Capitolo XII – Giro Batoë

Un uomo si era rizzato bruscamente dietro un cespuglio a cinque soli passi di distanza, col fucile teso orizzontalmente. Il pirata che si era arrestato, senza provare il minimo spavento alla terribile intimazione, senza abbandonare la sciabola che brandiva, pronto a servirsene, aveva subito riconosciuto in quell’ombra, che pareva decisa a eseguire alla lettera la minaccia, un Inglese che non dubitò più fosse il sergente Willis poco prima nominato dai cercatori di piste.

Il singolar uomo, che si credeva, quantunque armato di una sola sciabola e di un solo kriss, tanto forte da far scomparire con un soffio quella giacca rossa, e che trovava sommamente ridicolo il misurarsi con uno solo, dinanzi alla minaccia che poteva costargli la vita, si mise a ridere, ma con quel riso che faceva fremere i più coraggiosi e che arrestò lo slancio del sergente che forse si sentiva tentato di lasciare partire la fucilata.

— Sai tu chi io mi sono? — domandò Sandokan accentando ogni parola e fissandolo con due occhi che brillavano come due carboni accesi, nella semi-oscurità.

— Eh! — fe’ il sergente che si sentì suo malgrado correre un brivido per le ossa. — Non occorre essere né lord Guillonk, né il baronetto William, per riconoscere il capo dei pirati di Mompracem.

— Credi tu di non ingannarti? — domandò il pirata la cui voce sibilava come il sibilo di un serpente.

— Oh! Scommetterei una settimana della mia paga contro un penny, che voi siete Sandokan.

— No, io sono la Tigre della Malesia.

I due uomini si misurarono collo sguardo e in silenzio, l’uno fremente d’ira, beffardo, minaccioso, quantunque la sua vita pendesse da una palla di fucile, l’altro fermo come una rupe ma spaventato e sorpreso di trovarsi, in piena foresta, di fronte a quell’uomo il cui valore e la cui ferocia era popolare.

— Orsù — disse Sandokan dando in uno scroscio di risa che l’eco della foresta ripeté. — Orsù, sergente Willis, se hai del coraggio per azzuffarti colla Tigre, a noi due.

— Come sapete il mio nome? — domandò l’Inglese che ebbe un superstizioso terrore.

— Guarda, cane d’Inglese. Pochi minuti fa, due uomini camminavano a cento passi da me seguendo la mia pesta o credendola di seguire. Sono piombato su di essi come l’aquila piomba sulla sua preda, li ho fatti parlare. Io sapeva che tu mi eri vicino, che mi spiavi dietro il cespuglio.

— E che avete fatto dei miei uomini?

— Quando la Tigre ha sete beve sempre sangue — rispose Sandokan con voce lugubre, cercando spaventare il soldato per gettarsi improvvisamente su di lui. — I loro corpi sono distesi dietro quelle arecche coi fianchi aperti.

— Ah! brigante! — esclamò il soldato che indietreggiò prendendolo di mira.

— Sangue, Willis! Sangue! — urlò il pirata alzando la sciabola.

Il colpo non parti per l’umidità della polvere. Ancor prima che il sergente potesse impugnare la daga, Sandokan l’atterrò serrandogli la gola con due mani di ferro.

— Grazia! grazia! — balbettò il poveretto che si sentiva strozzare. Sandokan aprì le mani e si alzò raccogliendo il fucile di lui.

Andò a sedersi a tre passi di distanza, fissando sul soldato due occhi che facevano paura.

— Vedi — gli disse con accento marcato ma cupo. — La Tigre della Malesia non si può uccidere, è invulnerabile. Come potevi tu ammettere che io, spirito infernale, mi lasciassi ammazzare? Io, che sfidai il fuoco di mille cannoni, io che affrontai la morte in cento abbordaggi, io che sono protetto da Belzebù?

— Ah! — esclamò il soldato battendo i denti dalla paura. — Voi siete uno spirito infernale?

— Te l’assicuro. Fui io che arrestai la tua palla nel momento che stava per partire.

— Voi mi fate paura.

— Lo credo.

L’Inglese si passò le mani attorno al collo. — È vero che non mi avete strangolato?

— Vero, cane d’un sergente — rispose Sandokan. — Senti ora, tu sei coraggioso, vuoi essere pirata?

— Oh!… Mai! Mai!

— Hai ragione. È tuo dovere il restar fedele alla tua bandiera. Parliamo d’altre cose allora, ma bada di non ingannar la Tigre: potrebbe capitarti sventura. Dove credono che io sia fuggito?

— Nei boschi — rispose il soldato.

— È poco. Parla ancora, ma spicciati, che i momenti per me sono preziosi.

— E se io non volessi parlare?

— In tal caso ti farei saltare le cervella. Sarebbe una vittima di più, che aggiungerei alle altre.

— Bene, si crede che siate fuggito verso la costa occidentale nascondendovi nelle paludi o nelle foreste o in qualche capanna d’indigeni, aspettando l’occasione di raggiungere le coste del sud ove si crede che abbiate un prahos. Non crediate però di sfuggire alle ricerche dei miei compatrioti: sono tutti in caccia dietro le vostre orme, guidati da un baronetto che pare abbia qualche conto da saldare. Non ne so di più, potete uccidermi se lo credete, ho parlato anche troppo.

— Quando io nel parco ho spacciato quel caporale, che ha fatto il baronetto William?

— Ah! Voi, lo conoscete anche? Si è morso le dita, ha bestemmiato, ha urlato inveendo contro lord Guillonk che vi aveva lasciato fuggire, poi si è precipitato nella villa. Si dice che abbia parlato a lungo col capitano, che vi sia stata qualche promessa fra loro, cui non sarebbe estranea lady Marianna; il fatto è che si mise in caccia con tutti i suoi uomini senza perdere un sol istante.

— Ah! — esclamò Sandokan sogghignando. — Ecco ciò che io voleva sapere. Io e lui!…

Stette un momento come immerso in un doloroso pensiero, poi cangiando tono:

— Spogliati della tua divisa; ti faccio dono della vita.

Il soldato ubbidì. Sandokan bene o male la indossò, senza dimenticare né la cintola, la cartucciera, e il berretto che si calcò bene in testa. Nel trovarsi così vestito, da giacca rossa, si mise a ridere.

— Non havvi contingente indiano o malese a Labuan? — domandò al soldato che lo guardava attonito.

— Che volete fare del mio vestito? Non abusate del mio grado e del mio nome.

— Se vuoi che ci lasciamo da buoni amici, non aprir bocca, senza che io l’ordini. Orsù, fra coloro che mi danno la caccia, non vi sono uomini di colore? Non ingannarmi, Willis; sarei capace di ritornare.

— Vi sono degli indiani, fanteria del Bengala — rispose il sergente.

— Bene, io passerò per un indiano — disse Sandokan. — E ora non fare resistenza.

Trasse da saccoccia una corda, e legò le mani e i piedi al soldato che non ardiva resistere. Finito ciò, se lo caricò sulle spalle colla stessa facilità che fosse un fanciullo e lo portò in mezzo ad una folta macchia assicurandolo con una forte liana a un ramo; vi gettò accanto la sciabola dopo di averla spezzata in due e si accinse a partire.

— Voi dite di salvarmi, ma non sapete che mi gettate fra le unghie della tigre? — disse l’Inglese spaventato.

— Bah! — fe’ Sandokan. — Le tigri non sono sì numerose come credi dopo quella che ho ammazzato ieri in questi dintorni. Ringrazia colei a cui devi la vita; non dimenticarti di Marianna Guillonk.

Ciò detto il pirata, nelle vesti d’Inglese, si allontanò, dopo aver cambiata carica al fucile.

— Quando mi si vedrà, passerò per un sergente della fanteria del Bengala — mormorò egli. — Passerò in mezzo a tutti i cacciatori a fronte alta, come un bravo comandante.

«Una gherminella non sarà mai riuscita così bene; Marianna stessa, la cara fanciulla, riderà pur essa quando gliela racconterò.

A quel nome involontariamente evocato, la fronte del pirata s’oscurò e i lineamenti del volto si contrassero dolorosamente. Egli portò le mani al cuore e un gemito gli uscì dalle labbra.

— Silenzio, silenzio — mormorò egli con cupa voce. — Non nominiamola, non pensiamo a lei. Sento che impazzisco, sento il cuore lacerarsi. Avanti, tiriamo avanti.

Si rimise in cammino con passo rapido stringendosi fortemente il petto, come volesse arrestare i battiti precipitosi del cuore.

Camminò tutta la notte facendo due sole fermate per tracannare un sorso di wisky trovato nella botticella del sergente, e sul far del giorno giunse ad una piccola radura circondata di colossali artocarpi. Stava per sedersi dietro un cespuglio per prendere un po’ di riposo, quando si sentì chiamare.

— Ohe! camerata! Ohe! Che diavolo andate cercando col naso a terra? — gridò una vociaccia rauca.

Il pirata, per nulla spaventato, girò attorno lo sguardo e vide distesi sotto un albero due soldati che riconobbe subito per quelli veduti alla notte. Avevano i fucili gettati a terra e prendevano il sole fumando colle loro pipe senza preoccupazioni di sorta.

— Ehi! — gridò Sandokan accentuando la pronuncia inglese. — E così che voi cacciate?

— Abbiamo cacciato tutta la notte — rispose colui che aveva udito chiamarsi Harry, — e senza trovare la traccia del pirata. Due minuti di riposo e poi, affé di Dio! dietro come cani a quel miserabile!

— A quale compagnia appartenete? — domandò Sandokan che rideva in cuor suo della gherminella.

— A quella del sergente Willis. L’avete incontrato voi? Egli cacciava all’oriente.

— Abbiamo cacciato assieme, e la pista è stata scoperta — rispose il pirata ma senza avvicinarsi. — Credo che voi farete bene avvisare i cacciatori dei dintorni di portarsi immediatamente al sud, se si vuol giungere in tempo di arrestarlo. Venti sterline al sole per chi avrà l’onore di scoprirlo.

— Voi, sergente, mi assicurate che la pista fu trovata? — chiese John saltando in piedi.

— Sicuro, e farete bene a non perdere tempo. Portate l’ordine all’intera compagnia di spingersi rapidamente al sud, e fate parlare al comandante William. Spicciamoci, amici, o il pirata prenderà il volo: venti sterline e un rapido avanzamento stanno nell’aria. Tutti al sud, mi capite, al sud.

Non ci voleva di più per allettare i due soldati. Raccolsero i fucili, cacciarono in tasca le pipe e augurato il buon giorno se la batterono con una certa rapidità per spargere la buona novella, scomparendo sotto gli artocarpi. Il pirata li seguì fino che poté collo sguardo, poi tornò a cacciarsi in mezzo alla macchia mormorando:

— Abbiamo del tempo; finché riposerò, essi mi sbarazzeranno la strada fino alla costa.

Chinò la testa sullo zaino, si assicurò che il fucile era a portata della sua mano e si addormentò senza più preoccuparsi dei nemici, più che sicuro di trovare al suo svegliarsi la strada libera.

Quanto dormì non avrebbe potuto dirlo, ma certamente poco, poiché il sole era ancor alto. Fu svegliato da una repentina detonazione che risuonò sotto la foresta, accompagnata da un galoppo precipitato.

— Che mi abbiano scoperto? — mormorò il pirata svegliandosi del tutto e raccogliendo la carabina.

Si rizzò sulle ginocchia e allontanando i cespugli con infinite precauzioni guardò. In sulle prime non vide nulla; udì solo il precipitato galoppo di un cavallo e credette che si trattasse di qualche cacciatore lanciato dietro a qualche babirussa, ma ben presto vide sbucare da una fitta macchia un uomo che non esitò a riconoscere per un Malese, il quale, con un kriss in una mano e un grossissimo randello nell’altra, attraversò in un lampo la radura, cacciandosi sotto un cespuglio vicino.

Quasi subito comparve un cavaliere col fucile ancor fumante in mano.

Era un Inglese, un soldato, che pareva in sulle furie, bestemmiando con vivacità e dando violenti strappi al cavallo che si impennava. Egli balzò d’arcione, prendendo una pistola che armò.

— Ah! la canaglia era nascosta laggiù fra i cespugli, dove strisciava come un serpente — gridava egli ponendosi a cercare con somma attenzione. — L’ho veduto appena, appena, ma mi è bastato per riconoscerlo. My-God! Era proprio il terribile Sandokan, la Tigre della Malesia. Se questo cavallo del diavolo non si fosse imbizzarrito, a quest’ora lo avrei nelle mani, ma non mi scapperà, no. Andiamo, giovanotto mio, non perdiamo tempo, frughiamo ben bene i cespugli e guardiamoci attorno. Bisogna guadagnare le cinquanta sterline promesse dal baronetto.

Il cavaliere, terminato il suo monologo, colla sciabola nella mano dritta e la pistola nella sinistra, penetrò nelle macchie, allontanando prudentemente i rami coll’arma e frugandovi nel mezzo colla punta, andando e venendo, bestemmiando in buon inglese.

Mentre il soldato frugava, Sandokan sempre nascosto fra i cespugli, cercava di vedere il Malese che aveva poco prima attraversato la radura facendosi inseguire pel terribile pirata. Ma per quanto si allungasse e girasse attorno gli occhi non ne venne a capo; si avrebbe detto che il fuggiasco fosse sparito sotto terra.

— Chi può esser mai questo Malese? — si domandò Sandokan. — Se ha tanta premura di non farsi vedere, non può essere che un individuo sospetto. Se fosse uno dei miei tigrotti?

La supposizione non era niente affatto ardita. Poteva darsi che quelli di Mompracem giustamente impensieriti del ritardo dei prahos e dell’assoluta mancanza di notizie, avessero spedito uno dei legni a Labuan.

Sandokan non esitò più a credere che quell’individuo, che tenevasi celato, fosse un pirata di Mompracem.

— In tal caso — diss’egli, — bisogna guardare che non venga scoperto e mandare al sud quel bestemmiatore. Non può riconoscermi, ne sono certissimo.

Stava per alzarsi e farsi vedere, quando dieci passi lontano vide muoversi i cespugli e apparire una testa. Tornò quella testa a sparire, ma non tanto presto che Sandokan non avesse a riconoscerla. Egli rattenne a malapena un grido.

— Giro Batoë! — esclamò. — Ah, il mio bravo Malese!

Giro Batoë era uno dei più intrepidi tigrotti di Mompracem, che aveva fatto parte della disgraziata spedizione sulle coste di Labuan. Sandokan, se ben si ricordava, lo aveva veduto cadere ferito ai suoi piedi e poi precipitare in acqua nella disunione dei due prahos.

Come trovavasi lì, era difficile saperlo. Senza dubbio era stato raccolto da qualcuno o aveva nuotando raggiunta la costa.

— Ecco un brav’uomo che bisogna salvare — mormorò Sandokan e senza esitar più si rizzò uscendo a metà dai cespugli, nel mentre che il Malese sorpreso dalla vicinanza del soldato, che aveva tutte le ragioni per crederlo un Indiano lanciato dietro le sue traccie, si aggomitolava su sé stesso per rendersi meno visibile.

Il cavaliere che andava e veniva bestemmiando vide subito Sandokan.

— Tò! un soldato! — esclamò il cavaliere guardandolo come un uomo che non crede ai propri occhi.

— Cercate un babirussa, che frugate tutti i cespugli dei dintorni? — domandò Sandokan. — Non è il momento questo, amico mio, bisogna aspettare la notte, e una notte magnifica, se lo si vuol trovare.

— Il babirussa! È un animale ben peggiore quello che io vado cercando, una vera tigre con denti e artigli capaci di spacciarci entrambi prima di prendere le armi. Non cacciate voi forse il pirata di Mompracem?

— Senza dubbio — rispose Sandokan. — Sono imboscato da tre ore, e sempre sulla sua pista.

— Sulla sua pista? E io ho scovato il pirata in persona. Non l’avete veduto voi attraversare la radura?

— In fede mia, non ho udito che il vostro colpo di carabina. Scommetterei che il furbo ha preso il volo verso il sud dove si dirigono le sue traccie. Si dice che corra come un cervo, e senza un cavallo non si riuscirà a prenderlo; se prendete la via del sud, non mi stupirei che aveste a trovarlo.

— A trovarlo sarebbe forse facile — rispose il cavaliere raggiungendo il suo cavallo. — Il difficile è a prenderlo, e vi confesserò che non mi sentirei d’averne il coraggio se non vi fossero una cinquantina di sterline, sulle quali conto per fondare una fattoria una volta gettata la sciabola del soldato. Andiamo, sergente, gl’Indiani sono tutti cavalieri, montate con me.

— E voi lo pensate? — disse con vivacità Sandokan che gettava di tratto in tratto uno sguardo ove si teneva imboscato il Malese. — Se noi lo inseguiamo verso il sud, credete che il pirata si lascierà inseguire su quella strada, quando alle spalle non vi ha nessun nemico? Si nasconderà in qualche macchia, dove un cane non sarà capace di trovarlo e si seppellirà sotto i pantani se non troverà meglio d’inerpicarsi sulle cime degli alberi come una scimia e poi un passo a dritta, un altro a destra, un semi-cerchio e indietro al galoppo ridendosi dello stratagemma. Noi lo inseguiamo tutti e due al sud ed egli fugge al nord.

— Per San Gilles! Voi avete ragione, sergente. L’ho sempre detto io, che un Indiano è furbo quanto un pirata — disse il cavaliere. — Sicché, voi restate e io vado a stanarlo.

— Sicuro e guardate se sarà possibile di allogargli una buona palla nella testa o almeno di cacciarlo dalla mia parte. Vi giuro sulla barba di Brama, che non mi scapperà.

— State in guardia però, sergente — disse l’Inglese salendo in sella. Stava per allentare le redini e partire, quando Sandokan l’arrestò con un cenno della mano.

— Una parola, se me lo permettete — gli disse.

— Due, sergente, se volete. Ma spicciatevi, che mi sembra di udire il tintinnìo delle cinquanta sterline di lord William.

— Voi avrete più occasione di me di recarvi alla villa di lord James.

— Lo credo, dal momento che i miei compagni si son accampati nel parco.

— Cercate di vedere lady Marianna e ditele che il malese Whu-Pulau ha passato felicemente le linee delle giacche rosse. Non mancherete di ricevere un pugno di fiammanti sterline.

— Non mancherò di farlo. E chi sarebbe questo Malese?

— Alto là! Non parliamo di cose che riguardano solo la lady. Andate, amico mio, o il pirata farà tanta via da far crepare il vostro cavallo prima di raggiungerlo.

— Sono una bestia! Avete ragione, sergente — e il cavaliere, salutato militarmente, spronò il cavallo e partì alla carriera internandosi nelle foreste.

— Corri, corri, animale — mormorò Sandokan accarezzandosi la barba con compiacenza. — Lady Marianna avrà mie nuove dal mio stesso nemico.

Stette un momento lì immobile, pensieroso, triste, poi si diresse verso i cespugli ove se ne stava Giro Batoë che aveva assistito senza batter palpebra alla conversazione, fuori di sé dalla gioia nel rivedere il suo terribile capo ancor vivo.

— Ohe! Giro Batoë! — gridò Sandokan.

Un urlo di gioia vi rispose e il Malese facendo un salto di dieci piedi gli cadde alle ginocchia.

— Ah! mio capitano! — esclamò il Malese con voce rotta e le lagrime agli occhi.

— Che diavolo! Il mio tigrotto Giro Batoë sarebbe capace di lagrimare come una femminuccia! — esclamò Sandokan rialzandolo.

— Ah! mio capitano, vi ho tanto pianto e sento tanta gioia nel rivedervi sano e salvo, che sarei capace di singhiozzare. Non vi hanno adunque ucciso laggiù, sui prahos?

— Ucciso? Uccidere la Tigre della Malesia? Ciò non avverrà mai, mi capisci, Giro Batoë, mai! Le giacche rosse non hanno abbastanza ferro per toccarmi il cuore. Orsù, parla ora: per qual caso ti trovi qui?

— Non avrete dimenticato la terribile battaglia che abbiamo ingaggiato alla foce del fiumicello con quell’infernal incrociatore, nella quale abbiamo subìto una sanguinosa disfatta.

— No, Giro Batoë, ti giuro che quella sconfitta la vendicherò e atrocemente.

— Sì, mio capitano, la vendicheremo e mi farò ammazzare il giorno, in cui ordinata una levata d’armi, non farò saltare le ruote della nave maledetta. Orbene, i due prahos erano stati legati, il ferro turbinava e ruggiva coprendo i nostri ponti di morti e di feriti; ad una scarica di mitraglia caddi ai vostri fianchi con una scheggia di ferro alla testa, svenni.

«Che accadesse di poi, non lo so. Quando rinvenni mi trovai in mezzo a un cumulo di cadaveri su uno dei legni che era stato da voi abbandonato. Vidi i vostri uomini battere in ritirata verso la costa; gridai per chiamarli, ma la voce del cannone copriva la mia.

«Il prahos su cui mi trovava, sventrato da un diluvio di ferro, affondò.

«Mi aggrappai a un rottame e dopo due ore di sforzi inenarrabili e patimenti atroci guadagnai la costa, e di là assistei alla seconda fase del combattimento. Oh! Era pur bello, superbo, quel prahos che lottava contro il gigante, avvampando da ogni lato, mordendo, ruggendo. Mi pareva assistere a una battaglia, dove gli uomini fossero diventati giganti ed eroi.

— Bene! — esclamò Sandokan, con legittimo orgoglio. — E poi?

— Poi, quando ho veduto che tutti erano morti, e che mi mancavano i mezzi per recare la fatal notizia a Mompracem, dopo aver a lungo pianto la morte dell’eroica Tigre e dei suoi tigrotti, mi internai nelle boscaglie, vivendo di frutta, di radici, di vermi. Così, di passo in passo stimolato dalla paura capitai in questi dintorni piantando dimora. Aiutato da alcuni indigeni che ebbero pietà del mio misero stato dissodai un lembo di terra e mi costrussi una capannuccia, aspettando tempi migliori per abbandonare questi maledetti luoghi. Rosi il freno per tre settimane, e già disperava di rivedere qualcuno dei miei compagni, quando udii che voi eravate vivo e che vi si dava la caccia. Credetti impazzire di gioia e partii all’istante, e nel cercarvi fui scoperto dal cavaliere inglese. Fu una fortuna, capitano, che egli mi inseguisse. Senza di lui non vi avrei forse mai trovato e non sarei più tornato alla costa per mettermi in mare colla mia canoa.

— Tu sei un valentuomo, Giro Batoë, e sono io che te lo dico, la Tigre della Malesia.

— Grazie, mio valoroso capitano — disse il Malese commosso. — Ma voi, come siete sfuggito al massacro?

— Ne parleremo più tardi — disse Sandokan cangiando tono, poi raccogliendo il moschetto:

— Tu mi hai parlato di una capanna e di un palmo di terra coltivato, non è vero?

— Sì, e dove troverete l’occorrente per isfamarvi, se avete dell’appetito e qualche sorso di acquavite che ho potuto procurarmi dagli indigeni raccontando loro qualche storiella o facendo qualche servigio.

— Tu mi hai parlato di una canoa sulla quale contavi raggiungere Mompracem, non è vero?

— Sì, una canoa che ho costruito scavando il tronco di un albero, aiutato da un giovane indigeno, una barca pericolosa, mio capitano, ma che saprà filare all’ovest quando la Tigre della Malesia la guiderà.

— Siamo lontani dal mare? — domandò Sandokan fattosi pensieroso.

— Un mezzo miglio al più. La canoa è nascosta fra fitti cespugli e non chiede che d’esser gettata in mare.

— Bene, andiamo alla capanna allora, poi penseremo alla partenza.

— Ma e i nemici? — chiese il Malese. — Sono capaci di scoprirci e di sorprenderci.

— Il nemico, Giro Batoë, ci insegue sulla via del sud. Del resto, non sono un sergente della fanteria Bengala?

I due pirati senza aggiungere parola si misero in cammino senza più curarsi del cavaliere che correva dietro alle cinquanta sterline né degli altri che potevano battere i dintorni.

Attraversarono la radura e penetrarono sotto la foresta camminando con passo rapido su di un terreno sparso di radici, che s’intrecciavano in mille guise quasi da prenderle per migliaia e migliaia di serpenti più o meno grossi, più o meno lunghi, e in mezzo a lunghe erbe spinose dove si tuffavano fino alle anche, un vero luogo d’imboscate ove sarebbe stato difficile l’evitarle.

— Camminiamo con prudenza — disse Sandokan al compagno — e rimani dietro di me. Vedendo la tua testa nuda e le tue vesti a brani, si potrebbe benissimo scambiarti per la Tigre e buscarti una fucilata malgrado la mia presenza. Gl’Inglesi sono testardi.

Camminarono per un quarto d’ora verso il nord, piegando alquanto verso l’occidente, senza incontrare il nemico, attraversando numerosi torrenti sulle cui rive si scorgevano le traccie di recenti passaggi, e giunsero a un piccolo sentiero appena visibile, dove il Malese si cacciò lestamente allungando il passo. Quando fu alla fine tese la mano e mostrando qualche cosa di oscuro:

— Ci siamo. Ecco la capanna.

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