Parlare o morire

Poco dopo si videro degli sprazzi di luce sfuggire attraverso le persiane del primo piano e riflettersi sulle pareti della casa che si trovava di fronte. Una o più persone stavano per scendere, anzi si udivano dei passi rimbombare al di là della porta massiccia, ripercossi dall’eco di qualche corridoio. Il Corsaro si era vivamente alzato, stringendo la spada colla destra ed una pistola colla sinistra: i suoi uomini si erano collocati ai lati della porta, il negro colla scure alzata ed i due filibustieri coi moschetti in mano.

 In quel momento l’uragano raddoppiava la sua furia. Il vento ruggiva tremendamente attraverso le viuzze della borgata, facendo volare in aria le tegole e sbatacchiando con gran fracasso le persiane, mentre lividi lampi rompevano le cupe tenebre e fra le nubi rombava, con un fragore assordante, il tuono. Alcuni goccioloni cominciavano già a cadere e con tale violenza da parer chicchi di grandine.

 «Qualcuno si avanza,» disse Wan Stiller, che aveva accostato un occhio al buco della serratura. «Vedo degli sprazzi di luce brillar dietro la porta.»

 Il Corsaro Nero, che cominciava già a perdere la pazienza, alzò il pesante battente e lo lasciò ricadere. Il colpo si ripercosse nel corridoio interno come lo scoppio d’una folgore.

 Una voce tremante, rispose subito:

 «Vengo, signori!»

 Si udì un fragore di catenacci e di chiavistelli, poi la massiccia porta si aperse lentamente.

 Il Corsaro aveva alzata la spada, pronto a colpire, mentre i due filibustieri avevano puntati i moschetti.

 Un uomo attempato, seguito da due paggi di razza indiana che portavano delle torce, era apparso. Era un bel vecchio che doveva aver varcata di già la sessantina, ma ancora robustissimo e ritto come un giovanotto. Una lunga barba bianca gli copriva il mento scendendogli fino alla metà del petto e i capelli, pure canuti, lunghissimi e ancora assai fitti, gli cadevano sulle spalle. Indossava un vestito di seta oscura adorno di merletti e calzava alti stivali di pelle gialla con speroni d’argento, metallo che in quell’epoca valeva quasi meno dell’acciaio nelle ricchissime colonie spagnuole del Golfo del Messico.

 Gli pendeva dal fianco una spada e nella cintura portava uno di quei pugnali spagnuoli chiamati misericordie ,armi terribili in una mano robusta.

 «Che cosa volete da me?» chiese il vecchio, con un tremito assai marcato.

 Invece di rispondere, il Corsaro Nero fece cenno ai suoi uomini di entrare e di chiudere la porta.

 Il gobbo, diventato ormai inutile, era stato lasciato al di fuori.

 «Attendo la vostra risposta,» disse il vecchio.

 «Il cavaliere di Ventimiglia non è abituato a parlare nei corridoi,» disse il Corsaro Nero, con voce recisa.

 «Seguitemi,» disse il vecchio, dopo una breve esitazione.

 Preceduti dai due paggi, salirono una spaziosa scala di legno rosso ed entrarono in un salotto ammobiliato con eleganza e adorno di vecchi arazzi importati dalla Spagna.

 Un doppiere d’argento, sostenente quattro candele, era situato su di una tavola intarsiata di madreperla e di laminette d’argento. Il Corsaro Nero con uno sguardo si assicurò se non vi erano altre porte poi, volgendosi verso i suoi uomini, disse:

 «Tu, Moko, ti metterai a guardia della scala e porrai la bomba presso la porta; voi, Carmaux e Wan Stiller, rimarrete nel corridoio attiguo.»

 Poi guardando fisso il vecchio, il quale era diventato pallidissimo, gli disse:

 «Ed ora a noi due, signor Pablo de Ribeira, intendente del duca Wan Guld.»

 Prese una sedia e si sedette dinanzi al tavolo, mettendosi la spada, ancora sguainata, sulle ginocchia.

 Il vecchio era rimasto in piedi, guardando con terrore ed inquietudine il formidabile Corsaro.

 «Voi sapete chi sono io, è vero? – chiese il filibustiere.

 «Il cavaliere Emilio di Roccabruna, signore di Valpenta e di Ventimiglia,» disse il vecchio.

 «Ho piacere che voi mi conosciate così bene.»

 Il vecchio ebbe un pallido sorriso.

 «Signor de Ribeira,» continuò il Corsaro, «sapete per quale motivo io ho osato, colla mia sola nave, avventurarmi su queste coste?»

 «Lo ignoro, ma suppongo che debba essere ben grave per commettere una simile imprudenza. Voi non dovete ignorare, cavaliere, che su queste coste incrocia la squadra di Vera-Cruz.»

 «Lo so,» rispose il Corsaro.

 «E che qui vi è una guarnigione non molto numerosa, è vero, però superiore al vostro equipaggio.»

 «Anche questo lo sapevo.»

 «Ed avete osato venire qui, quasi solo?»

 Un sorriso sdegnoso sfiorò le labbra del Corsaro.

 «Io non ho paura,» disse con fierezza.

 «Nessuno può mettere in dubbio il valore del Corsaro Nero,» disse don Pablo de Ribeira. «Vi ascolto, cavaliere.»

 Il filibustiere rimase alcuni istanti silenzioso, poi disse con voce alterata:

 «M’hanno detto che voi conoscete qualche cosa di Honorata Wan Guld.» In quella voce, in quel momento, vi era qualche cosa di straziante. Pareva che un singhiozzo si fosse spezzato nel petto del fiero uomo di mare.

 Il vecchio era rimasto muto, guardando con occhi tetri il Corsaro. Fra quei due uomini vi furono alcuni istanti di silenzio angoscioso. Pareva che entrambi avessero paura di romperlo.

 «Parlate,» disse ad un tratto il Corsaro con voce sibilante. «È vero che un pescatore del Mare dei Caraibi vi ha detto d’aver veduta una scialuppa, trasportata dalle onde, montata da una giovane donna?»

 «Sì,» rispose il vecchio con una voce così debole che parve un soffio.

 «Dove si trovava quella scialuppa?»

 «Molto lontana dalle coste della Venezuela.»

 «In quale luogo?»

 «Al sud delle coste di Cuba, a cinquanta o sessanta miglia dalla punta di S. Antonio, nel canale del Yucatan.»

 «Ad una così grande distanza dalla Venezuela!» esclamò il Corsaro, balzando vivamente in piedi. «Quando fu incontrata quella scialuppa?»

 «Due giorni dopo la partenza delle navi filibustiere dalle spiagge di Maracaibo.»

 «E la donna era viva ancora?…»

 «Sì, cavaliere.»

 «E quel miserabile non l’ha raccolta?»

 «La tempesta infuriava e la sua nave non era più in grado di resistere agli assalti delle onde.»

 Un grido strozzato era uscito dalle labbra del Corsaro. Egli si prese il capo fra le mani e per qualche istante il vecchio udì dei sordi singhiozzi.

 «Voi l’avete uccisa,» disse il signor de Ribeira con voce cupa. «Quale tremenda vendetta avete commessa, cavaliere. Dio vi punirà.»

 Udendo quelle parole, il Corsaro Nero aveva alzata vivamente la testa. Ogni traccia di dolore era scomparsa per lasciare posto ad una alterazione spaventosa. La sua tinta pallida era diventata livida, mentre un lampo terribile animava i suoi occhi. Un flusso di sangue gli montò sul viso arrossando per alcuni istanti quella pelle diafana, poi tornò più livida di prima.

 «Dio mi punirà!» esclamò egli con voce stridula. «Io l’ho forse uccisa, quella donna che tanto ho amata, ma di chi la colpa? Voi dunque ignorate le infamie commesse dal duca vostro signore?… Dei miei fratelli, uno dorme laggiù, sulle sponde della Schelda, gli altri due riposano nei baratri del Mare dei Caraibi. Sapete chi li ha uccisi? Il padre della fanciulla che amavo!

 Il vecchio era rimasto silenzioso, e non staccava i suoi sguardi dal Corsaro.

 «Io avevo giurato odio eterno contro quell’uomo che aveva spenti i miei fratelli nel fior degli anni, che aveva tradita l’amicizia, la bandiera della sua patria adottiva, che per dell’oro aveva venduta la sua anima e la sua nobiltà, che aveva macchiato infamemente il suo blasone ed ho voluto mantenere la mia parola.»

 «Dannando a morte una fanciulla che non poteva farvi alcun male.»

 «Io avevo giurato, la notte in cui abbandonavo alle onde il cadavere del Corsaro Rosso, di sterminare tutta la sua famiglia, come egli aveva distrutta la mia e non ho potuto infrangere la parola data. Se io non l’avessi fatto, i miei fratelli sarebbero saliti dal fondo del mare per maledirmi!… Ed il traditore vive ancora!… – riprese egli dopo alcuni istanti con uno scoppio d’ira spaventevole. – L’assassino non è spento e i miei fratelli mi chiedono vendetta: l’avranno!…

 «I morti nulla possono chiedere.»

 «V’ingannate!… Quando il mare scintilla, io vedo il Corsaro Rosso ed il Verde risalire dagli abissi del mare e fuggire dinanzi la prora della mia Folgore e quando il vento fischia fra le corde della mia nave odo la voce di mio fratello spento sulle terre della Fiandra. Mi capite voi?»

 «Follie!»

 «No!» gridò il Corsaro. «Anche i miei uomini, per molte notti, hanno veduto apparire, fra un fiotto di spuma, gli scheletri del Corsaro Rosso e del Verde. Essi mi chiedono ancora vendetta. La morte della fanciulla che io amavo non è stata sufficiente a calmarli e la loro anima tormentata non si quieterà finchè non avrò punito il loro assassino. Ditemi, dov’è Wan Guld?

 «Voi pensate ancora a lui?» chiese l’intendente. «Non vi bastava la figlia?»

 «No! Vi ho detto che i fratelli miei non si sono ancora placati.»

 «Il duca è lontano.»

 «Fosse anche all’inferno, il Corsaro Nero andrà a trovarlo.»

 «Andate a cercarlo adunque.»

 «Dove?»

 «Io non so dove precisamente si trovi. Si dice però che sia nel Messico.»

 «Si… dice? Voi, che siete il suo intendente, l’amministratore dei suoi beni, lo ignorate? Non sarò certamente io che lo crederò.»

 «Eppure io non so dove si trovi.»

 «Voi me lo direte,» gridò il Corsaro con accento terribile. «La vita di quell’uomo mi è necessaria. Egli mi è sfuggito a Maracaibo ed a Gibraltar, ma ora sono risoluto a scovarlo, dovessi affrontare, colla mia sola nave, anche l’intera squadra del vicerè del Messico.»

 A un tratto cessò di parlare, si alzò e si accostò rapidamente ad una finestra.

 «Cosa avete?» chiese don Pablo, con stupore.

 Il cavaliere non rispose. Curvo verso la finestra, ascoltava attentamente. La tempesta infuriava al di fuori. Tuoni assordanti rombavano in cielo ed il vento ululava per le viuzze facendo strage di tegole e di camini. L’acqua cadeva a torrenti e scrosciava contro i muri della casa e sul lastricato, scorrendo fragorosamente per le vie, ormai convertite in torrenti.

 «Avete udito?» chiese ad un tratto il Corsaro con voce alterata.

 «Nulla, signore,» rispose il vecchio con accento inquieto.

 «Si direbbe che questo vento ha portato fino qui le grida dei miei fratelli!…»

 «Quali sinistre follie, cavaliere!…»

 «No, follie!… Le onde del Mare dei Caraibi trastullano a quest’ora le salme del Corsaro Rosso e del Verde, le vittime del vostro signore.»

 Il vecchio, involontariamente, rabbrividì e guardò il Corsaro con spavento. Era coraggioso ma come quasi tutti gli uomini di quell’epoca era anche superstizioso e perciò cominciava a credere alle strane fantasie del funebre filibustiere.

 «Avete finito, cavaliere?» chiese, scuotendosi. «Voi finirete col farmi vedere dei morti.»

 Il Corsaro si sedette nuovamente dinanzi al tavolo. Pareva che non avesse nemmeno udite le parole dello spagnuolo.

 «Eravamo quattro fratelli,» cominciò egli con voce lenta e triste. «Ben pochi erano valorosi come i signori di Roccabruna, Valpenta e Ventimiglia e pochi erano così devoti ai duchi di Savoia come lo eravamo noi. Terribile era scoppiata la guerra nelle Fiandre. In Francia e nella Savoia combattevamo con estremo furore contro il sanguinario duca d’Alba, per la libertà dei generosi fiamminghi.

 Il duca di Wan Guld, vostro signore, tagliato fuori dal grosso delle truppe franco-savoiarde, si era trincerato in una rocca situata presso una delle bocche della Schelda. Noi eravamo con lui guardiani fedeli della gloriosa bandiera dell’eroico duca Amedeo II. Tremila spagnuoli, con poderose artiglierie, avevano stretta la rocca d’assedio, decisi ad espugnarla. Assalti disperati, mine, bombardamenti, scalate notturne, tutto avevano tentato, e sempre invano. Lo stendardo di Savoia non era stato mai ammainato. I signori di Roccabruna difendevano la fortezza e si sarebbero fatti uccidere sui loro pezzi, anzichè cederla.

 Una notte, un traditore, comperato dall’oro spagnuolo, apre la postierla al nemico. Il primogenito dei signori di Roccabruna si slancia per contrastare il passo agli invasori e cade, assassinato da un colpo di pistola sparatogli a tradimento. Sapete come si chiama l’uomo che aveva tradito le sue truppe e ucciso vilmente mio fratello?… Era il duca di Wan Guld, il vostro signore!

 «Cavaliere!» esclamò il vecchio.

 «Tacete ed ascoltatemi,» proseguì il Corsaro con voce funebre. «Al traditore fu data, in compenso della sua infamia, una colonia del Golfo del Messico, quella di Venezuela, ma si era dimenticato che sopravvivevano ancora tre altri cavalieri di Roccabruna e che questi avevano solennemente giurato, sulla croce di Dio, di vendicare il fratello ed il tradimento.

 Equipaggiati tre vascelli, erano salpati pel grande golfo: uno si chiamava il Corsaro Verde, l’altro il Rosso, il terzo il Nero.

 «Conosco la storia dei tre corsari,» disse il signor de Ribeira. «Il Rosso ed il Verde, caduti nelle mani del mio signore, vennero impiccati come volgari malfattori…»

 «Ed ebbero da me onorevole sepoltura, negli abissi del mare dei Caraibi,» disse il Corsaro Nero. «Ora ditemi: quale pena meriterebbe quell’uomo che ha tradito la sua bandiera e che mi ha ucciso tre fratelli?… Parlate!»

 «Voi gli avete uccisa la figlia, cavaliere.»

 «Tacete, per Iddio!» gridò il Corsaro. «Non risvegliate il dolore che mi morde ancora il cuore. Orsù, basta: dove si trova quell’uomo?»

 «Al sicuro dai vostri attacchi.»

 «Lo vedremo: ditemi il luogo.»

 Il vecchio esitò. Il Corsaro aveva alzata la spada. Un lampo terribile si sprigionava dai suoi occhi. Un ritardo di alcuni secondi e la punta scintillante dell’arma scompariva forse nel petto dell’intendente.

 «A Vera-Cruz,» disse il vecchio, che si vedeva ormai perduto.

 «Ah!…» gridò il Corsaro.

 Si era alzato di scatto per dirigersi verso la porta, quando vide irrompere nella stanza Carmaux.

 Il filibustiere aveva il volto molto oscuro ed i suoi sguardi tradivano una viva inquietudine.

 «Partiamo, Carmaux,» gli disse il Corsaro. «So quanto desideravo sapere.»

 «Un momento, capitano.»

 «Che vuoi?»

 «La casa è circondata.

 «Chi ci ha traditi?» chiese il Corsaro guardando minacciosamente don Pablo.

 «Chi?… Quel gobbo maledetto che lasciammo in libertà,» disse Carmaux. «Abbiamo commessa un’imprudenza che forse pagheremo cara, capitano.»

 «Sei certo che la via sia occupata dagli spagnuoli?»

 «Ho veduto io, con questi occhi, due uomini nascondersi nel portone che sta di fronte a questa casa.»

 «Bella forza contro di noi!» disse il Corsaro con disprezzo.

 «Ve ne possono essere altri in agguato nelle viuzze vicine, signore,» disse Carmaux.

 Il Corsaro stette un momento pensieroso poi volgendosi verso don Pablo, gli disse:

 «Non v’è in questa casa qualche uscita segreta?»

 «Sì, signor cavaliere,» disse il vecchio, mentre un lampo gli balenava negli sguardi.

 «Voi ci farete fuggire.»

 «Ad una condizione però.»

 «Quale?»

 «Di abbandonare i vostri progetti di vendetta contro il mio signore.»

 «Volete scherzare, signor de Ribeira?» chiese il Corsaro con tono beffardo.

 «No, cavaliere.»

 «Il signor di Roccabruna non accetterà mai tali condizioni.»

 «Vi sono centocinquanta soldati in Puerto Limon.»

 «Non mi fanno paura. Io ho a bordo del mio legno centoventi lupi di mare capaci di affrontare un reggimento intero.»

 «La vostra Folgore non è ancorata dinanzi a questa casa, cavaliere.»

 «La raggiungeremo egualmente, signor mio.»

 «Voi non conoscete il passaggio segreto.»

 «Lo sapete bene voi.»

 «Non ve lo indicherò se prima non mi avrete giurato di lasciare in pace il duca di Wan Guld.»

 «Ebbene, vediamo, – disse il Corsaro con voce stridula.

 Armò rapidamente una pistola e puntandola sul vecchio, gridò:

 «O tu ci guidi al passaggio segreto od io ti uccido: scegli!»

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