La presa di S. Giovanni de Luz

Wan Stiller, appena giunto sulla scogliera che si prolungava alla base del torrione, non aveva perduto tempo.

 Comprendendo che il Corsaro ed i suoi due compagni non avrebbero potuto opporre una lunga resistenza al numeroso presidio del forte, era subito balzato nella scialuppa che aveva ritrovata nella piccola cala e si era messo ad arrancare con lena affannosa, dirigendosi verso la calata centrale della città.

 Soffiando il vento dalla parte del golfo, la scialuppa veniva portata dalle onde che irrompevano attraverso le dighe, spingendola verso terra. Senza questa circostanza, l’amburghese, quantunque robustissimo, avrebbe dovuto impiegare parecchio tempo a condurre da solo la scialuppa fino alla più prossima gettata.

 Era già giunto a metà della rada, quando volgendo lo sguardo intorno, si accorse di una grossa scialuppa la quale seguiva esattamente la sua rotta.

 «Che gli spagnuoli mi abbiano seguito?» pensò.

 Stava per gettarsi fra i barconi ancorati nella rada, quando udì una voce a gridare:

 «Ehi, alt o facciamo fuoco!»

 L’amburghese udendo quella voce aveva ritirati i remi.

 «Luserni!» esclamò. «Ohe! Siete della Folgore? »

 «Toh!» esclamò la medesima voce. «Che uno squalo mi divori vivo se quell’uomo non è l’amburghese!»

 La grossa scialuppa che era montata da dodici marinai, con un’ultima spinta aveva abbordata l’imbarcagione dell’amburghese ed un uomo si era slanciato a prora, gridando con un marcatissimo accento ligure:

 «Sei proprio tu, Wan Stiller?»

 «Sì, mastro Luserni.»

 «Ed il cavaliere?»

 «Sta per essere preso.»

 «Dici?…»

 «Che se non prendiamo il forte, il signor di Ventimiglia cadrà nelle mani degli spagnuoli.»

 In quel momento un colpo di colubrina rimbombò sulla torre di levante di San Giovanni de Luz.

 «È Carmaux che sbaraglia gli spagnuoli,» disse Wan Stiller. «Ma non sono che in tre e non hanno che una sola carica. Dammi due dei tuoi uomini mastro e tu corri ad avvertire Morgan. Il capitano è rinchiuso nella torre di levante.»

 «E tu dove vai?»

 «Ad avvertire il signor di Grammont. All’alba i filibustieri daranno l’assalto al forte. Vieni dal mare?»

 «Sì,» rispose il ligure. «Mi ha mandato il signor Morgan per avere ordini dal capitano.»

 «Dove si trova la Folgore?»

 «Incrocia dinanzi alla rada.»

 «Dirai al signor Morgan d’assalire il forte dalla parte del mare, mentre il signor di Grammont lo attaccherà dalla parte di terra. Addio e non perdere tempo!…»

 «Due uomini con Wan Stiller,» disse il mastro. «Pronti a riprendere il largo!»

 Un momento dopo l’imbarcazione dell’amburghese, rinforzata da due robusti rematori, correva verso la gettata, mentre la grossa scialuppa riprendeva la lotta contro le onde, dirigendosi verso le dighe del porto. Appena sbarcato, l’amburghese si volse verso i due filibustieri dicendo loro:

 «Recatevi subito al palazzo del governatore ed avvertite il signor di Grammont che il Corsaro Nero si trova assediato nella torre di levante. Fra poco vi raggiungerò anch’io.

 Poi partì correndo, cercando di orientarsi fra le numerose vie della città che conosceva a malapena.

 Non fu cosa facile ritrovare il palazzo della marchesa di Bermejo, ma finalmente riuscì a giungervi.

 Nel momento in cui entrava nel giardino, due uomini che montavano due bellissimi e vigorosi cavalli, stavano per uscire.

 «Dov’è la marchesa?» chiese Wan Stiller.

 «È partita,» rispose uno dei due.

 «Da quando?»

 «Da tre ore.»

 «Non cercate d’ingannarmi,» disse l’amburghese, con voce minacciosa. «Ho da farle una comunicazione della massima importanza.»

 «Vi ripeto che è partita.»

 «Per dove?»

 «Per Tampico, da cui s’imbarcherà per la Spagna.»

 «La rivedrete voi?»

 «Andiamo a raggiungerla.»

 «Le direte che tutto è stato scoperto, che Sandorf è stato gravemente ferito e che il signor di Ventimiglia si trova assediato e che aspetta il signor di Grammont.»

 «Io sono il suo maggiordomo,» disse lo spagnuolo che aveva parlato. «Le vostre parole le saranno riferite.»

 «Ditele che io sono stato mandato espressamente dal signor di Ventimiglia per avvertirla del tradimento e che si guardi .»

 Poi uscì sempre correndo, dal giardino, mormorando:

 «Una donna astuta, quella marchesa. Ha preso in tempo le sue precauzioni.

 Quando giunse al palazzo del governo stava per albeggiare.

 Una viva agitazione regnava sulla vasta piazza. Bande di filibustieri giungevano da tutte le parti, trascinando cannoni, rotolando barili di polvere, portando scale lunghissime tolte dalle chiese.

 Ufficiali e mastri d’equipaggio entravano ed uscivano dal palazzo del governo, mentre nelle vicine vie si udivano le trombe ed i tamburi suonare a raccolta. Di quando in quando dei grossi drappelli partivano a passo di corsa, dirigendosi verso l’estremità della rada, dove giganteggiava la massa imponente di San Giovanni de Luz.

 «Grammont è uomo di parola,» mormorò Wan Stiller. «Si prepara ad espugnare il forte.»

 Si aprì il passo fra i filibustieri che entravano e uscivano dal palazzo del governatore e salì nella sala che guardava sulla piazza, dove vide Grammont discutere animatamente con Laurent e con parecchi comandanti di navi.

 Il gentiluomo francese appena lo vide gli mosse sollecitamente incontro, esclamando:

 «Finalmente!… Cosa è accaduto adunque al signor di Ventimiglia? I due marinai che mi hai mandato ne sapevano quanto me.»

 «Quando l’ho lasciato, la guarnigione del forte si preparava ad assalirlo, signore,» rispose Wan Stiller.

 «Che sia già stato preso?»

 «Ne dubito, signore. Stava per barricarsi in una stanza del torrione di levante.»

 «Orsù, Laurent, non perdiamo tempo e prepariamoci ad assalire vigorosamente il forte.»

 Stava per uscire, quando alcuni colpi di cannone rimbombarono dalla parte del porto.

 «Che significa ciò?» si chiese, arrestandosi. «Che i nostri uomini abbiano già cominciato l’attacco senza attendere noi?»

 «Ve lo dico io, signore,» disse Wan Stiller. «Queste sono cannonate della Folgore. »

 «Anche la nave del Corsaro Nero è della partita?»

 «Sì, signore; ho fatto avvertire Morgan.»

 «Ecco un potente aiuto sul quale io non avevo contato.»

 Poi volgendosi verso i numerosi ufficiali che ingombravano la sala, gridò:

 «Andiamo, signori!… L’attacco è cominciato!»

 Le bande dei filibustieri si erano già ammassate sulla penisoletta, alla cui estremità s’ergeva il forte di San Giovanni de Luz, e si erano preparate per dare l’assalto alle torri di ponente, le quali presentavano minor robustezza di quelle che guardavano la baia di Vera-Cruz. Quei torrioni però, rinforzati da bastioni merlati altissimi e da lunette, e armati da numerosi cannoni di grosso calibro, avevano un aspetto così imponente da spaventare i più audaci filibustieri.

 L’alba era appena sorta, quando i filibustieri, armati solamente di pistole e di sciabole d’arrembaggio, cominciarono ad avanzare sotto la condotta di Laurent e di Grammont.

 Quantunque tutti avessero compreso le gravi difficoltà che presentava quell’impresa, pure quegli arditi uomini avevano accettato con entusiasmo la proposta fatta loro dai capi, trattandosi di liberare il Corsaro Nero, il più popolare ed il più amato di tutti i filibustieri della Tortue.

 Grammont e Laurent, d’accordo con Wan Horn, il quale era stato incaricato di sorvegliare la città, onde impedire una sollevazione da parte degli abitanti, avevano deciso di assalire il formidabile castello da due parti, per dividere il presidio.

 Il primo però doveva dare vigorosamente l’assalto, mentre il secondo, che aveva minor numero d’uomini, doveva limitarsi a tormentare i difensori e minacciare i torrioni che guardavano verso il mare. Erano le sette quando le squadre di Grammont giunsero a tiro di fucile dai bastioni di ponente. Gli spagnuoli si erano raggruppati in buon numero dietro agli spalti, decisi ad opporre una resistenza disperata ed a farsi uccidere piuttosto che arrendersi. Dalla parte del mare non avevano lasciato che poche squadriglie per far fronte alla Folgore, i cui cannoni tuonavano senza posa, diroccando le merlature delle torri e tempestando gli spalti, dietro ai quali si trovavano le grosse artiglierie del forte.

 All’apparire delle prime squadre dei filibustieri di Grammont, le artiglierie di grosso calibro degli spagnuoli avevano subito cominciato un fuoco infernale, battendo tremendamente le spianate che si estendevano dinanzi alle torri ed alle cinte di ponente e fracassando gli alberi dietro i quali si erano appostate le avanguardie.

 I filibustieri invece di rispondere, si erano limitati a disperdersi, appiattandosi fra le alte erbe o dietro ai cespugli, ma dopo ogni scarica s’affrettavano a guadagnare, strisciando come serpenti, dieci o quindici passi, per poi tornare a sdraiarsi al suolo.

 Quella manovra, suggerita da Grammont, limitava immensamente le perdite, poichè di rado le grosse palle dell’artiglieria spagnuola, più atte a sconquassare grosse navi che uomini isolati, colpivano nel segno.

 Quando però i filibustieri giunsero dinanzi all’ultima spianata, lontana soli trecento metri dai fossati dei bastioni, le cose cominciarono a volgere subitamente alla peggio per gli assalitori.

 Le piccole artiglierie erano entrate in scena, tirando a mitraglia e quei nembi di schegge, sparate rasente al suolo dalle feritoie aperte alla base dei torrioni, spazzavano alla lettera la spianata, mutilando o fulminando i filibustieri.

 Grammont si era alzato in piedi, gridando:

 «All’assalto!… Il Corsaro Nero ci aspetta!»

 Un urlo immenso, selvaggio, scoppia fra gli assalitori.

 «Alla carica!… Morte agli spagnuoli!»

 I quattrocento uomini che formavano il corpo del gentiluomo francese si scagliano innanzi portando le scale ed incoraggiandosi con clamori spaventevoli.

 Non vi erano che trecento metri da attraversare per giungere ai fossati, ma erano trecento metri senza riparo.

 Il fuoco degli spagnuoli raddoppia. Dai bastioni, dalle feritoie, dai merli delle torri le artiglierie tuonano con un crescendo assordante. Le palle, le granate, la mitraglia cadono dovunque solcando e sollevando il suolo e facendo larghi vuoti fra gli assalitori.

 I filibustieri, malgrado le grida dei loro capi, esitano. Alcuni, più audaci, sono giunti nei fossati e hanno rizzate le scale, ma non osano spingersi in alto e affrontare quel fuoco d’inferno che semina la morte dovunque.

 «Avanti!» grida Grammont, mettendosi alla testa d’un drappello di bucanieri. «Il Corsaro Nero è lassù.»

 Si slancia arditamente in mezzo al fumo e fa gettare sul fossato un ponte volante. Una scarica di mitraglia colpisce in pieno coloro che lo seguono e la squadriglia audace si sfascia come un castello di carta. In quel momento una nuova truppa di filibustieri si precipita sulla spianata. Sono gli uomini di Laurent. Respinti a loro volta si erano affrettati a raggiungere le bande di Grammont, sperando di riuscire meglio da quel lato. Quel soccorso infonde un coraggio disperato alle bande del gentiluomo francese. Scendono nei fossati, piantano le scale e si slanciano all’assalto, tentando di allontanare gli spagnuoli a furia di bombe lanciate a mano. Vani sforzi. I difensori rovesciano le scale nei fossati e fanno piovere, addosso agli assalitori, macigni e acqua bollente, mentre le artiglierie continuano a spazzare le spianate.

 La partita sembra ormai perduta! I filibustieri, stremati da quegli inutili tentativi, fulminati dai cannoni e dai moschetti dei difensori del castello, si ripiegano sulla seconda spianata portando con loro i feriti.

 I due capi della filibusteria, con una banda composta di uomini scelti, tentano ancora uno sforzo supremo, ma a loro volta si vedono costretti a indietreggiare per non farsi sterminare da quella tempesta di ferro e di piombo.

 Ad un tratto delle urla acute scoppiano dietro alle ultime bande. Sono pianti di donne e grida d’uomini spaventati, atterriti.

 «Che succede? – grida Grammont.

 Uno spettacolo strano, inaspettato, si presenta agli sguardi del gentiluomo francese.

 Quattro o cinque dozzine di persone, parte frati e parte monache, s’avanzano, fra grida e pianti, portando delle lunghe scale. Dietro a loro ed ai fianchi marciano un centinaio di filibustieri colle armi in mano, sagrando e minacciando.

 «Cosa vengono a fare qui quei frati e quelle monache?» chiese Grammont, stupito.

 «È stata un’idea di Morgan,» risponde un filibustiere.»

 «Morgan!… È sbarcato dalla Folgore ?»

 «È giunto or ora.»

 «E cosa vuole farne di quei religiosi?»

 «Li manda a piantare le scale nei fossati.»

 «I frati!…»

 «Egli spera che gli spagnuoli sospendano il fuoco. Sono troppo religiosi per ucciderli([4]).»

 «Io credo invece che il governatore di San Giovanni de Luz non li risparmierà e compiango fin d’ora quei disgraziati.

 I frati e le monache, fra le urla e le minacce dei filibustieri, malgrado lo spavento che li invade, s’avanzano attraverso la spianata portando le scale. Invano chiedono grazia e cercano, con pianti e lamenti, d’impietosire i loro guardiani.

 Gli spagnuoli vedendoli avanzarsi, sospendono per un momento il fuoco. Essi esitano a sterminare quei miseri.

 «Risparmiateci!» gridano le monache, alzando le braccia verso i soldati affollati sulle torri.

 «Grazia!… Non fate fuoco!» gridano i frati.

 Quel momento d’esitazione dura poco.

 Il governatore del castello ha compreso il progetto infernale dei filibustieri. Deciso a difendersi ed a risparmiare la sua guarnigione, fa giuocare le sue artiglierie contro i religiosi ed i loro guardiani, facendo strage degli uni e degli altri.

 Le bande, riorganizzate da Grammont e da Laurent, protette da quella schiera, sono però giunte nuovamente sull’ultima spianata.

 Una rabbia tremenda anima tutti. Senza badare al fuoco sempre tremendo degli spagnuoli, si rovesciano nei fossati, issano le scale e montano all’assalto con slancio meraviglioso.

 Gli spagnuoli rovesciano su di loro massi, palle di ferro e fanno fuoco coi moschetti, non potendo più far uso delle artiglierie e li accolgono a colpi d’alabarda e di spada.

 Più nulla trattiene i filibustieri, ormai giunti sui primi bastioni.

 Con granate cacciano gli spagnuoli dai merli e dalle piattaforme e irrompono furiosamente nel forte. L’ostinata resistenza del presidio e le gravissime perdite subite li avevano resi feroci. Quanti nemici cadono in mano vengono spietatamente trucidati. Gli spagnuoli, respinti, fuggono verso le ultime torri, cercando di opporre una disperata resistenza e di arrestare lo slancio dei filibustieri colle colubrine piazzate sulle terrazze. Le artiglierie della Folgore li obbligano a sgombrare ed a rifugiarsi nei cortili interni.

 Grammont e Laurent fanno puntare su quei disgraziati tutte le artiglierie della fortezza, intimando la resa. Di cinquecento non erano ridotti che a duecento e per la maggior parte feriti. Il governatore ed i principali ufficiali si erano fatti bravamente uccidere sulle terrazze delle torri.

 Ritentare la lotta sarebbe stata una follia inutile e s’arresero, ammainando, colla morte nel cuore, il grande stendardo di Spagna che avevano così valorosamente difeso.

 Wan Stiller, che aveva sempre combattuto a fianco di Grammont, si era volto verso il gentiluomo, dicendogli:

 «Andiamo a trovare il Corsaro Nero, ora, mio signore. Qui non vi è più nulla da fare.»

 «Credi che sia ancora vivo?»

 «Non solo, ma io sono convinto che si trovi ancora barricato nel torrione di levante.»

 «Ti seguo, mio bravo amburghese,» disse Grammont.

 Mentre i filibustieri disarmavano i prigionieri, l’amburghese ed il gentiluomo si diressero verso il torrione, le cui merlature erano state smantellate dalle artiglierie della Folgore.

 Alla base della scala che conduceva sulla piattaforma, inciamparono in un cadavere.

 «Io conosco quest’uomo,» disse l’amburghese, curvandosi.

 «Forse il soldato che vi ha condotti qui?» chiese Grammont.

 «No, signore, è Diego Sandorf.»

 «Il fiammingo che doveva fare delle preziose rivelazioni al Corsaro?

 «Sì, signor di Grammont. Aveva ricevuto una stoccata dal capitano.

 Salirono sulla piattaforma e scesero la stretta gradinata che metteva nell’interno della torre.

 A mezza discesa trovarono un altro cadavere. Era quello d’un sergente spagnuolo.

 «Ecco qui un altro che ha ricevuto una stoccata in pieno petto,» disse Wan Stiller. «Il capitano non ha risparmiato nemmeno questo povero diavolo.»

 Giunti in fondo alla scala si trovarono dinanzi alla porta ferrata.

 «Che siano chiusi qui dentro?» si chiese Wan Stiller.

 Alzò il fucile che teneva in mano e percosse furiosamente la porta. Questa subito cedette, non essendo stata chiusa internamente.

 «Tuoni d’Amburgo!» esclamò Wan Stiller, tergendosi colla sinistra alcune gocce di sudore. «Non vi è nessuno qui!…

 «L’avete trovato?» chiese in quel momento una voce.

 Il signor di Grammont e l’amburghese si volsero e videro Morgan il quale scendeva precipitosamente la scala, seguito da alcuni marinai della Folgore.

 «Pare che qui non vi sia più il Corsaro,» rispose l’amburghese, con voce strozzata. Armò il fucile e si slanciò risolutamente nella vasta camera, seguìto dal signor di Grammont e da Morgan.

 «Tuoni e uragani!» esclamò. «Il Corsaro è scomparso!»

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