La squadra dei filibustieri

Fra i più famosi corsari della Tortue, un bel posto spetta a questi tre arditi filibustieri che si chiamano Grammont, Laurent e Wan Horn, unitisi al Corsaro Nero per tentare la presa ed il saccheggio di Vera-Cruz, una delle più importanti e delle più ricche città del Messico.

 Pochi forse avevano dato prove di valore e di audacia come questi. Se non salirono in grandissima fama come l’Olonese, come Montbar lo Sterminatore, come Morgan che doveva più tardi, con una temerità incredibile, espugnare e saccheggiare Panama, come Sharp, Harris e Sawkins che per tanti anni furono i padroni dell’Oceano Pacifico e che scorazzarono perfino sotto le coste del Perù, pure ebbero un bellissimo posto nella storia della filibusteria.

 Wan Horn era brabantese, Grammont era un gentiluomo francese, andato in America per odio contro gli spagnuoli, e Laurent de-Graff olandese.

 Il primo aveva cominciata la sua carriera come semplice marinaio, però ben presto era diventato un timoniere famoso.

 Raccolte poche centinaia di piastre, aveva comperato finalmente un piccolo legno corseggiando per proprio conto, in unione ad una banda di disperati.

 Essendo in quel tempo scoppiata la guerra fra l’Olanda e la Francia, aveva dato addosso alle navi della prima nazione con tanto accanimento, da farsi molto notare e stimare.

 Cessata la guerra, non ostante i trattati, aveva continuato a corseggiare nelle acque della Manica, non risparmiando che le navi francesi, ma poi, incoraggiato da tanti successi, aveva osato assaltare anche quelle del proprio paese, mettendosi così in guerra con tutte le nazioni marinaresche dell’Europa settentrionale.

 Un giorno una nave da guerra francese, mandata in sua cerca perchè lo catturasse, lo incontra e gli intima la resa incondizionata.

 Wan Horn non si spaventa affatto dell’enorme superiorità dell’avversario. Con un’audacia incredibile si reca a bordo della fregata francese e si finge altamente meravigliato del procedere del comandante, giurando solennemente di aver sempre rispettate le navi di bandiera francese e facendo capire che i suoi uomini non si sarebbero arresi senza aspro combattimento e che il suo luogotenente era uomo da disputare lungo tempo la vittoria.

 Il comandante, sapendo con quale canaglia risoluta aveva da fare e non volendo compromettere la sua nave in una simile lotta, lascia libero Wan Horn.

 Il brabantese, comprendendo che ormai spirava cattiva aria per lui sulla Manica, sul mare del Nord e nel mare di Biscaglia, attraversa l’Atlantico e veleggia verso Portorico coll’idea già fissa di corseggiare a danno degli spagnuoli.

 Ardeva allora la guerra fra la Spagna e la Francia. Wan Horn, già molto conosciuto anche in America per le sue antecedenti inprese, entra in San Juan al suono di trombe e di tamburi, offrendo i suoi servigi al governatore dell’isola. Egli viene subito accettato e lo s’incarica di scortare i galeoni carichi d’oro che dovevano attraversare l’Atlantico.

 Era l’occasione attesa dall’ardito corsaro. Alla prima tempesta si getta su due dei più ricchi che erano stati separati dal grosso della squadra, li saccheggia e fugge trionfante alla Tortue mettendosi sotto la protezione dei Fratelli della Costa.

 Grammont era, come fu detto, un gentiluomo francese, il quale aveva servito già parecchio tempo, in qualità di capitano, nella flotta di Luigi XIV.

 Non essendovi allora guerra in Europa, attraversa pure l’Atlantico ed avendo perduto il suo legno armato in corsa, di cui aveva per reale patente il comando, si unisce ai filibustieri della Tortue e con settecento uomini va ad assalire prima Maracaibo e quindi Torilha, perdendo molta gente con poco frutto.

 Un anno dopo con soli cent’ottanta uomini va a bombardare Porto Cavallo, città situata sulle coste di Cumana, distrugge i poderosi forti che la difendono, entra in città sostenendo, con soli quarantasette uomini, l’assalto della numerosa guarnigione spagnuola e si ritira a bordo delle sue navi conducendo centocinquanta prigionieri, fra cui il governatore e portando seco ingenti tesori. Disgraziatamente un uragano sorprende la sua squadra nella baia di Goave, gli caccia a fondo gran parte delle navi e perde ancora il frutto di quell’ardua impresa.

 Laurent, invece, era stato dapprima ai servigi della Spagna ed aveva fatta aspra guerra ai filibustieri, catturando molte delle loro navi. Vinto finalmente dai suoi nemici e costretto a decidersi fra la morte e la vita, a condizione, in questo caso, di unirsi ai suoi vincitori, da uomo pratico aveva accettato di buon grado l’offerta, diventando in breve tempo il terrore dei suoi antichi protettori ed alleati.

 Fra le tante meravigliose imprese tentate da costui in danno degli spagnuoli, narrasi anche la seguente.

 Trovatosi improvvisamente, un brutto mattino, fra due poderose fregate spagnuole, invece di arrendersi, tenta audacemente la battaglia. Coi suoi moschettieri abbatte quanti spagnuoli si mostrano sul ponte delle fregate, poi con una ben aggiustata cannonata fracassa l’albero maestro della nave ammiraglia e fugge indisturbato alla Tortue.

 Un’altra ancora. Presso Cartagena tre navi spagnuole, speditegli incontro dal governatore, vanno ad assalirlo. Laurent non si sgomenta ed impegna la lotta. Durante il combattimento alcune navi filibustiere, attirate da quel furioso rombare delle artiglierie, accorrono in suo aiuto.

 Le navi spagnuole, dubitando della vittoria, cercano di ritirarsi, ma Laurent non ne lascia loro il tempo e assalitele a sua volta le espugna tutte tre, dopo di aver fatto orribile strage degli equipaggi.

 Ecco quali erano gli uomini che nel 1683 si erano accordati col Corsaro Nero per tentare l’impresa più ardita fino allora ideata dai filibustieri della Tortue, cioè l’espugnazione ed il saccheggio della forte piazza di Vera-Cruz.

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 I tre filibustieri salirono sul cassero preceduti dal Corsaro Nero e seguiti da Morgan e dal mastro d’equipaggio.

 Erano tre tipi molto diversi, essendo di razze pure diverse. Grammont aveva l’aspetto distinto del gentiluomo e la corporatura slanciata del cavaliere di Ventimiglia; Laurent era invece un uomo di statura tozza, molto bruno, e molto muscoloso, vero tipo di marinaio; Wan Horn era di statura altissima, con spalle molto larghe, capelli biondi, occhi azzurri e carnagione rosea, il vero tipo della flemmatica e poderosa razza anglo-sassone.

 Vuotarono alcuni bicchieri colmi di squisito vino spagnuolo che Carmaux aveva empiti, poi Grammont, che era il più loquace, disse:

 «Ed ora, cavaliere, ci direte cosa avete fatto a Puerto Limon. Eravamo molto inquieti non vedendovi giungere alla baia.»

 «Ho dovuto sostenere l’attacco di due fregate e per poco non siamo rimasti bloccati nel porto, – rispose il Corsaro. «Come però vedete, la mia Folgore è uscita da quel pericolo quasi senza danni.»

 «Non mi sarei mai consolato se avessi veduto la vostra bella nave disalberata.E Wan Guld?»

 «È a Vera-Cruz, amici.»

 «Allora noi vi vendicheremo,» dissero Laurent e Wan Horn.

 «Grazie, amici. È forte la vostra squadra?»

 «Conta quindici navi con milleduecento uomini di equipaggio.»

 Una ruga si disegnò sulla fronte del Corsaro.

 «Non saremo in troppi,» disse. «So che a Vera-Cruz vi sono oltre tremila soldati e, a quel che si dice, tutti agguerriti.

 «Lo sappiamo,» disse Grammont.

 «Senza poi contare che dovremo espugnare il forte di S. Giovanni de Luz che è armato di sessanta cannoni e difeso da ottocento uomini.»

 «Noi stiamo per giuocare una carta tremenda,» disse Wan Horn, «Avete fatto il vostro piano?

 «Si tratta di sorprendere la piazza. Noi sbarcheremo i nostri equipaggi a poche miglia dal porto e ci accosteremo attraverso i boschi.»

 «Ed io sarò là a guidarvi alla vittoria.»

 «Cosa volete dire, cavaliere?» chiese Grammont.

 «Che io vi precederò e che vi aspetterò entro la piazza.»

 «Vi farete prendere…»

 «Al contrario, sarò io che prenderò qualcuno.»

 «Il duca?»

 «Sì, signor di Grammont. La Folgore che è più veloce dei vostri legni, mi condurrà fino alla costa, poi tornerà a raggiungervi onde prestarvi mano forte nel caso d’un attacco da parte della squadra del Messico. Non preoccupatevi di me: ci troveremo a Vera-Cruz.

 «E andrete solo?» chiesero i tre filibustieri.

 «Con pochissimi uomini, fidati e d’un coraggio a tutta prova.»

 «Coi tre fracassoni,» disse Wan Horn. «Conosco il valore di Carmaux, di Moko e di Wan Stiller.»

 «Sì, con essi,» rispose il Corsaro, sorridendo.

 «Cavaliere, volete un consiglio?» chiese Grammont. «Venite con noi e rinunciate ad una simile impresa che può ben chiamarsi una pazzia.»

 «È impossibile, signor di Grammont,» rispose il Corsaro con tono reciso. «Quell’uomo sarebbe capace di sfuggirmi come già fece a Maracaibo, ed a Gibraltar, quando io e l’Olonese assalimmo quelle due piazze.»

 «Ma badate che…»

 «Perdereste inutilmente il vostro tempo, signor di Grammont. Sono risoluto e non mi arrenderei a nessun consiglio.»

 «Dove potremo ritrovare la vostra nave? – chiese Wan Horn.

 «Incrocerà nel Golfo di Campèche dinanzi alle spiagge di Tabasco. E voi, quando partirete? Cercate di affrettarvi perchè temo che la mia avventura di Puerto Limon abbia già fatta molta strada.»

 «Salperemo fra una settimana,» disse Grammont.

 «Vi auguro buona fortuna.»

 «L’auguriamo noi a voi, cavaliere, – disse Wan Horn. «Dio vi tenga lontano dai cattivi incontri.»

 «Grazie, amici: ci rivedremo in Vera-Cruz.»

 Vuotarono alcuni bicchieri ancora, poi i tre filibustieri lasciarono il cassero dirigendosi verso la scala d’onore. Strinsero un’ultima volta la mano al Corsaro quindi scesero nella loro baleniera, prendendo rapidamente il largo. Quasi nel medesimo tempo la Folgore si rimetteva al vento, riprendendo la corsa verso il nord onde superare il capo Catoche che forma l’estrema punta del Yucatan.

 Il Corsaro era rimasto appoggiato alla murata di babordo e guardava la baleniera che stava per accostare la Marignana. Pareva assai pensieroso e preoccupato e non si era accorto che Yara le si era messa a fianco.

 «A che cosa pensa il mio signore? – chiese timidamente la giovane indiana.

 Udendo quella voce il Corsaro si scosse, poi, prendendo la giovane per un braccio, indicandole la baleniera, le disse:

 «Ecco i vendicatori di tuo padre.

 «Verranno anche essi a Vera-Cruz, mio signore?

 «Sì, Yara, e quegli uomini sono capaci di sterminare tutti gli spagnuoli di Vera-Cruz, come il duca ed i suoi sicari hanno sterminato la tua tribù. Guarda laggiù, attraverso quello stretto che s’inoltra entro terra: non vedi tutti quegli alberi e quelle antenne?»

 «Sì, cavaliere.»

 «È la squadra dei filibustieri della Tortue.»

 «Molto forte?…»

 «E molto tremenda, Yara.»

 «Dunque tornerete a corseggiare il mare anche dopo vendicati i vostri fratelli?» gli chiese bruscamente Morgan che gli si era avvicinato.

 «Chi sa,» rispose il Corsaro.

 Poi, dopo un breve silenzio, riprese:

 «Dopo vendicato, ho ancora una missione da compiere e non lascerò le acque del gran golfo senza averla condotta a termine. Chi mi ha detto che ella sia proprio morta?»

 «Anche se la fiamminga fosse viva, tutto sarebbe finito fra lei e voi, signore,» disse Morgan. «Fra voi ci sarebbe il cadavere di suo padre.

 «E quelli dei vostri fratelli,» disse Yara con un sordo singhiozzo.

 Il Corsaro guardò la giovane indiana che si era ripiegata su sè stessa come se cercasse di nascondere il volto.

 «Tu piangi, Yara,» le disse, con voce dolce. «Non ti piace ch’io parli della duchessa fiamminga.»

 «No, mio signore,» rispose la giovane con un filo di voce.

 Il Corsaro si curvò su di lei, dicendole con voce triste:

 L’indomani la Folgore, dopo di aver costeggiato le spiagge orientali del Yucatan, e d’aver attraversata felicemente l’isola di Cozumel, giungeva al capo Catoche. Essendovi molte probabilità d’incontrare delle navi spagnuole in quei paraggi, in causa della vicina isola di Cuba, la Folgore si tenne in mezzo al canale di Yucatan, per poter meglio prendere il largo in caso di pericolo. Premeva poi soprattutto al Corsaro di non farsi vedere in quelle acque, onde non si sospettasse della vera rotta della sua nave e qualcuno corresse ad avvertire le città marittime del Messico e del Campèche e le mettesse in guardia.

 La traversata del canale di Yucatan si compì fortunatamente senza cattivi incontri e la notte successiva la Folgore veleggiava lungo le coste settentrionali della grande penisola, diretta verso il Golfo di Campèche o di Campeggio che dir si voglia.

 Già il Corsaro e Morgan credevano di poter giungere inosservati sulle spiagge del Messico, quando il quarto giorno dopo il passaggio dello stretto, all’altezza dell’ampia laguna di Termino, s’accorsero della presenza d’una vela.

 «È una nave che viene probabilmente da Cuba,» aveva detto Morgan al Corsaro Nero.

 «O che sia qualche legno incaricato di sorvegliare le nostre mosse?» aveva risposto il signor di Ventimiglia che era diventato pensieroso.

 «Che siamo già stati segnalati?»

 «Voi sapete che gli spagnuoli si tengono costantemente in guardia per evitare di farsi sorprendere dai filibustieri della Tortue. Volete che proviamo se quella nave ha realmente l’intenzione di spiarci?»

 «Cambiando rotta?»

 «Sì e rimontando al nord, ossia fingendo di riprendere il largo.»

 «Proviamo, cavaliere. Se quella nave riesce ad indovinare la nostra direzione, i nostri compagni troveranno Vera-Cruz in armi e la guarnigione triplicata.»

 «Fra due ore sarà notte e noi faremo rotta falsa, signor Morgan. Intanto andiamo a spiare le mosse di quel legno»

 Lasciarono il cassero e si issarono fino alla coffa dell’albero maestro per abbracciare maggior orizzonte. Il Corsaro puntò il cannocchiale ed osservò, con estrema attenzione, la vela segnalata.

 «Signor Morgan,» disse, alcuni istanti dopo. «Siamo molto lontani da quello spione, però io sono certo di non ingannarmi.»

 «Cosa volete dire, cavaliere?»

 «Che la nave che ci segue è tale da poterci creare dei gravi fastidii.»

 «Un vascello grosso dunque?»

 «Forse una fregata.»

 Ridiscesero in coperta e diedero ordine al pilota di cambiare rotta, mettendo la prora verso il nord come per far credere che puntassero verso la Luigiana.

 La Folgore virò lestamente di bordo ed essendo anzi il vento più favorevole per quella nuova direzione, s’allontanò velocemente voltando la poppa alla costa yucatanese.

 Il Corsaro e Morgan si erano rimessi in vedetta sul cassero, mandando alcuni gabbieri sulle crocette del trinchetto e della maestra, muniti di ottimi cannocchiali. La vela segnalata, contrariamente a tutte le previsioni, aveva continuata la sua corsa verso il Golfo di Campèche, nondimeno non si poteva prestare cieca fede.

 La notte, scesa qualche ora dopo, mise fine alle investigazioni del Corsaro e di Morgan, però nè l’uno nè l’altro abbandonarono la coperta temendo qualche brutta sorpresa, anzi fecero raddoppiare gli uomini di guardia e caricare i cannoni.

 Era già suonata la mezzanotte, quando fra la profonda oscurità che regnava sul mare fu segnalato un punto luminoso, il quale spiccava nettamente sulla linea dell’orizzonte. Non poteva essere una stella, essendo il cielo coperto da una fitta nuvolaglia alzatasi poco prima del tramonto; doveva trattarsi d’un fanale appartenente ad una nave.

 «Siamo seguiti,» aveva detto Morgan al Corsaro Nero, il quale, curvo sulla murata poppiera, scrutava attentamente l’orizzonte.

 «Sì,» disse questi. «Ormai non ho più alcun dubbio; noi, signor Morgan, siamo spiati e fors’anche inseguiti.

 «Ciò è grave, capitano. Quella nave minaccia di compromettere la nostra spedizione. Che fare, cavaliere?»

 Il Corsaro Nero era rimasto silenzioso. Appoggiato alla murata, continuava a fissare il fanale il quale seguiva esattamente la rotta della Folgore.

 «Noi siamo uomini che non abbiamo mai contati i nostri nemici. Prepariamoci a mostrare a quella nave la nostra bandiera al balenar delle nostre artiglierie.»

 «E se ci sfuggisse? Pensate, signore, che se riesce a toccare le coste del Messico noi dovremo rinunciare all’impresa audace.»

 «La mia nave è troppo rapida per non raggiungere un veliero spagnuolo. Fate calare in mare le sei baleniere e scegliete ottanta dei più coraggiosi uomini del nostro equipaggio.

 «Volete assalire quella fregata colle scialuppe? – chiese Morgan, con stupore.

 «Sì, ma quando noi avremo disalberata quella nave. Sbrigatevi signor Morgan. Dobbiamo approfittare della notte per sorprendere gli spagnuoli e prenderli fra due fuochi.

 A voi le baleniere; a me la Folgore. »

 «I vostri ordini?»

 «Ve li darò all’ultimo momento. Andate.»

 Pochi minuti dopo la Folgore si metteva in panna mentre le sei baleniere venivano calate in acqua. Ottanta uomini, scelti da Morgan fra i più valorosi, s’erano affrettati a prendere posto fra quei piccoli e veloci galleggianti, portando seco fucili, sciabole d’arrembaggio e pistole. Il Corsaro Nero, durante quei preparativi non aveva abbandonata la murata poppiera; guardava sempre la nave nemica la quale si accostava velocemente, seguendo, con una precisione incredibile, la rotta della Folgore.

 Quando tutti gli uomini furono imbarcati, Morgan gli si accostò:

 «Attendo i vostri ordini, signore. –

 Il Corsaro Nero si volse lentamente, poi additandogli il punto luminoso, disse:

 «Lo vedete?»

 «Sì, cavaliere.»

 «Io rimarrò qui ed illuminerò la nave; voi vi porterete al largo tenendovi nascosto. Quando vedrete quella nave impegnata con me, vi accosterete tacitamente colle scialuppe e darete un fulmineo abbordaggio.»

 «Impresa arditissima.»

 «Ma di riuscita sicura, signor Morgan.»

 «Contate su di me, capitano.»

 «Andate e che Dio vi assista.»

 «Grazie, cavaliere.»

 Subito dopo le sei baleniere si allontanavano a forza di remi, scomparendo fra le tenebre.

 Il Corsaro stava per salire sul ponte quando si vide comparire dinanzi un’ombra.

 «Yara,» disse, «Cosa fai qui?…»

 «Mio signore, cosa succede?» chiese la giovane indiana.

 «Lo vedi: siamo inseguiti.»

 «Dagli spagnuoli?»

 «Sì, Yara.»

 «E voi?»

 «Mi preparo a difendermi. Fra pochi minuti qui tuoneranno le artiglierie e si combatterà fieramente. Ritorna nella tua cabina Yara; qui regna la morte.»

 «Uomini del mare!…» tuonò poscia. «Accendete i fanali e preparatevi a fulminare la nave che c’insegue!»

 La notte oscurissima permetteva di distinguere un punto luminoso qualsiasi che scintillasse sulla tenebrosa superficie del mare.

 Nell’ampio Golfo di Campèche regnava una calma quasi assoluta. Solamente qualche rarissima onda veniva ad infrangersi, con un sordo e prolungato fragore, contro i fianchi della Folgore rimasta quasi immobile sui flutti nerissimi.

 Anche il vento era scemato e soffiava debolmente, con certi strani gemiti, fra i mille cordami dell’attrezzatura.

 I quaranta uomini rimasti a bordo della nave corsara avevano raggiunti i loro posti di combattimento. Nelle mani degli artiglieri fiammeggiavano le micce, spandendo all’intorno una vaga luce.

 Il Corsaro Nero, ritto sul cassero, spiccava stranamente alla luce dei due grandi fanali accesi a poppa, uno a babordo ed uno a tribordo. Tutto vestito di nero come era, con quella lunga piuma nera che gli scendeva dietro l’ampio feltro, aveva un aspetto pauroso. Pareva il genio del mare sorto dagli abissi del liquido elemento per scatenare una tremenda tempesta. Gli uomini della manovra, coi bracci delle vele in mano, lo osservavano, pronti ad orientare le vele e virare di bordo, mentre gli artiglieri dei pezzi da caccia attendevano un suo comando per rovesciare sulla nave avversaria uragani di ferro e di mitraglia.

 «Carmaux,» chiese ad un tratto il Corsaro, volgendosi verso il fido marinaio che gli si era collocato a fianco assieme a Wan Stiller. «Vedi le scialuppe?»

 «Sì, capitano,» rispose l’interpellato. «Navigano verso quel punto luminoso, però fra qualche istante non saranno più visibili.»

 «A quale distanza credi che sia la nave che ci dà la caccia?»

 «A milleduecento passi, capitano.»

 «Lasciamola accostare ancora. Saremo più sicuri del nostro tiro.»

 Si alzò quanto era lungo e, volgendosi verso i suoi uomini, gridò: «Pronti a rimettervi al vento! Si assale!»

 La Folgore, che fino allora era rimasta quasi immobile, virò quasi sul posto e s’avanzò incontro alla nave avversaria correndo piccole bordate, avendo il vento sfavorevole.

 Il Corsaro Nero teneva sempre il timone e guardava la nave nemica la quale s’accostava di già con una certa precauzione, avendo ormai scorti i fanali della Folgore.

 La distanza spariva rapidamente. Alle una la nave spagnuola non si trovava più che a trecento passi e manovrava in modo da passare sul tribordo della nave filibustiera.

 Ad un tratto una voce echeggiò al largo, portata dal vento che soffiava dal sud.

 «Chi vive?»

 «Che nessuno risponda!» comandò il Corsaro.

 Quindi imboccando il portavoce gridò con quanta forza aveva nei polmoni:»

 « España!»

 «Fermatevi!»

 «Chi siete voi?»

 «Fregata spagnuola!»

 «Accosta!…» gridò il Corsaro.

 Gli artiglieri dei due pezzi da caccia s’erano voltati verso il Corsaro, interrogandolo collo sguardo.

 «Aspettiamo,» rispose questi.

 Guardò al largo, ma l’oscurità era tale da non permettere più di distinguere le sei baleniere.

 «Possiamo cominciare,» mormorò. «Al momento opportuno Morgan farà la sua comparsa. Ohè!… Fuoco!…»

 Successe un breve silenzio, rotto solamente dal sibilare del venticello notturno e dal cupo mormorio dei flutti rompentisi contro la prora, poi due lampi illuminarono bruscamente il cassero della Folgore, seguiti da due formidabili detonazioni.

 Un assordante clamore si alzò a bordo della nave nemica a quell’inaspettato saluto.

 «Tradimento!… Tradimento!…» urlavano gli spagnuoli.

 Il Corsaro Nero si era curvato sulla murata sperando di poter distinguere ciò che succedeva a bordo della fregata, ma l’oscurità era troppo fitta per permetterglielo.

 «Vedremo più tardi se le nostre palle hanno causato dei danni, – mormorò.

 Riafferrò la ribolla del timone, gridando:

 «In caccia!»

 La Folgore aveva virato di bordo presentando la prora alla nave nemica. Essa non intendeva di fuggire, bensì d’abbordare per poter meglio soccorrere le baleniere.

 Aveva appena ripresa la corsa, quando la fregata avvampò con un rimbombo orrendo. Alcune palle sfondarono la murata poppiera, mentre altre passavano sibilando raucamente al di sopra della tolda, forando vele e recidendo non pochi cavi.

 Qualcuna si sprofondò nella carena, sopra il livello d’acqua fortunatamente.

 «Che musica!» esclamò Carmaux, che per poco non era stato spezzato in due da quella pioggia di proiettili. «La spagnuola ci darà da fare!»

 In quel momento di udì il Corsaro Nero a mandare un grido di collera.

 «Ah!… Cerca di sfuggirci!…»

 La fregata, dopo quella prima scarica, invece di aspettare la Folgore, aveva virato di bordo mettendo la prora verso la costa di Campèche.

 Essa rifiutava il combattimento e cercava di salvarsi in qualche porto del Messico. Probabilmente non fuggiva per paura, bensì per correre ad avvertire le guarnigioni delle città costiere della presenza d’una nave corsara e metterle in guardia.

 «Bisogna impedire che ci sfugga o dovremo abbandonare l’impresa di Vera-Cruz,» aveva detto il Corsaro.

 Poi aveva gridato:

 «Pronti per la manovra! Noi le taglieremo il passo!»

 La Folgore con due bordate si era portata al largo, appoggiando verso l’ovest, in modo da frapporsi fra la fregata e la costa americana.

 Quella manovra era stata compiuta con tale avvedutezza e rapidità che quando la nave spagnuola cercò di tornare al vento, vide sorgersi dinanzi la prora acuta della Folgore.

 «Alto là!… Qui non si passa!» gridò Carmaux.

 La fregata, vedendosi chiuso il passo, si era arrestata come indecisa sul da farsi, poi tutto d’un tratto si coprì di fumo e di fiamme. Gli spagnuoli, comprendendo ormai di non poter lottare in celerità colla nave filibustiera, avevano accettata risolutamente la lotta colla speranza di guadagnare una splendida vittoria o di forzare il passo. La loro superiorità numerica, le loro artiglierie più numerose di quelle della nave avversaria e la mole enorme del loro vascello potevano pesare molto sull’esito della battaglia. Il Corsaro Nero però non erasi per questo sgomentato. Egli contava molto sull’abilità dei suoi marinai, artiglierie fucilieri, a nessuno secondi e sopratutto sulle baleniere guidate da Morgan.

 «Fuoco a volontà!» aveva gridato. «Noi abborderemo la spagnuola!»

 Le due navi tuonavano con pari vigore, alternando scariche di mitraglia e granate.

 La fregata, che portava un’artiglieria due volte più numerosa di quella della Folgore, aveva buon giuoco in quel tremendo duello e batteva furiosamente il ponte della nave avversaria e la velatura.

 Tuttavia la Folgore non retrocedeva, anzi continuava le sue bordate per accostarsi alla nave spagnuola e gettarsi addosso al momento opportuno.

 La voce del Corsaro Nero echeggiava senza posa, dominando talvolta il rimbombo delle artiglierie ed il crepitìo della moschetteria.

 «Tenete fermo!… Fuoco sul ponte!… Mirate l’alberatura!»

 I suoi uomini, nonostante le tremende scariche di mitraglia e l’incessante scoppio delle granate, non si perdevano d’animo e tutti gareggiavano per infliggere alla fregata i maggiori danni.

 I migliori archibugieri, inerpicatisi sulle coffe e sulle crocette, tempestavano il ponte della spagnuola con quella precisione matematica che ha reso celebri quei fieri scorridori del mare. Le loro palle abbattevano sempre, facendo specialmente strage fra gli uomini incaricati del servizio dei pezzi del cassero.

 La battaglia durava da un quarto d’ora, con gravi danni da una parte e dall’altra, quando tutto d’un tratto si udì al largo un clamore assordante.

 «Avanti uomini del mare!» aveva urlato una voce.

 Il Corsaro Nero aveva fatto un balzo innanzi, esclamando:

 «Morgan!»

 Abbandonò la ribolla del timone a Carmaux e si slanciò verso la murata. Fra il lampeggiare delle artiglierie nemiche aveva scorto confusamente delle scialuppe a pochi passi dalla fregata.

 «Coraggio, uomini del mare!» tuonò. «I nostri uomini abbordano la spagnuola!»

 In quel momento urla terribili scoppiano a bordo della nave nemica mentre la moschetteria diventa assordante. Dei lampi s’alzano fra i neri flutti e delle forme umane si agitano al disotto delle batterie fiammeggianti.

 «Fuoco di bordata!» urlò il Corsaro. «Poi avanti per l’abbordaggio!»

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