Capitolo XIV – A Mompracem

Sandokan nel rivedere quell’isola, baluardo della sua potenza e della sua grandezza in quei mari, che non a torto chiamava suoi, sentì che ridiventava la Tigre della Malesia.

La profonda ruga che solcava la sua fronte scomparve istantaneamente e la malinconica espressione del suo volto sfumò per dar luogo all’usuale espressione truce, terribile che incuteva rispetto e paura ai suoi medesimi tigrotti. Il suo occhio triste s’illuminò, fiammeggiò e le sue labbra sorrisero col riso beffardo, crudele che somigliava tutto a quello della tigre. Quantunque la distanza fosse ancora notevole, con uno di quegli sguardi che avrebbero sfidato più di un cannocchiale, ispezionò d’un sol tratto la costa che gli si presentava dinanzi e si rese subito conto di ciò che era accaduto durante la sua assenza nell’isola.

Il villaggio era ancora in piedi; i terrapieni e le palizzate e le scarpe e controscarpe che costituivano la sua difesa, erano ancora al loro posto accresciute anzi di numero, segno certissimo che nessun incrociatore aveva tentato un assedio o uno sbarco. Solo dei trenta prahos, che di solito sonnecchiavano nella piccola baia, parecchi ne mancavano. Tuttavia i pirati non si preoccuparono di molto, immaginandosi che fossero usciti per corseggiare.

Le tenebre, che calavano rapide, posero in breve fine alle loro investigazioni. Il vento era scemato, ma la canoa, quantunque assai lentamente, continuava ad avanzare verso le coste ormai quasi invisibili di Mompracem.

Si poteva smarrirsi, stante la mancanza di stelle, coperte da un nero velo di fitti vapori che erravano nell’aria da due giorni ma fortunatamente i lumi e i fuochi accesi nelle capanne vennero in loro soccorso per indicare la via. Unendo i remi alla vela, i due pirati, dopo due ore sani e salvi, e senza aver destato l’allarme, sbarcavano sulla riva a duecento passi dalla rupe tagliata a picco sul mare, sulla cui cima stava come un’aquila l’abitazione della Tigre.

Tirata a secco la canoa, che minacciava di venir capovolta dalla risacca, raccolte le armi e tutto ciò che vi era di buono da asportare, si diressero senza far rumore verso la rupe, alla cui base spumeggiava il mare con prolungati muggiti. Sandokan, nel sentirsi sotto i piedi la sua isola, che faceva parte della sua vita, che considerava carne del suo corpo, come il mare faceva parte del suo sangue, respirò, e forse per un momento, per un lampo dimenticò Labuan e forse Marianna.

S’inoltrò con passo rapido fino ai piedi della rupe, seguito dal Malese che credeva di essere in preda a un sogno, parendogli ancora impossibile di trovarsi sulla sua cara terra, e guadagnò il primo gradino della tortuosa scala scavata nel vivo sasso che metteva alla cima.

— Giro Batoë — diss’egli con qualche emozione volgendosi verso il Malese che erasi arrestato. — Giro Batoë, ora che siamo giunti a Mompracem, torna alla tua capanna. Abbiamo da dire lassù certe cose che devono essere un secreto per gli altri. Va, di’ ai tuoi compagni che io sono giunto e nulla di più.

— Bene, capitano — disse il Malese, che non era meno commosso di lui. — Voi mi avete strappato da quell’isola dove io soffrivo come fossi sui carboni… Capitano, se vi sarà bisogno di sacrificare qualche uomo… fosse pure per quella che voi dite d’aver lasciato laggiù, pensate a me.

— Grazie, Giro Batoë… vattene ora, vattene — e il pirata, ricacciando nel fondo del cuore il ricordo involontariamente evocato dal Malese, salì rapidamente i gradini elevandosi fra le tenebre.

Raggiunse la vetta, si mostrò un istante dinanzi alle trincee sfondate in mezzo alle quali facevano sempre capolino avanzi di scheletri umani, guardò con un misto d’orgoglio e di fierezza la bandiera rossa che sventolava sulla cima della capanna, gettò uno sguardo lontano, lontano verso l’oriente in direzione di Labuan, rattenendo per un istante i veloci battiti del cuore, aspirò il vento della notte come aspirasse il profumo di Marianna, e si avvicinò ratto ratto verso la porta della capanna mandando un profondo sospiro.

Nell’interno brillava un lume. Passando presso ai vetri d’una fenestra, vide un uomo che stava seduto dinanzi a un tavolo, colla testa fra le mani. Riconobbe a prima vista suo fratello, il Portoghese.

Apri pian piano la porta ed entrò senza che Yanez lo udisse. Egli si arrestò:

— Ebbene, Yanez, hai dimenticato la Tigre della Malesia? — chiese improvvisamente Sandokan cercando comporre le sue labbra a un sorriso che invece si atteggiarono a una smorfia.

La frase non era ancor terminata che il Portoghese rovesciando il tavoliere era saltato in piedi. Indietreggiò gettando un grido di sorpresa e di gioia, si stropicciò gli occhi credendosi in preda a una allucinazione, poi si precipitò fra le braccia di lui che lo strinse al petto come fosse stata la giovinetta.

— Tu, Sandokan! Tu, Sandokan! — esclamò egli fuori di sé. — Ah! amico mio, io ti credeva ben perduto.

— Perduto? Oibò, Yanez, e tu pensi che la Tigre possa perdersi?

— Ma, disgraziato amico, dove sei stato che non abbiamo ricevuto più tue nuove? Ah! Credi tu adunque, che non vedendoti più tornare, e non trovandoti né alle Romades, né a Labuan, né alle Tre Isole, né alle coste del Borneo, non ti abbia creduto morto? Parla, spicciati, fratellino mio. Che hai fatto in tanti giorni mentr’io ho avuto la debolezza di piangerti? Dove sono i tuoi prodi? Che può mai esserti accaduto che per un sì lungo tempo sei scomparso? Hai forse saccheggiato qualche reame di Borneo, o la Perla di Labuan ti ha stregato? Spicciati, fratellino mio: di’ su qualche cosa.

Invece di rispondere a tutte quelle domande, che non parevano finir più, Sandokan si mise a guardarlo cogli occhi torvi e il volto abbuiato. Egli incrociò le braccia e si avvicinò all’armonium quasi gli saltasse l’idea di mettersi a suonare. Il Portoghese con un salto gli si pose dinanzi risoluto a impedirlo.

— Orsù — disse Yanez un po’ contrariato da quel silenzio. — Parla, che significa quel vestito da soldato che ti dà l’aria di una giacca rossa bell’e buona e quel volto truce? Ti è accaduta disgrazia?

— Disgrazia! — esclamò Sandokan con voce rauca. — Ma ignori adunque che dei miei uomini non rimane che il malese Giro Batoë? Ignori adunque che tutti sono caduti pugnando sulle coste di Labuan, dove io non sono sfuggito che per un miracolo di sovrumana energia. Senti, Yanez, ho una palla nel corpo, una palla delle giacche rosse, e ho del fuoco che serpeggia nelle vene, e che sale fino al cervello, sino al punto di farmi quasi impazzire!

— Battuto! Tu… la Tigre della Malesia! È impossibile! È impossibile! Tu vuoi burlarmi Sandokan.

— Sì, Yanez, sì, mi hanno battuto, mi hanno vinto e per di più la Tigre fu ferita! Buon per loro, che la ferita che vomitava sangue l’hanno curata colle loro mani, ma in cambio di ciò, m’hanno stregato. Capisci, Yanez? Il mio equipaggio fu sterminato, e io, io sono stregato!…

Il pirata fece scorrere con gesto convulso una seggiola accanto a quella poco prima occupata dal Portoghese, e dopo di aver vuotato l’un dietro l’altro parecchi bicchieri ripieni di wisky come cercasse calmare l’ira che l’assaliva, terribile ira che spesso cangiava in un tremendo delirio, con voce rotta o animata, rauca o sibilante, stridula o ruggente, alternando gesti violenti e imprecazioni, raccontò filo per filo l’assalto del prahos mercantile, il combattimento col piroscafo, l’abbordaggio nel momento che il proprio legno affondava, la ferita, le sofferenze, e la guarigione. Ma quando venne a parlare della Perla di Labuan, tutta la sua ira, con gran sorpresa del Portoghese, sfumò. La sua voce, poco prima rauca e quasi ruggente, prese allora un altro tono diventando dolce, accarezzevole, appassionata.

Decantò con slancio poetico le bellezze della lady, parlò di quegli occhi grandi, dolci, melanconici, azzurri come l’acqua del mare e che lo aveano commosso, parlò di quei capelli lunghi, più biondi dell’oro, più fini della seta, più profumati dei fiori, parlò di quella voce incomparabile, angelica, che aveva trovato un eco delizioso nella profondità del suo cuore scuotendone le fibre d’acciaio e di quelle mani che sapevano trar dalla mandola quei suoni sì dolci, che lo avevano affascinato, che lo avevano incantato.

Dipinse colla viva passione di un’anima che ama alla follia, quei cari momenti passati assieme a lei, quei cari momenti durante i quali dimenticava e la sconfitta, e la vendetta, e i suoi pirati e la sua temuta Mompracem, quelle delizie che non aveva mai provato in tanti anni di pugne, e delle quali conservava ancora sì cara memoria. Così narrò la caccia alla tigre, la confessione del suo amore, per poi scendere fino all’inseguimento nelle foreste, allo stratagemma col sergente Willis, all’incontro di Giro Batoë e infine all’abbandono di Labuan.

— Vedi, Yanez — diss’egli con accento ancora commosso, — nel momento che io mettevo piede nella canoa, mi parve che si staccasse un lembo del mio cuore. Fu un momento terribile, un momento supremo quell’istante in cui abbandonava quell’isola dove viveva la mia amata Marianna: avrei voluto subissare la canoa e Giro Batoë, avrei voluto far rientrare il mare nel seno della terra perché non lo valicassi più mai e far sorgere in sua vece un mare di fuoco! In quel momento avrei voluto far saltare Mompracem e tutti i suoi tigrotti, perché non m’attirassero più mai, e avrei voluto non essere mai stato la Tigre della Malesia!…

— Ah! Sandokan! — esclamò Yanez con tono di rimprovero.

— Non rimproverarmi, Yanez, non rimproverarmi. Se tu sapessi cosa io provo qua entro, nel cuore, in questo cuore che io credeva essere di ferro, che io credeva inaccessibile a qualsiasi passione! Guarda, Yanez, sono sì innamorato di quella Perla che se io me la vedessi dinanzi, che se io udissi da quelle labbra sulle quali ho posate le mie, che tradissi i miei compagni, mi sentirei capace di tradirli!… Se quella voce che m’inebbriò sin dalla prima volta che l’udii, mi chiedesse di far fuoco a Mompracem lo farei, se mi chiedesse di farmi Inglese, io, la Tigre della Malesia… sì, sì Yanez, lo sento che lo farei!…

«Ho sempre il fuoco nelle vene che mi flagella e che mi pare consumi a poco a poco le mie carni, e sento che l’amerò oggi, domani, sempre, perché l’ho trovata divina, perché mi ha inebbriato, perché ha avuto il coraggio di amare la Tigre della Malesia. Dal giorno che l’ho veduta, Yanez, dal giorno che mi fe’ gustare l’ebbrezza dell’amore mi sono sentito cangiare. Mi pare di avere sempre il delirio, mi pare che tutti i ricordi della mia vita terribile si cancellino, mi pare che un nuovo orizzonte mi si schiuda dinanzi. Sono stregato, sono ammaliato, Yanez, sono innamorato alla follia. Ovunque volga lo sguardo non vedo che Marianna aggirarsi raggiante a me d’intorno, che m’accompagna ne’ miei sogni, ne’ miei pensieri, ovunque vedo quel genio scintillante di bellezza che mi affascina, che mi abbrucia!…

Il pirata si alzò con gesto brusco e il volto alterato e i pugni stretti. Fece due o tre giri attorno alla stanza come cercasse allontanare quel fantasma divino, e calmare le ansie che lo divoravano, poi ritornando presso il Portoghese sempre immobile, ma che lo guardava fra il compassionevole e il collerico, disse:

— Ascolta, Yanez, tu non lo crederai, eppure l’amore di quella fanciulla la cui bellezza mi rende pazzo, è radicato fortemente nel mio cuore come il sentimento della mia vita, che nessuno al mondo varrebbe a strapparlo. Credi tu che prima di lasciarmi vincere non abbia lottato? Oh! Io ho atrocemente lottato, ma non valsero le mie ire per quella figlia che scende dalle giacche rosse, né la ferrea volontà della Tigre che è caduta sotto la potenza di quello sguardo magnetico. Quante volte, quando i ricordi della mia vita sanguinaria mi assalirono, ho tentato di spezzare la catena. Quante volte, quando al pensiero di dover forse abbandonare il mare, il mio sangue, ho tentato di spezzarlo, e quante volte infine, pensando che per averla avrei pur dovuto spegnere la Tigre della Malesia, perdere quel nome a me tanto caro, quel nome di cui vo così altero, ho cercato di fuggire, e sempre invano. Mi sono trovato fra due abissi: là Mompracem coi suoi pirati, sfavillante fra il balenar dei cannoni e galleggiante in un mar di sangue, e qui lei; mi son trovato fra due abissi sui quali mi sono librato per un istante esitando. Sono precipitato nel secondo, dal quale nessuna forza umana sarebbe capace di trarmi. Sono di lei! La Tigre morrà!…

«Se volessi svellere questa fiamma che m’arde non lo saprei fare, non lo potrei. Invano cercherei di cacciare quel genio, quel fantasma dei miei sogni. Invano cercherei rompere quel fascino che mi incatena. Né le battaglie, né le emozioni di una vita agitata, né l’amore dei miei uomini, né fiumi di sangue, né monti di cadaveri, sarebbero capaci d’infrangerlo. Un’ombra, un’immagine si frapporrebbe fra me e queste battaglie, fra me e queste grandi emozioni, e spegnerebbe l’antica energia della Tigre, e questa ombra e questa immagine sarebbe ancora lei. No!… No!… Yanez, non potrei dimenticarla e se pur lo volessi avrei paura. No! Non lo farei dovesse costarmi e il mio nome, e la mia isola e la mia gloria!…

Il pirata dopo aver dato libero sfogo alla passione, si era arrestato per la seconda volta. Egli s’avvicinò al Portoghese che pareva ascoltasse ancora e gli disse con voce rotta:

— Yanez!… Trovi tu, che la Tigre della Malesia amando si sia disonorata?… Credi tu che io, perché la follia mi prese, non sia più degno di te?… Yanez!… Yanez!…

Il Portoghese per tutta risposta gli si gettò fra le braccia. Sandokan se lo strinse al petto con frenesia.

— Che dici mai, Sandokan? Qualunque cosa avvenga io ti sarò sempre amico, ti seguirò ove tu andrai anche sino in capo al mondo e troverò sempre che tu sarai degno di me. Tu sei stato stregato, amico mio, tu oggi sei innamorato, ma domani ho la sicurezza che non vi penserai più e che sarai guarito, che ritornerai a essere la Tigre della Malesia dal cuore inaccessibile.

— Ah! Non ripetermi queste parole, Yanez. Ho giurato che Marianna Guillonk sarà mia e lo sarà!

Il Portoghese lo guardò più commosso che incollerito.

— Odimi, Sandokan. Io credo che tu ami questa fanciulla che chiami divina, ma hai tu pensato seriamente alle conseguenze che potrebbero derivare da questo tuo amore? Che diranno i pirati della Tigre della Malesia, quando la vedranno correre sulle traccie di una fanciulla?…

— Che si dirà?…

— Sì, che si dirà di quest’uomo che vantava avere un cuore di granito?

— Si dirà che anche un pirata ha un cuore per amare, come hanno amato i gran guerrieri dell’antichità. Si dirà, per chi non vorrà credere che io realmente sono innamorato, che le giacche rosse mi hanno stregato perché mi temevano.

— Ah! Sandokan, mi sembra ancora impossibile che tu abbia potuto amare una figlia inglese.

— No! — esclamò il pirata con violenza. — No, figlia inglese, no! Essa mi ha parlato di un mare azzurro più bello del nostro mare malese, che lambe i piedi della sua patria, di una terra che è coperta di fiori e che è dominata da un fumante vulcano, di un eden che non è l’Inghilterra, dove si parla una lingua armoniosa che nulla ha di comune con quella inglese.

— Ti credo, Sandokan, ma sei sicuro che suo zio acconsentirà a cedertela? Guardati bene attorno: avrei paura che le giacche rosse approfittassero di questo amore per tenderti un agguato; tu lo sai che sono anelanti di vedere il tuo sangue.

— E che? Crederesti tu, Yanez, che io abbia bisogno del consenso del lord per farla mia? Crederesti tu che io avessi paura di loro? Non sono ancora un pirata di Mompracem? Non sono ancora la Tigre della Malesia che comanda la terribile orda dei tigrotti? Non ho dei prahos per varcare il mare e approdare a Labuan? Non ho cannoni per far saltare gl’incrociatori e spezzare i più insormontabili ostacoli? Sì, Yanez, la rapirò e senza il permesso del lord!

— E quando l’avrai rapita, che ne farai?

La faccia di Sandokan s’abbuiò.

— Quando l’avrò rapita — diss’egli, — farò ciò che lei vorrà. Sarà il momento in cui si decideranno per sempre le sorti di Mompracem.

— E tu vuoi proprio tornare a Labuan?

— Sì, e a rapirla in pieno giorno e più presto di quello che tu creda. Laggiù ho un rivale, Yanez: il baronetto William.

— Chi è quest’uomo?

— Un maledetto che vorrebbe disputarmi la mano della lady, un maledetto che ho la certezza che non indietreggerà dinanzi a qualsiasi ostacolo pur di farla sua, un maledetto infine che potrebbe rapirmela.

«Tu lo vedi, Yanez, bisogna che io mi rechi a Labuan per impedire che questo rapimento possa accadere.

— E se questo William te la portasse via?

— Non dirlo, Yanez. Rapirmela sarebbe uccidermi.

— Ma sei sicuro che questa fanciulla ti seguirà a Mompracem? Se si rifiutasse?

— Non supporlo un solo istante, Yanez; essa mi seguirà. Me lo ha giurato quando mi amava sotto il nome di Whu-Pulau ed è tornata a giurarmelo quando mi amò sotto il mio vero nome di Sandokan. E poi, chi dice che io l’abbia a trarre a Mompracem? Se lei vorrà lascierò per sempre il mio nido, dove a onta di una carriera sanguinosa, passai momenti felici, e la condurrò lontana, lontana, dove vorrà, forse nella sua lontana patria, che ancora rimpiange.

Tra i due pirati successe un breve silenzio, durante il quale si guardarono l’un l’altro fissamente.

— E tu vorresti proprio arrischiarti ancora sulle coste di Labuan, dove fosti battuto? — chiese Yanez.

— Sì.

— Ma sai, Sandokan, che quei luoghi ci portarono sempre sfortuna, e che gl’Inglesi oggi sono più forti che mai? Sai che oggi non siamo più noi che dettiamo le leggi e che essi minacciano Mompracem e che aspettano il momento opportuno per distruggerci?

La Tigre della Malesia si mise a sogghignare, ma con quel sogghigno suo particolare che metteva i brividi.

— Yanez — diss’egli con fierezza. — Quando si tratta di far valere i miei diritti di pirata sono sempre la Tigre della Malesia che fa tremare i forti e che sgomenta gl’intrepidi. Quando si tratta di far conoscere la mia audacia, saprò condurre ancora i miei tigrotti alla vittoria, malgrado gl’incrociatori e le fortezze. Oggi non è solo il mio diritto e la mia audacia che mi spingono a Labuan: vi ha una fanciulla che io amo alla pazzia. Quando sarà venuto l’istante di agire mi vedrai all’opera. Là, dove vedrai brillare la lama della mia scimitarra e il mio kriss troverai cadaveri; quando udrai la mia voce, troverai il nemico disfatto. Giammai mi sono sentito tanto forte come oggi.

— Bene, vuoi farla tua? Sia. Non parliamone più; quando si tratterà di partire, si partirà: una cosa sola ora ti chiedo e sarà l’ultima che ti chiederà il tuo amico, il tuo fratello d’armi, poi farai ciò che ti parrà.

— Parla, Yanez — rispose Sandokan, ma che già si preparava a rifiutare.

— Quando credi che si prenderà il largo? Tu devi aver già destinato il giorno.

— Vi ha di più, ho destinato l’ora, se ti piace. Devo trovarmi all’appuntamento la mezzanotte del 6 maggio.

— Ah! Un appuntamento, di già? — esclamò il Portoghese corrugando la fronte.

— Sì, e al quale non mancherò, dovessi sfidare tutti gl’Inglesi di Labuan!

— Allora tu partirai il dì innanzi. Bene, bada a me, parti dieci giorni dopo.

— Dieci giorni dopo! Sei pazzo, Yanez? Non sai adunque che io pavento quel rivale fino a che sono qui?

— Lo so, Sandokan, ed è bene per lasciargli tempo di compiere il suo progetto se ne ha qualcuno di ardito, o almeno a far credere a lei che ti hanno ammazzato o annegato durante la fuga, togliendole ogni speranza di rivederti. Credi a me, sarebbe il meglio che potesse toccarti, e sarebbe meglio per noi.

— Lasciarmela rapire?… Farla piangere… soffrire… farle spargere delle lagrime! Mai, Yanez, mai! — gridò il pirata fuori di sé. — E sei tu che me lo dici, tu, quello che io chiamava mio fratello? Dimmi, quale scopo avevi per parlarmi in tal guisa?

— Quello di salvare Mompracem! — rispose gravemente il Portoghese.

Il pirata si nascose il volto fra le mani e mandò un sordo gemito, che pareva un ruggito. Il Portoghese ebbe pietà di lui. Capì sino a qual punto fosse innamorato quel terribile uomo.

— Povero amico, sei adunque atrocemente ferito? — gli domandò egli, cangiando tono.

— Sì, sono ferito… atrocemente ferito! Vedi, m’hai cagionato tanto male, che un pugnale nel cuore me ne avrebbe fatto meno.

Sandokan si diresse bruscamente verso la porta, che aprì furiosamente.

— Dove vai? — gli domandò il Portoghese arrestandolo con ambe le mani.

— Ritorno a Labuan — rispose con voce rauca il pirata. — Domani dirai ai miei uomini che gl’Inglesi mi hanno ucciso. Non udranno più mai parlar di me, e tu sarai la nuova Tigre… io ritorno da lei!

— Sandokan! — esclamò Yanez circondandolo con ambe le braccia e traendolo verso di sé. — Sei pazzo tu per ritornare a Labuan, solo, con simil volto, laggiù, dove ti daranno la caccia come una belva feroce, dove non avrai un amico che ti difenda, quando a Mompracem vi sono cento e più uomini pronti a seguirti in capo al mondo? Rimani, Sandokan, lo voglio. Voglio che tu ritorni l’antica Tigre della Malesia pur amando.

I due pirati si precipitarono l’un nelle braccia dell’altro e rimasero così, stretti. Un fischio prolungato, un fischio d’allarme li separò bruscamente. Entrambi lo riconobbero.

— Giro Batoë! — esclamò Sandokan, slanciandosi verso la porta sospettando qualche cosa d’insolito.

— Giro Batoë! — ripeté il Portoghese, che aggrottò la fronte, seguendolo frettolosamente.

La notte era egualmente oscura come poche ore innanzi, ma con tutto ciò i due pirati scorsero il Malese che saliva come una scimia facendo i gradini a quattro a quattro. In pochi istanti giunse fino alla piattaforma.

— Siete voi capitano? — domandò egli avanzandosi frettolosamente.

— Sì, e che vuoi, Giro Batoë? Che significa la tua presenza a un’ora così tarda e in un luogo ove non hai nulla da fare? — domandò Sandokan con voce collerica. — Spicciati: se sei venuto per parlare, parla, se non hai nulla di serio ritorna alla tua capanna prima che mi venga l’idea di gettarti dalla rupe.

— Sarò breve. I prahos sono giunti ora — disse Giro Batoë.

— Bene, e poi? — domandò il Portoghese. — Se era per venire a dirci questo, potevi andartene a dormire.

— Non è tutto. Hanno portato delle notizie inquietanti. A quanto udii un incrociatore si è fatto vedere al sud dell’isola. Pare che sia venuto da Labuan, e che abbia idea di mostrarsi dinanzi al villaggio.

— Ah! — esclamò Sandokan. — Credono adunque le giacche rosse, che noi siamo ancora in mare? Se sono venuti per questo, possono tornare a Labuan. Che hanno detto i nostri uomini?

— In fede mia, capitano, non si inquietano tanto e si sono accontentati di porre alcuni buoni artiglieri dietro i terrapieni del sud. Hanno creduto bene di lasciar dormire il capitano Yanez.

— Si ignora adunque che sono ritornato da Labuan?

— Perfettamente, Tigre della Malesia. Non mi avrebbero creduto, e poi l’effetto sarà più grandioso e più inaspettato quando comparirete in persona. Credete che abbia fatto male?

— No, mio bravo Giro Batoë. Va a dir loro di raddoppiare le sentinelle e di caricare i cannoni. No, rimani, che voglio preparare io una graziosa burla al piroscafo quando navigherà in queste acque.

— Che hai in capo di fare? — domandò il Portoghese.

— Lo vedrai, Yanez. Aspettiamo il suo arrivo; sono sicuro che non tarderà a presentarsi dinanzi al villaggio.

I tre pirati si accomodarono all’aperto, sedendosi sulle trincee sfondate accanto agli scheletri, cogli occhi rivolti al sud, l’uno accarezzandosi il mento come uomo che ha trovato ciò che cercava, e gli altri due curiosi di veder ciò che doveva accadere.

Passò un’ora senza che il piroscafo segnalato si mostrasse all’orizzonte, e durante la quale nessuno dei tre disse parola. Si credeva già che avesse preso il largo, quando all’alba furono veduti i suoi fanali ancora accesi che brillavano nella semi-oscurità. Veniva dal sud, navigando a un duecento passi dalla costa e avanzandosi a piccolo vapore. Si sarebbe detto che con una insolente bravata volesse sfidare i pirati di Mompracem.

— Eccolo — disse il Portoghese. — La canaglia si crede di essere ben forte per passare sotto costa.

— Meglio così: avrà agio di vedermi senza l’aiuto di cannocchiali — rispose Sandokan. — Ohe! Giro Batoë, accendi un fuoco presso di me, bisogna che mi scorga bene, che gli mostri che la Tigre della Malesia è ancora viva.

Il Malese non se lo fece ripetere. In pochi istanti accese un gigantesco falò capace di essere veduto a venti miglia in mare.

— Bene — disse Sandokan. — Ora scendi al villaggio e dìai miei tigrotti di imboscarsi dietro le batterie. Quando alzerò la mia bandiera che facciano ruggire i cannoni.

Il piroscafo continuò ad avanzare attirato da quel chiarore insolito passando dinanzi al villaggio a piccolo vapore e a meno di quaranta passi dalla costa. Quando giunse dinanzi alla gran rupe, Sandokan uscendo dall’ombra comparve improvvisamente accanto al fuoco: egli si arrestò sull’estremo ciglione colle braccia tese verso di lui e l’occhio fisso su di un uomo che si teneva in piedi sul ponte di comando.

— William! William! — esclamò egli con iscoppio furioso.

— La Tigre! — esclamò quell’uomo che non era altro che il baronetto William.

— Guardami in volto! Guardami! — urlò la Tigre della Malesia avvicinandosi ancor più all’abisso sotto il quale rimuggiva il mare con fracasso. — Sono vivo!

Vi rispose una tremenda bestemmia seguita da una scarica di fucili.

— Arrivederci a Labuan! — disse Sandokan ghignando. — Ci ritroveremo, maledetto da Dio e quel dì berrò il tuo sangue!

Si vedevano allora un centinaio di ombre agitarsi sulle batterie del villaggio.

Sandokan afferrò la rossa sua bandiera e la levò mostrandola al piroscafo, il quale cercava di virare di bordo per accostarsi alla spiaggia.

Un primo colpo di cannone tenne dietro a quel comando, poi dieci, venti, cinquanta: le trincee, i terrapieni, le lunette, i fossati, i prahos in un baleno s’empirono di fumo ruggendo.

Una tremenda grandinata di ferro piovette sul piroscafo demattandolo e rasandolo come un pontone, costringendolo a prendere il largo a tutto vapore, mentre che i pirati correndo sulla costa gridavano ad una voce:

— Viva Mompracem! Viva la Tigre della Malesia!

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