L’odio di Yara

Quando l’alba sorse ed ebbe la certezza che nessuna nave spagnuola incrociava al largo delle coste del Nicaragua, Morgan lasciò il ponte di comando per scendere nella cabina del capitano.

 Non dubitava che il Corsaro non sarebbe rimasto a lungo in quello stato, sapendo per prova l’eccezionale fortezza d’animo di quell’uomo, nondimeno aveva provato dapprima dei seri timori per le ferite che aveva ricevute. Quando entrò nella graziosa cabina, il Corsaro riposava tranquillo, sotto la guardia della giovane indiana e di Carmaux. La respirazione del ferito era calma e regolare, però di quando in quando un trasalimento nervoso scuoteva quel corpo e dalle labbra socchiuse, sfuggiva ad intervalli, un nome:

 «Honorata!…»

 «Sogna,» disse Carmaux, volgendosi verso Morgan che s’era appressato al letto senza far rumore.

 «Sì, crede di veder passare ancora la scialuppa,» disse il luogotenente. «Certamente questa notte delirava.»

 «Non avete creduto all’apparizione, signor luogotenente?» chiese Carmaux.

 «E tu?» domandò Morgan, con una punta d’ironia.

 «A me parve pure d’aver veduta una scialuppa vagare fra i flutti fiammeggianti.»

 «Follie, illusioni prodotte da un terrore superstizioso.»

 «Eppure signore, io giurerei d’aver veduta perfino una forma umana entro quella scialuppa,» disse Carmaux, con incrollabile convinzione.

 «Tu ed i tuoi camerati avete scambiato qualche cetaceo per una scialuppa.»

 «Ed il capitano?»

 «Tu sai che dopo quella notte terribile crede di veder sovente la fanciulla fiamminga errare sulle acque del gran golfo. Suvvia, lasciamo i morti ed occupiamoci dei vivi.»

 «Anche voi credete che sia morta, signore?»

 «Chi ne ha più udito parlare in questi quattro anni?»

 «Eppure pare che la fanciulla non sia morta, perchè io ho udito narrare delle cose strane.»

 Si curvò poi sul letto e aprì la camicia trinata, di finissima battista, che il Corsaro indossava. Sotto vide due fasciature ancora macchiate di sangue vivissimo.

 «Si sono riaperte le ferite?» chiese.

 «Sì, luogotenente,» rispose Carmaux.

 «Bisogna che siano completamente rimarginate prima del nostro arrivo a Vera-Cruz.»

 «Fra dieci giorni il capitano sarà in piedi, così ha detto il medico.»

 «Sarei lietissimo se Wan Horn, Laurent e Grammont lo rivedessero guarito prima dell’incontro.»

 «Dove andremo ad attendere la squadra della Tortue, se è lecito saperlo?» chiese Carmaux.

 «Nella Baia dell’Assunzione,» rispose Morgan.

 In quel momento il Corsaro aprì gli occhi, chiedendo con voce un po’ fioca:

 «Chi parla della Baia dell’Assunzione?»

 «Sono io, cavaliere,» rispose Morgan.

 «Ah! Voi?»

 Si alzò lentamente, respingendo Carmaux che voleva aiutarlo e girò all’intorno uno sguardo quasi stupito.

 Un raggio di sole, ripercosso dall’acqua, entrava pel largo finestrone aperto a poppa, rifrangendosi nei grandi specchi di Venezia che adornavano le pareti e sulla lampada d’argento dorato.

 Il Corsaro lo seguì collo sguardo per alcuni istanti, mormorando:

 «Era tempo che le tenebre se ne fuggissero.»

 Aspirò a pieni polmoni l’aria marina, satura di salsedine che entrava per le finestre aperte, poi volgendosi verso Morgan gli chiese:

 «Dove siamo?»

 «Fra poche ore saremo di fronte a San Juan, signore.»

 «Montiamo verso le coste del Nicaragua?»

 «Come state ora?»

 «Bah! Fra qualche settimana guiderò la mia nave.»

 «Sicchè troveremo il duca a Vera-Cruz?»

 «Sì,» rispose il Corsaro Nero, mentre un lampo terribile gli balenava negli occhi.

 «Ne avete la certezza?»

 «Me lo ha confessato don Pablo de Ribeira.»

 «Questa volta non ci sfuggirà.»

 «Oh! No, vivaddio!» esclamò il Corsaro con accento feroce. «Noi prenderemo le nostre precauzioni onde non ripeta il brutto tiro giocatoci a Gibraltar. D’altronde non abbiamo l’intenzione di assaltare Vera-Cruz, bensì di entrarvi per sorpresa. Ci siamo già intesi su ciò con Wan Horn, Laurent e Grammont.»

 «Faremo dei guadagni enormi, cavaliere. Vera-Cruz deve contenere ricchezze straordinarie, essendo il porto più importante del Messico.»

 «Di là che partono i più numerosi galeoni carichi d’oro e di argento,» disse il Corsaro. «A me però basterà la vendetta e lascerò a voi ed al mio equipaggio la parte che mi spetterà nel saccheggio.»

 «Voi possedete in Italia abbastanza terre e castella per farne a meno,» disse Morgan sorridendo. «Voi ed i vostri fratelli non siete mai stati ladri di mare come l’Olonese, Michele il Basco, lo Sterminatore , e tutti gli altri capi della filibusteria.»

 «Noi siamo venuti in America per uccidere il duca e non per sete di ricchezze.»

 «Lo so, cavaliere. Avete da darmi nessun ordine?»

 «Tenetevi al largo dalle coste di Nicaragua e, appena avvistato il capo Gracias de Dios, tagliate diritto verso la Baia dell’Assunzione, evitando possibilmente il Golfo d’Honduras. Preferisco che nessuna nave spagnuola ci veda.»

 «Sta bene, signore,» rispose Morgan, lasciando la cabina e risalendo in coperta.

 Partito il luogotenente, il Corsaro Nero era rimasto per alcuni istanti silenzioso, come se fosse immerso in profondi pensieri. Ad un tratto però si scosse ed i suoi sguardi si fissarono sulla giovane indiana, la quale durante quel colloquio, era rimasta accoccolata su un tappeto, a breve distanza dal letto, senza mai staccare gli occhi dal Corsaro e senza aver pronunciata una sola parola. Da quando però aveva udito parlare del duca, il suo viso così bello e ordinariamente così dolce aveva assunto un aspetto così selvaggio, così feroce da far paura. I suoi grandi occhi limpidi erano diventati tetri e vi si vedeva balenare dentro una cupa fiamma, mentre la sua fronte si era burrascosamente increspata.

 Il Corsaro Nero, avvedutosi finalmente di quel brusco cambiamento, aveva guardato Yara con un misto di sorpresa e d’inquietudine.

 «Cos’hai, fanciulla?» le chiese quando fu uscito anche Carmaux. «Il tuo bel viso in questo momento ha una terribile espressione.

 «A cosa pensi?»

 «A mio padre ed ai miei fratelli.»

 Il Corsaro Nero si battè la fronte colla palma della destra.

 «Ah!… Sì… mi ricordo,» disse. «Tu un giorno mi hai detto: Mi vendicherai, mio signore?».

 «E voi mi avete risposto: Ti vendicherò».

 «Te lo promisi infatti.»

 «Io speravo di potervi incontrare in qualche angolo del Golfo del Messico, cavaliere, e non sono vissuta che per questa speranza.

 Il Corsaro Nero la guardò con stupore.

 «Tu mi attendevi?» le chiese.

 «Sì, mio signore»

 «Mi avevi veduto in qualche luogo prima che io sbarcassi a Puerto Limon?»

 «No, avevo solamente udito parlare di voi molte volte a Maracaibo, a Vera-Cruz ed a Puerto Limon e non ignoravo lo scopo delle vostre scorrerie attraverso il Golfo del Messico.»

 «Tu!…»

 «Sì, mio signore. Io sapevo che non era la sete dell’oro che vi aveva fatto venire in America dai lontani paesi ove sorge il sole, bensì la vendetta.»

 «Da chi lo avevi saputo?»

 «Dal mio padrone.»

 «Da don Pablo de Ribeira?»

 «No, dal suo signore.»

 «Dal duca di Wan Guld!» esclamò il Corsaro, al colmo dello stupore.

 «Sì, cavaliere,» rispose la giovane indiana, mentre le sue dita si stringevano attorno alla sua sottanina come se avesse voluto lacerarla.

 «Tu dunque sai?»

 «Che il duca ha assassinato nelle Fiandre vostro fratello maggiore e che poi ha appiccato i due vostri fratelli minori, il Corsaro Rosso ed il Verde. So pure che voi, senza saperlo, vi eravate innamorato della figlia dell’uccisore dei vostri fratelli.»

 «Taci, Yara, – mormorò il Corsaro, mentre si portava ambe le mani al petto come se avesse voluto calmare i palpiti precipitati del cuore.

 «E so ancora,» proseguì Yara, «che dopo l’espugnazione di Gibraltar, da voi eseguita per vendicare i vostri fratelli, quando tornaste a bordo della vostra nave ed apprendeste, da un prigioniero spagnuolo, che la donna da voi amata non era una principessa fiamminga, bensì la figlia dell’uccisore dei vostri fratelli, invece di cacciarle nel cuore la vostra spada, come ne avevate il diritto, l’abbandonaste sul mare tempestoso, in una scialuppa, raccomandandola alla misericordia di Dio.»

 «Tu sai dunque tutto?»

 «Tutto, cavaliere.»

 «È viva Honorata? Dimmelo Yara, è ancora viva?» gridò il Corsaro.

 «Ah! Voi l’amate ancora!…» esclamò la giovane indiana, con un singhiozzo.

 «Sì,» disse il Corsaro. «Il primo amore non muore mai e Honorata Wan Guld è stata la prima donna che io ho amata sulla terra.»

 Yara si era lasciata cadere su di una sedia tenendo il volto nascosto fra le mani. Attraverso le dita si vedevano scorrere delle lagrime, ed il seno le si sollevava sotto i singhiozzi.

 «Anch’io t’amavo prima ancora di vederti, mio signore» la si udì a mormorare con voce rotta.

 Pareva che il Corsaro non avesse nemmeno udita quella confessione inaspettata. I suoi sguardi si erano fissati sul mare che si scorgeva attraverso l’ampia finestra aperta sulla poppa. Si sarebbe detto che egli cercava ancora di discernere, sull’azzurra linea dell’orizzonte, la scialuppa che credeva aver veduta durante la notte.

 Ad un tratto udì i singhiozzi della giovane indiana.

 «Tu piangi,» disse. «Pensi ancora a tuo padre ed ai tuoi fratelli, è vero? Forse tu sospiri le grandi selve del tuo paese.»

 Yara si terse con gesto nervoso le lagrime che le solcavano le gote, poi disse come parlando fra sè:

 «Che importa?… La vendetta ci unisce.»

 «Anche tu sogni delle vendette,» disse il Corsaro. «Quanti odii si sono accumulati sulle teste di questi conquistatori dell’America!…»

 «La mia è pari alla vostra, cavaliere.»

 «Così spietata?»

 «Sì, mio signore.»

 «Chi ti hanno ucciso?»

 «Mio padre ed i miei fratelli.»

 «E sono stati gli spagnuoli?»

 «No, l’uomo che ha pure distrutto i vostri fratelli.»

 Il Corsaro Nero aveva alzato vivamente la testa, guardando la giovane indiana con incredulità.

 «L’istesso uomo!» esclamò poi.

 «Sì, mio signore.»

 «Il duca?»

 «Lui, cavaliere.»

 «Morte dell’inferno!… Che quell’uomo sia stato fatale a tutti?…»

 «È un essere mostruoso, mio signore.

 «Ma io l’ucciderò!» gridò il Corsaro. «Oggi egli è possente, ha uomini e navi a sua disposizione, gode la protezione della Corte di Spagna, eppure un giorno quell’uomo cadrà sotto la punta della mia spada.»

 «Me lo giuri?»

 «Eravamo tre fratelli, ricchi e potenti nel nostro paese, eppure abbiamo dato un addio alle nostre terre, alle nostre castella, ai nostri vassalli, alla nostra patria per venire in questi mari ed in questi paesi a noi sconosciuti a raggiungere quell’uomo fatale. Ed ora parla. Cosa ha fatto a te quell’uomo?

 Yara accostò la sedia al letto del Corsaro e, appoggiando i gomiti sulle coltri, disse con voce grave:

 «I nostri padri non avevano ancora conosciuti gli uomini bianchi giunti dai lontani paesi d’oltremare, a bordo delle loro case galleggianti. Il vento del nord aveva solamente portato, fino alle selve del Darien, l’eco lontana di stragi tremende, commesse dagli uomini bianchi nel paese degli Aztechi, ma nessuno dei miei antenati aveva mirato in viso quegli esseri straordinari.»

 «Sì, le stragi commesse da Cortez,» mormorò il Corsaro, come parlando fra sè.

 «Un impero possente, governato da un uomo che si chiamava Montezuma, era stato distrutto da un pugno di quegli uomini crudeli, e degl’indiani, venuti dai paesi del settentrione, avevano recato ai miei antenati la stupefacente novella. Nessuno aveva prestato fede alle parole di quei lontani compatriotti, poichè nessuna di quelle grandi case galleggianti era mai comparsa sulle sponde del Darien. L’incredulità dei nostri padri doveva essere fatale ad un intero popolo.

 La mia tribù era numerosa come le foglie degli alberi d’una intera foresta e viveva felice in mezzo ai grandi boschi che costeggiano l’ampio Golfo del Darien.

 La pesca, la caccia e le frutta delle selve bastavano a tutti e la guerra era quasi sconosciuta, perchè l’uomo bianco non era ancora comparso. Mio padre era il cacico della tribù ed era amato e stimato ed i miei quattro fratelli non lo erano meno. Un triste giorno quella felicità che durava da secoli fu bruscamente spezzata e per sempre. Era comparso l’uomo bianco.»

 «E quell’uomo si chiamava?»

 «Era il duca Wan Guld,» disse Yara. «Una di quelle grandi case galleggianti, spinta da una tremenda bufera, s’era spezzata sulle nostre spiagge. Tutti coloro che la montavano erano stati ingoiati dalle onde del mare tempestoso, uno solo eccettuato. Quel superstite era stato accolto da mio padre come se fosse un fratello, quantunque la sua pelle fosse bianca e l’eco delle stragi commesse dagli spagnuoli nei paesi degli Aztechi non si fosse ancora spenta. Ah! sarebbe stato meglio che l’avesse ricacciato fra le onde o che gli avesse spezzato il cranio con un tremendo colpo di scure. Egli aveva raccolto un rettile immondo che doveva più tardi mordergli il cuore.»

 Yara si era nuovamente interrotta. Delle lagrime brucianti le scendevano sulle gote, mentre dei sordi singhiozzi le laceravano il petto.

 «Prosegui, fanciulla, Le donne della tua razza sono forti.»

 «È vero, mio signore, ma certe immani sciagure spezzano il cuore.

 Il duca era stato ricevuto, come vi dissi, pari ad un fratello. Mio padre, che giammai aveva veduto uomini dalla pelle bianca, aveva creduto quel naufrago un essere superiore, come una specie di divinità del mare, tanto più che i nostri stregoni avevano predetto che un giorno, dai lontani paesi ove il sole si leva, sarebbero venuti degli uomini cari al Grande Spirito.

 Ah! La triste profezia doveva purtroppo avverarsi, ma quegli uomini, anzichè protetti dal Grande Spirito, erano figli del regno delle tenebre e creati dal cattivo genio, dallo Spirito del male.

 L’uomo bianco, gettato dal mare sulle nostre spiagge, ebbe onori e favori e divenne l’amico di mio padre, degli stregoni e dei più celebrati guerrieri del mio paese e guadagnò così bene la loro fiducia da strappare a quegli ingenui il segreto dell’oro.»

 «Il tuo paese era ricco d’oro?» chiese il Corsaro.

 «Sì aveva delle miniere ricchissime che da secoli venivano lavorate dai nostri schiavi per pagare il tributo annuale al Re del Darien. Tesori immensi erano stati accumulati in certe caverne nascoste fra le montagne e che i soli cacichi conoscevano.

 Un giorno mio padre, che non diffidava dell’uomo bianco, lo condusse in quelle caverne e gli mostrò quelle ricchezze favolose e quell’infame, dimenticando i favori ricevuti, da quel giorno non sognò che di tradire il nostro popolo per impadronirsi di quelle montagne d’oro.

 Si finse ammalato ed esternò il desiderio di ritornare per qualche tempo al suo paese.

 Egli aveva detto a mio padre che sarebbe morto se non avesse riveduto, sia pure per breve tempo, gli uomini della sua razza. Fu creduto ed un mattino partì in una delle nostre canoe, accompagnato da quattro indiani, promettendo di tornare presto.

 Egli mantenne la parola. Due mesi dopo una grande casa galleggiante approdava alle nostre spiagge e ne discendeva l’uomo bianco assieme a parecchi marinai carichi di barili.

 "Prendi", disse a mio padre, additandogli i barili. "Questo è il regalo che faccio al tuo popolo."

 Fece sfondare quei recipienti e chiamò a raccolta la tribù, offrendo a tutti da bere. Non era vino quello che aveva recato bensì l’acqua di fuoco.([1])

 I nostri sudditi mai avevano assaggiato un simile liquore prima dell’arrivo degli spagnuoli. Come puoi immaginarti, mio signore, si gettarono avidamente su quei recipienti che davano loro l’ebbrezza.

 L’acqua di fuoconon scemava. Dalla casa galleggiante ne giungeva sempre, con una prodigalità folle ed il popolo, ignaro dell’orribile tradimento, beveva ancora, beveva sempre. Soli mio padre ed i miei fratelli, insospettiti, non avevano voluto assaggiarne non ostante le insistenze dell’uomo bianco.

 Quando giunse la sera tutta la mia tribù era ebbra. Guerrieri, donne e fanciulli danzavano all’impazzata o cadevano al suolo come fulminati e l’uomo bianco ed i suoi marinai ridevano, ridevano, mentre mio padre piangeva.

 A un tratto verso il mare udimmo delle detonazioni tremende. Erano i cannoni della nave che tuonavano contro il villaggio, spargendo dovunque il terrore e la morte.

 Mi pare di vedere ancora gli uomini bianchi avanzarsi di corsa attraverso le capanne, macellando quel popolo incapace di difendersi.

 Ah!… l’orrenda notte!… Vivessi mille anni non la scorderò mai, mai, mio signore!…»

 «Miserabili!» esclamò il Corsaro, pallido d’ira. «Continua, Yara.»

 «Mio padre si era trincerato fra le capanne di sua proprietà assieme ai miei tre fratelli e ad alcuni guerrieri che non s’erano lasciati adescare dall’ acqua di fuocodegli uomini bianchi. Quei pochi prodi avevano cercato di opporre resistenza al nemico, difendendosi col furore che infonde la disperazione.

 Alle intimazioni di resa del duca, essi rispondevano con nuvoli di frecce ed a colpi di lancia e di mazza. Gli spagnuoli per vincerli avevano incendiate le capanne circostanti.

 Vedo ancora le lingue di fuoco volteggiare in alto, lasciando cadere sulle abitazioni di mio padre nembi di scintille.

 Ad un tratto anche le nostre case fiammeggiavano. Le travi cadono e le pareti ardono fra turbini di fumo, ma mio padre ed i miei fratelli lottano ancora con estremo furore, mentre gli spagnuoli scaricano le loro armi in mezzo a quelle fornaci ardenti.

 Mi ricordo d’aver udito mio padre a gridare:

 "Avanti, miei guerrieri!… Uccidiamo quel traditore!…".

 Poi non vidi, nè udii più nulla. Il fumo mi aveva fatta cadere al suolo quasi asfissiata.

 Quando tornai in me, del villaggio non rimaneva in piedi una sola capanna e di tutti i suoi abitanti non vivevo che io sola. Mio padre ed i miei fratelli erano periti fra le fiamme sotto gli occhi del duca infame.

 Più tardi però seppi che il traditore non aveva ricavato che magro frutto da quell’orrendo macello, poichè alcuni guerrieri di una tribù vicina, accortisi delle sue intenzioni, avevano avuto il tempo di deviare un fiume inondando le caverne contenenti i tesori.

 «E chi ti aveva salvata?» chiese il Corsaro.

 «Un soldato spagnuolo. Mosso a compassione della mia giovane età, si era slanciato fra le fiamme, strappandomi ad una morte certa. Fui condotta, come schiava, a Vera-Cruz, poi a Maracaibo, poi fui donata a don Pablo de Ribeira. Il duca si era accorto del tremendo odio che io covava contro di lui e per tema che un giorno potessi vendicarmi, quel vile si era affrettato ad allontanarmi. Ma l’odio non era ancora spento nel mio cuore,» proseguì la giovane indiana, con accento selvaggio. «Io non vivo che per vendicare mio padre, i miei fratelli e la mia tribù! M’intendi, mio signore?»

 «T’intendo, Yara.»

 «E tu mi aiuterai a vendicarmi, è vero, mio signore?»

 «Ti vendicherò, Yara. La mia Folgore veleggia già verso Vera-Cruz.

 «Grazie, mio signore. Tu non avrai mai avuto una donna più affezionata di me.

 Il Corsaro mandò un sospiro e non rispose. Forse in quel momento il suo pensiero correva dietro alla giovane fiamminga che aveva abbandonata sul Mare dei Caraibi e che ancora, dopo quattro lunghi anni, rimpiangeva.

Speak Your Mind

*

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.