All’assalto di Varauni

Lo spettacolo che presentava quella fronte di pachidermi era terrificante.

I mostruosi animali, invasati dall’ira, si erano pure gettati a due, a quattro, a piccoli gruppi contro il veliero, sfondandolo in vari luoghi.

La massa peraltro aveva resistito al grande urto e solo il timone, d’altronde affatto inutile, se n’era andato, portato via da un tremendo colpo di proboscide.

Disgraziatamente gli elefanti, che pareva avessero giurata la distruzione della carcassa, ad un tratto erano riusciti a montare sul banco che reggeva la carena.

Una salva di barriti impressionanti salutò quel primo successo, poi i colossi ripresero la loro opera di distruzione, scagliandosi come catapulte.

– Amici, – gridò Yanez, che non aveva mai veduta la morte tanto vicina – tenete duro, o quelle bestie maligne ci manderanno ad affogare nel fiume.

Questi sono peggiori dei rajaputi del Sultano. –

Il secondo assalto era cominciato più spaventoso del primo. Quei cinquanta e più animalacci, invasi da un vero furore di distruzione, scuotevano tremendamente il piccolo veliero, il quale minacciava di venire, da un momento all’altro, ricacciato nelle acque profonde.

Sotto gli urti sempre più formidabili, i madieri cadevano strappati da terribili colpi di denti, che traforavano il legname come se fosse un semplice cartone.

L’alberatura oscillava ed a poco a poco si sgangherava, lasciando cadere in coperta ora un pennone ed ora un ammasso di sartie.

I fuggiaschi, spaventati, non risparmiavano le cartucce. Ogni volta che un elefante alzava la proboscide, una palla si piantava subito nella sua gola e lo faceva cadere sulle ginocchia.

Mentre gli elefanti assalivano, alleati senza saperlo del Sultano, la battaglia continuava sul fiume.

Detonazioni terribili giungevano di quando in quando fino a bordo del veliero, e di quando in quando una palla di spingarda e di lilà, lanciata certamente a casaccio, arrivava.

Chi aveva la peggio erano gli elefanti, i quali si mantenevano ostinatamente esposti sulla linea del fuoco, sopportando non poche scariche di mitraglia che producevano sui loro corpacci delle ferite spaventose.

– Signor Yanez, – disse Kammamuri nel momento in cui dieci o dodici elefanti si scagliavano all’assalto del veliero – dove finiremo noi? Nel fiume piuttosto che a Mompracem?

– La nostra situazione non è certamente bella – rispose il portoghese, il quale non cessava di sparare a fianco della bella olandese, facendo ogni volta una vittima. – Ma non credo che sia disperata.

Questi bestioni finiranno per stancarsi.

– Che si avanzino le tigri di Mompracem?

– Non odi come risuonano i loro colpi? Nemmeno i rajaputi del Sultano avranno molto da ridere.

Quel Sandokan sa fare i suoi affari, specialmente quando si tratta di spingere un combattimento.

Aho! –

Un urto formidabile, che pareva prodotto dall’accavallarsi di furiose ondate, aveva in quel momento scossa la giunca, spezzandole l’albero di bompresso.

Tutte le murate tremarono come se fossero lì lì per aprirsi, dei corbetti saltarono fuori, piantandosi come lance immani nelle carni degli assalitori.

– Guardatevi dall’alberatura! – gridò Yanez, il quale non aveva cessato di fare fuoco in prima linea.

I colossi parvero un po’ sorpresi dalla resistenza che opponeva alle loro masse quell’ammasso di legnami, poi presi novamente da un vero delirio di distruzione tornarono alla carica a gruppi.

In un momento le murate furono fracassate a colpi di proboscide ed i terribili animali fecero la loro comparsa, tentando di portar via i naviganti.

Un mergher bruttissimo, ma che possedeva un naso gigantesco, si piantò ben solido sul banco, proprio sotto il tribordo della giunca; strappò due metri di murata ed afferrato Kammamuri cominciò a scuoterlo tenendolo sospeso in alto.

Un urlo d’orrore era echeggiato fra i fuggiaschi, i quali credevano che fosse sonata la loro ultima ora.

– Lasciate fare a me! – gridò il portoghese, e fece subito fuoco a bruciapelo.

L’elefante sentendosi arrostire il naso dalla polvere, lasciò andare Kammamuri senza fargli alcun male, ma poi, quantunque fosse stato ferito, si avventò innanzi spezzando in pochi colpi tutte le manovre fisse delle alberature; poi, con un’agilità che non si sarebbe mai supposta in un corpaccio simile, montò audacemente all’abbordaggio, minacciando di sterminare i fuggiaschi a colpi di proboscide.

Avvenne allora una scena comicissima. La tolda della vecchia veliera cinese, tarlata da chi sa quanti anni di navigazione, si era aperta, ed il mostruoso animale, dopo d’aver mandato un barrito terribile, era scomparso nella stiva, sfondando col suo enorme peso la carena.

Yanez non lo aveva perduto di vista un solo istante.

Guai se il colosso fosse diventato padrone della stiva. La giunca poteva considerarsi ormai perduta.

Infatti il bestione, rimessosi in gambe dal capitombolo, quantunque tutto sconquassato e coperto di sangue, aveva cominciato ad assalire le murate, sfondando gruppi di madieri e di puntali.

– Tutti con me! – gridò Yanez, il quale conservava sempre il suo ammirabile sangue freddo.

Questa è l’ultima ora della nostra vita… Seguitemi, amici, e non badate alle munizioni; è necessario stanare quel furfante prima che ci affoghi. Udite? Ci si mette ora! –

L’elefante, irritato dalla ferita e dal trovarsi rinchiuso, continuava a caricare attraverso la stiva, strappando con furore i puntali per far cadere l’intero ponte.

I fuggiaschi, quantunque spaventati, si erano precipitati dietro Yanez, decisi a finirla con quell’animalaccio che diventava di momento in momento più pericoloso.

– Sotto! – gridò Kammamuri, il quale se l’era cavata con delle semplici contusioni. – O via lui, o noi nel fiume. –

Si erano scagliati tutti nella stiva, la quale era illuminata da un paio di quelle gigantesche lanterne di carta oleata, a grandi fiorami, che i cinesi preferiscono a qualunque luce.

Il colosso aveva preso possesso della stiva e non stava inoperoso. Dopo d’aver fatto strage di puntali, si era scagliato contro il fasciame sfondando qua e là i madieri.

Il pericolo era imminente.

– Mirate da fermo! – gridò Yanez, il quale conduceva il drappello.

La giunca oscillava spaventosamente, sotto le corse pazze del furibondo animale e sotto gli urti continui dei pachidermi che erano rimasti intorno al banco.

Dei getti d’acqua cominciavano ad entrare, precipitandosi verso poppa con grande fragore.

Una prima scarica seguì il comando del portoghese, poi un’altra ancora.

Il pachiderma, crivellato in pieno, si alzò di colpo sulle zampe posteriori e tentò di prendere la corsa per stritolare con un solo urto quel gruppo di persone, ma le forze lo tradirono e cadde di quarto con immenso fragore, vomitando dalla proboscide un getto di sangue spumoso.

Nel medesimo istante la giunca, urtata da tutte le parti dagli altri animali, veniva spinta verso le acque profonde dove la corrente era abbastanza rapida.

– Siamo vivi per miracolo! – disse Yanez. – Se giungeva fino a noi, faceva una brutta marmellata dei nostri poveri corpi.

Kammamuri, tieni d’occhio i prigionieri.

– Sono sempre sotto la canna del mio fucile, signore, – rispose l’indiano.

– Signora Lucy, ed anche voialtri, salite in coperta e cerchiamo di sbarazzarci ora anche degli altri.

Corriamo il pericolo di morire affondati. –

La giunca era ancora circondata dai pachidermi, i quali la seguivano ostinatamente a nuoto, tentando di distruggerle le murate.

Cerchiamo di calmare ora un po’ anche questi bricconi! – disse Yanez. – Che abbiano il diavolo in corpo? Io non ho mai veduto delle bestiacce così furibonde.

Se non avessimo trovato questo legno, poveri noi! –

Lo spettacolo che presentavano quei quaranta o cinquanta colossi saltellanti sui banchi, sempre dietro la giunca, od agitantisi furiosamente fra le acque limacciose della fiumana, era sempre impressionante.

Fortunatamente la corrente aumentava di momento in momento, tanto che il vecchio veliero cinese si allontanava da tutti quegli ostacoli, sicché non potevano più dare delle vecchie cariche attraverso i banchi che non avevano continuità.

Yanez, Lucy, gli uomini di scorta ed anche Kammamuri avevano ripreso il fuoco ben decisi a sbarazzarsi di quei noiosi. Di quando in quando un colosso, colpito o presso l’occhio o alla giuntura della spalla, si lasciava andare, barrendo orribilmente.

Qualcuno affondava di colpo, come se fosse pieno di piombo, qualche altro invece sballonzolava sulla corrente, facendo sforzi disperati per riguadagnare la riva.

La battaglia durò approssimativamente una buona mezz’ora, con grande consumo di munizioni, ma finalmente i colossi, convintisi di aver tutto da perdere e nulla da guadagnare nel continuare l’inseguimento, tagliarono obliquamente la fiumana e si posero in salvo verso la riva destra, la quale era coperta da immense piante.

Né i ripetuti bagni, né le scariche furiose che avevano ricevuto in buon numero, erano state sufficienti a calmarli, quantunque molti perdessero sangue da varie ferite.

Non potendo ormai prendersela colla giunca, perché troppo lontana, si sfogavano contro le piante mettendo rabbiosamente a terra, a gran colpi di proboscide e di testa, enormi tronchi e cespugli su spazi vasti quanto una foresta di discrete dimensioni.

– Che il diavolo se li porti! – esclamò Yanez, il quale era novamente salito in coperta coi compagni, dopo di aver ben fatto legare i prigionieri, ai quali teneva troppo per perderli. – Si sono mai veduti animali così dannati?

Eccoci colla giunca sgangherata che beve allegramente da tutte le parti. Se per un po’ quel demonio avesse continuata la sua corsa, ci avrebbe affogati tutti.

– Insieme a lui però – disse Lucy.

– Magra consolazione, signora.

– Ed ora, milord? Ove andiamo? Cercheremo di raggiungere le tigri di Mompracem o proseguiremo il nostro viaggio?

– Esito a dar di cozzo nei rajaputi.

– Che non siano stati ancora vinti?

– Le spingarde tuonano ancora lassù, signora, ed abbastanza vivamente.

Giacché le guardie del Sultano finora non si mostrano, lasciamoci andare lungo il fiume e tentiamo di aprire alla Tigre della Malesia la via di Varauni.

– Ci potremo giungere?

– Tutti i corsi d’acqua che scendono dai Monti del Cristallo finiscono nella baia e questa nave non tornerà alla montagna.

– Che Sandokan scenda sempre lungo il fiume? – chiese Kammamuri.

– È la sua strada – rispose Yanez. – Giacché è entrato nella vallata, continuerà la sua marcia verso il mare e ci seguirà alle spalle.

– Che lo sappia ormai che lo precediamo?

– Certamente; e farà anche il possibile per raggiungerci al più presto.

– Potremo entrare in Varauni senza farci prendere?

– Ci fingeremo onesti commercianti cinesi, raccomandati al capo del quartiere.

Lascia che Sandokan si spiani la strada; noi seguiamo la nostra ed apriamo gli occhi.

Oltre i rajaputi potremmo incontrare gli scikari del campo.

– Che cosa sarà successo della nostra scorta, signor Yanez? Che l’abbiano massacrata?

– Io non credo che avranno osato tanto.

Orsù, cerchiamo di tappare alla meglio gli strappi, per non affondare prima di giungere in vista della Capitale.

Abbassiamo le vele e serviamocene per cacciarle fra i madieri. –

La giunca era stata ridotta in uno stato veramente miserando dal terribile elefante che era riuscito ad abbordarla.

Tutti i puntali della stiva giacevano gli uni sopra gli altri, insieme a squarcidi tolda.

Dei buchi, aperti dai denti, foracchiavano qua e là la carena e da quelli l’acqua non cessava di entrare, accumulandosi nella sentina.

Fortunatamente il fiume era basso e sparso d’un numero infinito di banchi coperti di cespugli, al disopra dei quali volteggiavano nubi di uccellacci acquatici.

In caso di pericolo un arenamento era facilissimo.

– Credevo che fossimo ridotti in più cattive condizioni – disse Yanez, il quale aveva fatto tutto il giro della giunca. – Questi buchi si potranno, con un po’ di pazienza, turare tanto per giungere fino alla Capitale.

Signora Lucy, mettetevi in sentinella, mentre noi tenteremo qualche operazione.

– Non si vede anima viva – disse la bella olandese. – Se volete che fucili dei volatili!…

– Eh!… Chi sa che dietro a quelli non si avanzino i rajaputi incalzati dalle tigri di Mompracem?

– Che disgrazia non avere qualcuna delle spingarde che possiede Sandokan! – disse Kammamuri.

– Ne avremo in maggior numero. Non abbiamo la nostra formidabile flottiglia, che è ancora intatta e raccolta nella baia, ed il nostro yacht?

– Pensavo appunto al vostro legno, signore, in questo momento – disse l’indiano. – Cerchiamo di abbordarlo e di prendere il largo per ricondurre la flottiglia.

Noi sul mare, Sandokan e le tigri di Mompracem in città, appoggiati dai cinesi, chi ci terrà testa? Se il Sultano vorrà riacquistare la sua libertà, dovrà firmare a noi, dovesse perdere il trono, la retrocessione della gloriosa isola dei pirati della Malesia.

– Se potessi raggiungerla senza che la guarnigione e le cannoniere se ne accorgessero, me ne riderei di tutti i Sultani del Borneo – disse Yanez. – Sono però sempre inquieto per Sandokan.

– Che sia stato arrestato?

– Può aver trovato delle kotte sul suo cammino e quelle piccole fortezze, quantunque costruite solamente con tronchi d’albero, oppongono delle lunghe resistenze. –

In quell’istante sulla riva sinistra del fiume, coperta da folte boscaglie, si vide sorgere una grossa colonna di fumo.

La fronte di Yanez si era annuvolata.

– Per Giove! – esclamò il brav’uomo, ma senza troppo allarmarsi. – Che le guardie del Sultano siano già qui?…

– Non si odono che dei lontanissimi spari, signore, – rispose l’indiano. – Si combatte ancora a grande distanza. –

Non aveva ancora terminato di parlare, quando parecchi uomini apparvero bruscamente fra le canne che coprivano la riva, prendendo risolutamente di mira la vecchia e sgangherata veliera.

Erano una ventina, tutti abbronzati, con piccoli turbanti grigiastri a strisce bianche.

– Gettatevi dietro le murate! – gridò prontamente Yanez, mentre partiva qualche colpo di fucile.

Gli assalitori avevano presa rapidamente posizione all’estremità di una minuscola penisola, gridando:

– Ferma, o facciamo fuoco!

– Hai udito, Kammamuri? – chiese Yanez, rialzandosi prontamente. – Queste voci ci sono note.

– Che quegli uomini siano quelli che avevamo lasciato al campo del Sultano?

– Lo spero, per quanto la cosa mi sembri inverosimile.

– Ferma! – gridò un altro uomo, che pareva comandasse il gruppo. – Accostatevi alla riva o vi seguiremo fino a Varauni.

– Signor mio! – gridò Yanez, saltando sulla murata della giunca. – È così che si salutano i vecchi camerati? –

I venti uomini, udendo quella voce, alla loro volta si erano alzati, facendo dei grandi gesti di stupore.

– Il signor Yanez! il signor Yanez! – gridavano tutti, precipitandosi verso la riva.

– Da dove sbucate adunque? – chiese il portoghese.

– Sono trent’ore che vi cerchiamo attraverso le foreste, per rifornirvi la scorta – rispose il capo. – Non credevamo di trovarvi qui, su questo fiume, in mezzo ad una battaglia spaventosa che non accenna ancora a finire.

Sapete che le tigri si avanzano, spingendosi innanzi i rajaputi?

– Non avete potuto congiungervi con Sandokan?

– No, signor Yanez. Le guardie del Sultano ci chiudono la via e non siamo in tanti da assalirle, specialmente in mezzo alle foreste.

– Ebbene, verrete a Varauni con noi – disse il portoghese. – Aspetteremo là Sandokan. –

Kammamuri prese una gomena e la gettò verso la riva, sicché la giunca poté accostarsi a terra.

I venti uomini della scorta si precipitarono in coperta, mandando grida d’allegrezza. Mai s’aspettavano di certo una simile fortuna.

– Temevo che vi avessero massacrati tutti – disse Yanez al capo della scorta.

– L’ordine era stato già dato di fucilarci come anitre, signore, quando noi, vedendoci perduti, attaccammo risolutamente il campo attraversandolo a gran corsa.

Lo credereste? Tutti quei poltroni, invece di chiuderci il passo, ci lasciarono andare e noi ne approfittammo per piegare verso il fiume.

Avevamo già udito rombare le spingarde della Tigre della Malesia ed anche i lilà, ma ci trovammo sempre dinanzi le guardie del Sultano che combattevano con furore sotto le foreste, difendendo il terreno palmo a palmo.

– Dove si trova il campo degli scikari e dei cacciatori?

– Scomparsi tutti, signore, ai nostri primi colpi di fucile.

– Scappati dove?

– A Varauni.

– A nemico che fugge ponti d’oro! quantunque avrei desiderato piuttosto vederli insieme coi rajaputi. Io credo che ormai a noi non occorra far altro che allungare le mani e raccogliere Mompracem. – disse Yanez.

Continuiamo il nostro viaggio e cerchiamo di raggiungere la baia, inosservati.

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