credi tu che le fregate cadranno nel laccio?»

 «Ne sono certissimo,» rispose Carmaux. «Vedrai che cercheranno di abbordarci.»

 «Chi guiderà il brulotto?»

 «Noi con tre o quattro camerati.»

 «Avete finito?» chiese in quel momento Morgan, curvandosi sopra il bordo della Folgore.

 «Tutto è pronto, signore,» rispose Carmaux.

 «Sono già le tre.»

 «Fate imbarcare i nostri uomini, luogotenente.»

 «E tu?»

 «Reclamo l’onore di guidare il brulotto. Lasciatemi Wan Stiller, Moko e altri quattro uomini.»

 «Tenetevi pronti a bracciare le vele. Il vento soffia da terra e vi spingerà subito addosso alle fregate.»

 «Non attendo che i vostri ordini per tagliare gli ormeggi.»

 Quando Morgan salì sul ponte di comando della Folgore, il Corsaro Nero si era di nuovo coricato su due grandi cuscini di seta che erano stati stesi sopra un tappeto persiano. Yara, la giovane indiana, non ostante il divieto del Corsaro, aveva pure lasciata la cabina, decisa a sfidare la morte a fianco del suo signore.

 «Tutto è pronto, capitano» disse Morgan.

 Il Corsaro Nero si alzò a sedere e guardò verso l’uscita della baia.

 La notte non era tanto oscura, quantunque la luna fosse tramontata da qualche ora, perchè si potevano discernere distintamente le due fregate. Sotto i tropici e sotto l’equatore, le notti hanno una trasparenza straordinaria. La luce proiettata dagli astri basta per scorgere un oggetto qualsiasi, anche minuto, ad una distanza notevole, quasi incredibile.

 Le due grosse navi non avevano lasciati i loro ancoraggi e le loro masse spiccavano distintamente sulla linea dell’orizzonte. Il flusso però le aveva un po’ ravvicinate, lasciando a babordo ed a tribordo uno spazio sufficiente perchè una nave potesse manovrare liberamente.

 «Passeremo senza troppo soffrire il fuoco di quei trentadue cannoni,» disse il Corsaro. «Tutti gli uomini a posto di combattimento.»

 «Ci sono di già, signore.»

 «Un uomo di fiducia al comando del brulotto.»

 «Vi è Carmaux.»

 «Un valoroso: sta bene,» rispose il Corsaro. «Direte a lui che appena dato fuoco alla caravella imbarchi i suoi uomini sulla scialuppa e che venga subito a bordo colla maggior celerità possibile.

 Un ritardo di pochi minuti può essere fatale. Ah!…»

 «Cosa avete, signore?»

 «Vedo dei lumi presso la spiaggia.»

 Morgan si volse, aggrottando la fronte.

 «Che gli uomini del presidio cerchino di sorprenderci?» si chiese.

 «Giungeranno troppo tardi,» disse il Corsaro. «Fate salpare le àncore e orientate le vele.»

 E volgendosi verso la giovane indiana, le disse:

 «Ritirati nel quadro, Yara.»

 «No, mio signore.»

 «Qui fra poco grandineranno palle e granate.»

 «Non le temo.»

 «La morte può sorprenderti.»

 «Morrò al tuo fianco, mio signore. La figlia del cacico del Darien non ha mai temuto il fuoco degli spagnuoli.»

 «Tu allora hai anche combattuto?»

 «Sì, a fianco di mio padre e dei miei fratelli.»

 «Giacchè sei una valorosa, rimani presso di me. Forse tu mi porterai fortuna.»

 Con uno sforzo s’alzò sulle ginocchia e impugnando la spada che teneva sguainata presso di sè, gridò con voce tuonante:

 «Uomini del mare! A posto di combattimento! Rammentatevi del Corsaro Verde e del Corsaro Rosso!»

 «Al largo il brulotto, Carmaux!» gridò Morgan.

 La caravella era già stata liberata dagli ormeggi.

 Carmaux si era posto al timone e la guidava verso le due fregate, mentre i suoi compagni accendevano le due grandi lanterne del cassero e le torce che erano state legate lungo i bastingaggi onde gli spagnuoli potessero vedere il grande stendardo dei signori di Ventimiglia che ondeggiava sul coronamento di poppa.

 Un urlo terribile s’alzò a bordo del brulotto e della Folgore, perdendosi lontano lontano sul mare:

 «Viva la filibusteria!… Hurrà pel Corsaro Nero!…»

 I tamburi rullavano fragorosamente e le trombe che davano il segnale dell’abbordaggio echeggiavano acutissime. Il brulotto con una bordata aveva superato la punta estrema dell’isolotto e muoveva intrepidamente verso le due fregate, come se volesse investirle ed abbordarle.

 La Folgore lo seguiva a trecento passi di distanza. Tutti i suoi uomini erano a posto di combattimento: gli artiglieri dietro ai loro pezzi colle micce accese, i fucilieri dietro alle murate e sulle coffe, i gabbieri sui pennoni e sulle crocette.

 D’un tratto un lampo, poi due, poi quattro illuminano la notte e la possente voce delle artiglierie si mescola agli hurrà degli equipaggi e alle grida di guerra della guarnigione della cittadella accorsa in massa sulla spiaggia.

 «Ecco la musica!» tuona Carmaux.

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