Capitolo XXII – L’ussaro

La comparsa del bravo Malese fu accolta dai capi della pirateria con un vero urlo di gioia. Tutti i timori che cominciavano ad assalirli sulla sorte dei prahos svanirono in un lampo.

— Sei tu, proprio tu, proprio il mio Giro Batoë? — disse Sandokan, sollevandolo da terra. — Credevo proprio che la fatalità me lo avesse rapito. Di’ su, Malese mio, dove sono i prahos?

Il Malese lo sguardo con occhi spaventati, senza aprir bocca.

— Sei diventato muto? — chiese Yanez.

— Zitto, non qui, nella capanna — balbettò Giro Batoë. — Possono udirci.

I tre pirati si affrettarono ad entrare nell’abituro e a rinchiudere prudentemente la porta per non attirare l’attenzione di qualche cacciator di piste, che potevasi trovare nei dintorni. Il Malese accese un po’ di fuoco.

— Ebbene, Giro Batoë? — chiese Sandokan, che ardeva di impazienza. — Dove sono i prahos? Spicciati, per l’inferno che sento gravitarmi una pietra sullo stomaco.

Il Malese mandò un sospiro e per la seconda volta fissò il capitano con occhi smarriti e la faccia sconvolta. Sembrava spaventato.

Sandokan e il Portoghese gli si slanciarono addosso. L’ansietà era dipinta sulle loro faccie.

— Giro Batoë!…

— Capitano! — rispose il Malese con un filo di tremula voce.

— Per Giove! Che hai tu? Che ti è accaduto? Dove sono i tuoi uomini?

— I miei? Sono in vista della costa, i miei, quelli del mio prahos.

— E gli altri?

— Disgrazia! Disgrazia!… — gemette Giro Batoë.

— Che ne fu degli altri legni? Tu sei partito con più di un prahos.

— Sì, ma sono perduti.

La Tigre mandò un ruggito straziante e si cacciò le mani nei capelli. Il Portoghese indietreggiò.

— Chi hai incontrato? — chiese con truce accento Sandokan. — Degli incrociatori forse?

— No, non ho veduto navi nemiche.

— E allora?

— Fu la tempesta!

La Tigre mandò una bestemmia.

— Ah! La tempesta! La tempesta! — muggì egli. — Fu la mia sventura, il mio ultimo colpo di grazia.

Egli si prese la testa fra le mani e stette qualche minuto così, cogli occhi torvamente fissi a terra.

— Narra, Giro Batoë, narra — disse Yanez che non aveva più sangue nelle vene. — Come andò la cosa?

— Sono partito da Mompracem con tre legni e sessanta uomini.

— Ebbene?

— La tempesta infuriava. A mezza via fra Labuan e Mompracem un prahos fu inghiottito dalle onde. Ah! maledette onde!

— Tira innanzi — comandò Sandokan.

— Tentai salvare gli uomini che lo montavano, ma mi fu impossibile. Fui trascinato verso Labuan e perdetti di vista l’altro legno che sparve fra le tenebre. Mi parve vederlo disalberato.

— E poi?

— Poi sono giunto a Labuan dove approdai mettendomi in cerca di voi. Capitano, se credete che io sia colpevole, arresterò la prima palla di cannone, come la arrestò Patau.

Sandokan non rispose. Incrociò le braccia, la sua faccia si fe’ cupa, lo sguardo torvo diventò sfavillante. Un singulto, uno straziante singulto gli lacerò la gola, una bestemmia uscì dalle frementi labbra, ma fu tutto.

Fece due volte il giro della capanna con agitazione nervosa, poi si arrestò dinanzi a Giro Batoë e, guardandolo fisso, con voce grave gli disse:

— Lo sapeva, Giro Batoë, che tu saresti venuto e che la tempesta che mi rapì Paranoa e tutti i suoi, avrebbe egualmente rapito qualche altro prahos. È una fatalità, ma che si romperà dinanzi al ruggito della Tigre della Malesia; sì, io romperò questa fatalità che si libra al disopra di Mompracem minacciando la nostra potenza. Via, quanti uomini hai tu?

— Venti — rispose il Malese guardando il pirata la cui faccia cupa si rasserenava a poco a poco.

— Venti uomini! E sono tutti questi degli ottanta che sono partiti dalla mia… Mompracem!

— Ma Paranoa, dov’è egli?

— Dov’è? Al nord se non ha naufragato — rispose Sandokan che piegato un istante si rialzava più indomito di prima. — Tutto volge alla peggio, Giro Batoë, ma se la tempesta ci ha battuto e se gl’Inglesi si armano e accrescono di numero e di potenza, noi li sfideremo entrambi. Sì, diverrò la Tigre e guai ad essi se oseranno opporre il ferro al ferro!

— Ma che vuoi far tu con venti uomini? — domandò il Portoghese, che credeva di già la spedizione andata a male.

— Che voglio fare? — esclamò Sandokan con violenza e interrompendo la passeggiata. — Ascolta, Yanez, tutti i nostri progetti di assalti sono crollati dinanzi alla fatalità, dovrò cangiar giuoco ora che le forze son venute meno quando più io sperava e che ne aveva bisogno, ma riusciremo. Ho giurato che io la strapperò la mia Marianna dalle mani di quel mostro che si chiama suo zio. Ho giurato che la farò mia, che la porterò meco nella mia isola, e tu sai che io sono uomo da mantenere la parola. Lascia che io abbia compiuto questa grand’opera, che io sia guarito da questa malattia che mi abbrucia e poi vedrai la stella di Mompracem brillare più viva di prima. Poveri tigrotti!…

Il pirata si mise a camminar con passo agitato per la capanna, colle braccia incrociate, la testa china, gli occhi torvi e le labbra contratte che lasciavano vedere i denti stretti. Si vedeva lo spasimo di un atroce dolore dipinto sul suo maschio volto. Egli divenne cupo come la notte più cupa conficcandosi le unghie nella carne, rattenendo un singulto che gli montava a intervalli alla gola uscendo dal cuore che in quei momenti doveva sanguinare, pensando e ripensando a quegli uomini, ai suoi tigrotti che il formidabile pirata riguardava come carne delle sue membra, come il mare era sangue delle sue vene, e sui quali non doveva più mai contare. La Tigre mirò con ispavento la minaccia che balenava su Mompracem, la ruina della sua isola che si approssimava, e forse in cuor suo, maledì l’istante in cui si era invaghito della giovanetta.

— Poveri compagni! — mormorò egli con voce rauca e l’esclamazione gli si soffocò fra le labbra con un basso ruggito.

Ma l’emozione, il dolore per i suoi uomini inghiottiti senza gloria fu un lampo. La passione riprese il sopravvento e rialzando il capo con orgogliosa fierezza, si fermò dinanzi a Giro Batoë che lo contemplava assieme al Portoghese, tristamente.

— Dov’è il tuo prahos? — domandò egli con quella calma e con quell’accento imperioso che adoperava in altri tempi.

— A sei o sette miglia al largo; non attende che il mio segnale per approdare — rispose il Malese.

— Bisogna che approdi questa notte stessa. Gl’incrociatori potrebbero scoprirlo e rubarmi quest’ultima speranza.

— Sandokan — disse il Portoghese avvicinandosi al suo amico sempre cupo e pensieroso. — Sentiamo: sogni ancora di rapir la giovanetta?

— Se sogno? Credi tu, Yanez, che la malattia sia guarita o che la Tigre vinta la seconda volta abbandoni l’impresa? Vedi, Mompracem, io lo so, è perduta forse per sempre, ma lei vive, lei è sempre là ad aspettarmi e io l’avrò. Che importa se le forze sono venute meno alla Tigre? Che importa se gli Inglesi sono cento volte più forti di noi? Alla forza noi opporremo l’astuzia, al ruggito del leone l’agilità della Tigre. Andiamo a far approdar il prahos, è d’uopo che salvi almeno coloro che ancor mi restano.

— Ma che vuoi mai fare? Siamo deboli, Sandokan, non lasciarti guidare dalla passione che potrebbe perderti.

— Perdermi? Che io voglio fare? — disse il pirata che si sentì ingigantire invece di spaventarsi. — Credi tu che gli ostacoli sieno capaci d’arrestarmi Yanez? Vieni, tu mi vedrai domani stesso all’opera.

«Ci imboscheremo sfidando le forze del prepotente che crede spaventare i pirati di Mompracem, spieremo l’istante in cui meno veglierà per piombargli addosso come tante aquile e schiacciarlo. Mi basterà un momento per rapir Marianna, lo capisci fratello mio?

— Tu vuoi ancora rapirla, Sandokan — disse il Portoghese che non approvava la violenza del suo compagno.

— È l’unica risorsa che mi rimane. Lascia che io la veda un sol istante nel parco e sarà mia. Vieni ora, andiamo al prahos.

I tre pirati uscirono dalla capanna nel più profondo silenzio. Giro Batoë, il più pratico di quei luoghi, si mise alla testa, e facendoli passare per certi sentieri noti ai soli indigeni e a lui, attraversando numerosi torrentelli di cui Labuan pare che abbondi, facendoli scalare alberi e passare fra cespugli spinosi, li condusse al mare senza avere incontrato anima viva. Egli si mise a guardare attentamente all’ovest scrutando il fosco orizzonte e mostrò ad essi un punto luminoso appena distinto, che si poteva facilmente scambiare con una stella, ma che lentamente scivolava sui neri flutti.

— È il fanale sospeso al pomo della maistra — diss’egli. — Possiamo andare alla foce del fiumicello, che è poco lontana.

— Qual segnale devi fare perché si avvicini? — domandò il Portoghese guardando il punto luminoso che continuava a camminare.

— Accendere due fuochi sulla spiaggia. Un fuoco solo era segnale di allontanarsi maggiormente — rispose il Malese.

Essi percorsero un mezzo miglio camminando sulla sabbia in mezzo a numerosi gusci d’ostriche, di crostacei e ad ammassi di alghe, gettando di tratto in tratto qualche occhiata verso la foresta oscura e il fanale. Essi giunsero verso la mezzanotte alla foce del fiumicello, le cui acque, scorrendo con lieve mormorìo fra le rive ristrette e boscose, si mescevano con quelle del mare che andavano ritirandosi per la bassa marea. Con un colpo d’occhio, i pirati si assicurarono che era perfettamente deserto.

— Non vedo luoghi troppo propizi per nascondersi — disse il Portoghese, dopo di aver esaminato le rive. — Se gl’Inglesi vengono a perlustrare i dintorni, lo vedranno senza dubbio, anche se si tirasse a secco in mezzo alle erbe e gli alberi.

— Non lo scopriranno, Yanez — disse Sandokan. — Noi lo nasconderemo in mezzo alle canne della piccola palude, coprendolo ben bene di rami e di foglie dopo di aver levati gli alberi e tutte le manovre. Giro Batoë, fa il segnale.

Il Malese non perdette tempo. Radunò un fascio di legne che raccolse sul limite del bosco e accese due fuochi a una certa distanza l’un dall’altro. I tre pirati videro da lì a poco il fanale del prahos sparire per dar luogo a un fanale rosso. Giro Batoë spense i due fuochi.

— Fra mezz’ora saranno alla spiaggia — diss’egli. — Ho raccomandato di tenersi sempre sotto vela per poter avvicinarsi o prendere il largo al menomo pericolo.

I tre pirati si sederono sulla spiaggia cogli occhi fissi sul rosso fanale che andava a poco a poco avvicinandosi. Dopo dieci minuti il prahos era visibile.

Aveva le sue immense vele spiegate e fendeva le onde rapido come un lampo e senza rumore: si sarebbe potuto scambiarlo per un gigantesco uccello dalle ali lunghe quaranta e più metri.

Arrivò presto alla costa, imboccò senza arrestarsi il fiumicello e gettò l’âncora di fronte alla piccola palude. I tre pirati lo raggiunsero e salirono a bordo accolti da fragorosi battimani.

Sandokan con un gesto li fe’ tacere.

— Silenzio — diss’egli. — Fatevi a me d’intorno.

L’equipaggio lo circondò.

— Siamo soli — continuò egli senza lasciar trapelar commozione veruna dalla voce. — Tutti gli altri sono morti, uccisi dalla fatalità che gravita tremenda su di noi; che nessuno parli, che nessuno si lamenti, che nessuno faccia la minima obiezione. La Tigre della Malesia lo vuole.

— Bene — risposero in coro i marinai con ferma voce. — Nessun parlerà.

— Siamo forse spiati, forse dei nemici vagano in questi dintorni; silenzio assoluto adunque e prudenza! Io lo comando. Giro Batoë, fa ammainare gli alberi e le vele, fa scomparire ogni manovra elevata e caccia il prahos sulla riva sinistra in mezzo ai canneti. Fallo scomparire sotto un ammasso di fogliame e di rami in modo che alcun occhio possa riconoscerlo e getta l’imbarcazione in acqua. Fra poco io partirò.

Non aggiunse una parola di più, e scese col Portoghese nella cabina mentre che i suoi uomini, ciechi strumenti dei suoi voleri, senza emettere né un lamento né un sospiro, si mettevano febbrilmente al lavoro sotto la direzione di Giro Batoë.

Dato il sacco alle provvigioni, il Portoghese e la Tigre si stesero sulle brande per dormire, ma per quanto quest’ultimo lo cercasse, non gli fu possibile.

Tetri pensieri, paure, inquietudini, lo assalivano e gli strappavano, suo malgrado, imprecazioni, ruggiti e forse forse dei singhiozzi.

Per quanto forte, feroce, fatalista fosse, il terribile uomo non riusciva a rassegnarsi alla perdita di quei cari compagni, di quei cari tigrotti, fautori della sua gloria, che aveva per tanti e tanti anni tratto di vittoria in vittoria, né sapeva rassegnarsi alla perdita completa della sua cara Mompracem, della sua temuta isola, che ormai, sprovvista di difensori, potevasi chiamare morente.

Quantunque avesse di già intravveduto il prossimo tramontar della sua stella in quei mari, il prossimo tramontar della sua potenza, del suo nome, all’ultimo momento sentivasi straziare il cuore, sentivasi mancare la forza. Per quell’uomo, benché innamorato alla follia, era atroce veder cadere brano a brano quella nomea che a prezzo di tanto sangue aveva acquistato.

Si levò dalla branda, dove tutta la notte s’era agitato ruggendo, mugolando, che il sole si era alzato, e si lasciò cadere su di un sedile, colla testa stretta fra le raggrinzate dita.

— Ah! — esclamò egli, con voce strozzata. — Il pirata sta per spirare, la Tigre, quella terribile Tigre che un dì andava orgogliosa del suo nome, sta per morire e morire per sempre. Marianna! Marianna! se tu sapessi quanto mi strazi il cuore! Se tu sapessi quanto mi costa amarti, quanto mi costa abbandonare la mia terribile carriera, che era la mia gloria!…

«Orsù, era fatalità, era destino che io, dopo aver tanto brillato, dopo aver guazzato nel sangue di coloro che mi morsero il cuore, di aver sparso il terrore per duecento miglia a me d’intorno, avessi ad amare!

«Un giorno il mio cuore era di granito, un giorno non sapeva amare che le stragi, che le guerre, che la mia Mompracem, che il mio mare, che i miei tigrotti… e ora non so amare che lei, Marianna, la nepote di una giacca rossa, d’un nemico!

«Giorno e notte sento il fuoco dell’amore che mi arde il cuore, che serpeggia come piombo fuso nelle mie vene; giorno e notte non vedo che lei che volteggia dinanzi ai miei occhi, che mi sorride, che mi affascina, che mi accieca, che spegne l’ultima mia volontà, l’ultima mia forza che potrebbe ancora essere capace di spezzare la catena che mi lega a lei! Non sono più la Tigre, non sono più il terribile Sandokan; sento di essere un’ombra ammalata, atrocemente rosa dall’amore, e destinata a perire fra le braccia di quell’incantatrice dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro che mi ha domato dopo avermi distrutto i miei tigrotti, i miei figli!…

Il pirata alzò le braccia, con gesto disperato e chiuse gli occhi movendo le labbra come cercassero un bacio nell’aria. Stette così un minuto, due, cinque, immobile trasognato, poi tornò in sé.

Gettò un sospiro; il passato ricomparve assieme all’avvenire, entrambi tenebrosi, sfilando dinanzi ai suoi sguardi e rabbrividì, suo malgrado, di spavento, ma fu tutto.

Fece qualche passo per la stretta cabina poi salì in coperta dove il Portoghese lo aspettava di già con qualche impazienza. I suoi ordini erano stati puntualmente eseguiti durante la notte, di maniera che il prahos era completamente scomparso a qualsiasi sguardo d’Inglese. Giro Batoë dopo di aver fatto ammainare gli alberi, e levate le vele, l’aveva fatto trascinare fra i canneti dalla riva sinistra, ricoprendolo di un ammasso di rami e di alberelli, che lo nascondevano del tutto.

La sola imbarcazione galleggiava fra la riva e anch’essa semi-nascosta tra le erbe.

— Credeva che dormissi per due giorni interi — disse il Portoghese movendogli incontro con sollecitudine.

— No, Yanez — rispose Sandokan. — Progettava il mio piano. Ecco tutto.

— Ebbene che pensi di fare? Bada bene, Sandokan, che se si deve giuocare giuochiamo in silenzio e con astuzia.

— Lo so, e ci metteremo subito in campagna. Non bisogna lasciarci sfuggire la minima occasione per porsi all’opra. Scegli dieci fra i più agili e coraggiosi uomini e, assieme a Giro Batoë, imbarcali. Mi occorrono e bene equipaggiati.

I dieci uomini, la maggior parte Malesi e Bughisi, di un provato coraggio e di una agilità da dare dei punti alle scimie stesse, furono scelti in un batter d’occhio. Furono imbarcati assieme ad alcune coperte, una tenda, munizioni e una grossa provvista di viveri. Sandokan, prima di unirsi ad essi, chiamò il sottocapo.

— Ikaut — diss’egli volgendosi verso il Dayacco. — Tu rimarrai con dieci uomini al prahos per ogni possibile evento; bada a essere prudente e non attirare l’attenzione delle giacche rosse che possono girare nei boschi o navigare sul mare. Eseguisci ciecamente gli ordini che ti saranno mandati, e tienti pronto a qualsiasi ora per prendere il largo.

— Bene, capitano, fidatevi di me — disse Ikaut. — Quando me l’ordinerete, il prahos sarà in mare prima di un’ora.

Sandokan prese posto nell’imbarcazione, e i tredici uomini attraversato il fiumicello sbarcarono sulla riva opposta.

— Dove andiamo noi? — domandò il Portoghese guardando Sandokan sul cui volto brillava un raggio di contentezza.

— Lo vedrai, Yanez, noi compieremo il nostro progetto senza rumore, ma con torrenti di sangue.

Caricatisi dei viveri, armi e munizioni, la tenda e coperte, si misero in marcia attraverso i boschi, dirigendosi senza rumore, e senza fretta verso la villa che poteva distare tre chilometri. Sandokan dopo di aver guardato con qualche attenzione un mango selvatico contornato da rotang e da cespugli che lo coprivano a metà si arrestò.

— Tu rimarrai qui — diss’egli, volgendosi a uno dei suoi uomini. — Pianterai il tuo domicilio, ti terrai nascosto o nei cespugli o nel fogliame. Trecento metri alla tua sinistra hai il fiume e quindi il prahos col quale avrai facile relazione e gli trasmetterai i miei comandi, e a trecento metri verso il bosco avrai un tuo compagno. Spia, riferisci a esso ciò che tu vedi che di bocca in bocca passerà sino a me. Mi comprendi? Una catena ti unisce al prahos e a me; abbi prudenza e che la fortuna ti sia propizia.

Gli fu dato una coperta, la sua parte di munizioni, qualche po’ di viveri e lasciato. Mentre egli preparava il suo domicilio fra i cespugli, il drappello continuò la marcia, fino a che, ad altri trecento o trecentocinquanta metri, fu posta una nuova sentinella. La manovra si ripeté, descrivendo una gran curva a una certa distanza dalla villa, fino a che Sandokan, il Portoghese e Giro Batoë giunsero sul sentiero che menava a Vittoria, la cittadella di Labuan, a una distanza di circa tre o quattro chilometri dal fiumicello. Standosene colà accampati, spiando ogni occasione propizia, potevano avere una continua relazione col prahos senza essere scoperti e ricevere o trasmettere notizie e comandi. Le sentinelle che avevano posto, erano uomini che non si lasciavano sì facilmente scovare, capaci di attraversare una intera foresta passando di ramo in ramo a mo’ delle scimie sia di giorno che di notte, senza destare attenzione, passando sopra la testa del più astuto cercatore di piste.

— Hai compreso il mio piano? — domandò Sandokan al Portoghese che si stropicciava le mani da uomo contentissimo.

— Perfettamente, fratellino mio — rispose egli. — Avevo ragione di dire che la Tigre è più forte del leone.

— Sì, e ne vedrai ancor di belle, Yanez. Noi siamo sul sentiero di Vittoria a un seicento metri dalla villa, nulla può sfuggirci di ciò che può succedere, e se il lord ha qualche idea di darsi alla fuga per sottrarre la giovanetta alle mie zanne, avrà da che far con me, per quanti soldati abbia. In un baleno posso radunare ventitre tigri o in un baleno prendere il mare. Lo vedrai.

Il campo fu rizzato in mezzo a tre banani selvatici, i quali completamente avviluppati fra una rete di rotang e di gamuti, nascosti ai piedi da fitti quanto alti cespugli, permettevano ai pirati di passare i giorni senza essere con tanta facilità scoperti. La tenda tenuta assai bassa e di color scuro che si poteva confondere colle piante, fu rizzata, e i tre uomini con una grossa provvista di viveri, bene armati, e con qualche bottiglia di wisky vi presero posto aspettando pazientemente gli eventi, senza perdere di vista il sentiero lontano una sessantina di passi.

Non erano passate sei ore, che Giro Batoë era andato a prendere notizie dalla prima sentinella imboscata sulla cima di un gluga. Fu nel ritornare che l’orecchio fino del Malese fu colpito da un lontano rumore, appena distinto che doveva venire dal sentiero che conduceva a Vittoria. Senza comprendere da ciò che provenisse, in pochi salti guadagnò la tenda.

— All’erta capitano! — esclamò egli. — Qualche cosa succede sul sentiero; io ho udito un certo rumore che non rassicura troppo.

— Gl’Inglesi di già? — mormorò il Portoghese, che, da uomo prudente, tendeva la mano verso la sua ricca carabina.

— Non lo potrei accertare. L’essere che lo produce deve trovarsi assai lontano — disse Giro Batoë.

— Possiamo prendere le nostre precauzioni — disse Sandokan. — Può essere qualcuno che si avvicina alla villa. Venite.

Uscì seguito dai compagni e si spinse fino al sentiero dove appoggiò l’orecchio al suolo. Non tardò a udire un suono precipitato che andava avvicinandosi rapido e che la superficie della terra trasmetteva chiaramente.

— Mi sembra un cavallo — diss’egli, alzandosi. — Se fosse un cavaliere che si recasse alla villa?

— In tal caso consiglierei di lasciarlo passare tranquillamente — rispose il Portoghese.

— Lasciarlo passare? — esclamò Sandokan che gli balenò in mente un sospetto e un nuovo piano. — Se fosse il baronetto? Sangue di Maometto, guai a lui, e poi baronetto o soldato, mi occorre, amici miei. Se si reca alla villa, deve recarsi per qualche cosa; presto Giro Batoë, vammi a prendere una corda e tendiamogli un agguato per farlo cadere.

— Farlo cadere? Egli si difenderà, sparerà fucilate, pistolettate e metterà in all’arme quelli della palazzina. Tu, Sandokan, ti vuoi perdere.

— Lascia fare a me, Yanez. Il cavaliere s’avvicina rapidamente, è segno che ha molta fretta. Il cavallo che viene alla carriera cadrà di colpo secco trascinando l’uomo; noi gli saremo addosso prima che abbia tempo di porre mano alle armi.

— Ma che diavolo vuoi farne di questo cavaliere?

Il pirata sorrise furbescamente accostando un dito alle labbra per invitarlo a tacere.

Aiutò il malese Giro Batoë a tendere una solida corda attraverso il sentiero, ben assicurata a due tronchi d’albero e tanto bassa da rimaner nascosta dalle erbe.

— Lascia che s’avvicini, Yanez — disse poscia, — e l’uomo sarà nostro senza far fracasso. Tu, Giro Batoë, va a imboscarti dietro quel folto cespuglio e appena che il cavallo cade afferralo per la briglia. Noi penseremo al cavaliere.

Il Malese si affrettò a ubbidire e sparve in mezzo alla macchia posta sull’altro lato del sentiero. Sandokan e Yanez si nascosero in mezzo alle folte erbe in vicinanza della corda.

Il galoppo del cavallo andava allora avvicinandosi rapido, e udivasi tratto tratto un lungo fischio, senza dubbio emesso dal cavaliere.

— Il cavallo vi urterà contro come un prahos col vento in poppa avventato contro uno scoglio — disse Sandokan. — Spero di far viaggiare tutti i soldati del parco al sud dell’isola più facilmente dell’altra volta. Ah! lord James, mi conoscerai meglio!

— Vorresti impicciarti in qualche pericolosa faccenda? — chiese Yanez. — Non so che diavolo intenda di fare.

— Lo saprai fra breve, e ti avviso prima che tu avrai una parte importante in questa faccenda. Diverrai un elegante cavaliere inglese.

— Io! Io un cavaliere inglese! Sei pazzo, Sandokan.

La Tigre si mise un dito sulle labbra raccomandandogli silenzio.

Il cavaliere inglese che pareva venisse da Vittoria, comparve sul sentiero a trecento passi di distanza. Era un bel giovanotto sui ventisei anni, robusto, dal volto fiero, vestito da ussaro, che cavalcava con eleganza estrema. Pareva avesse assai fretta, e spronava vivamente il suo cavallo morello che col petto chiazzato di candida bava andava alla carriera colle crini al vento. Sandokan urtò Yanez.

— Attento — gli soffiò all’orecchio.

Il cavallo s’avvicinava rapido come una freccia, eccitato dalla briglia, dallo sprone e dal fischio che il cavaliere emetteva. Capitò come un fulmine addosso alla corda. Fece un balzo indietro gettando un nitrito doloroso e rotolò fra le erbe seco trascinando l’ussaro.

I pirati erano lì. Ancor prima che il cavaliere potesse liberarsi dalle staffe e porre mano alla sciabola gli furono addosso. Giro Batoë saltò alla testa del cavallo e afferrando le briglie lo tenne fermo, e Sandokan e Yanez si precipitarono sull’uomo riducendolo all’impotenza.

— Non opporre resistenza — gli disse Sandokan passando due dita di ferro al collo di lui e dandogli una stretta. — Sciogli la lingua appena che ti è passata la paura e bada, giovanotto mio, di non ingannare. Ehi! Giro Batoë, lega il cavallo che potrebbe più tardi esserci di qualche utilità.

Il Portoghese, mentre che Giro Batoë si affrettava a ubbidire, legò saldamente le mani dell’ussaro, che non ardì opporre resistenza e presolo fra le braccia lo portò sotto la tenda per farlo parlare a loro comodo.

— Orsù ora sei nelle nostre mani e hai dei kriss alla gola — disse Sandokan sedendosi accanto al soldato. — Tu devi avere qualche lettera per lord James, è facile capirsi. Lasciami un po’ vedere ciò che contiene.

Il pirata, malgrado le proteste dell’ussaro, si mise a rivoltare le sue tasche e non tardò a far saltare fuori una lettera che lesse avidamente.

Era diretta al lord James Guillonk e scritta dal baronetto William Rosenthal. Non conteneva che poche parole, ma abbastanza importanti. Il baronetto faceva avvisato il lord che un prahos piratesco era stato veduto da un piroscafo e lo raccomandava di ben vegliare su lady Marianna, sospettandosi che la Tigre guidasse quel legno.

— Notizie vecchie — disse Sandokan, quando l’ebbe letta. — Se egli sapesse che io sono di già a Labuan e che sto per rapirla!…

Intascò la lettera dopo di aver attentamente guardata la scrittura come volesse imprimersela bene in mente e tornò sedersi.

— Il baronetto mi pare che si occupi molto di noi — disse il Portoghese.

— Sì, Yanez — rispose Sandokan. — E si occupa molto della giovanetta, ma per poco.

— Hai qualche progetto nuovo?

— Chi sa? — poi volgendosi nuovamente verso il soldato: — giovanotto mio, le notizie che rechi a lord James sono vecchissime e a me occorrono notizie freschissime. Che fa il baronetto William?

— Ah! — fe’ il soldato sogghignando, — credi tu che io voglia parlare? Quando avrò parlato tu mi ammazzerai egualmente, lo si sa. Chi è uscito vivo dalle mani dei pirati? To’, scommetterei che tu sei quel ladrone che si dà pomposamente il nome di Tigre.

— Credo che tu abbia indovinato, cane d’Inglese — disse Sandokan mentre un lampo d’ira balenavagli negli occhi. — Bada però bene a misurar le parole; il tuo cranio potrebbe darsi che mi servisse da tazza!

— Si dice che tu beva sangue umano, sarebbe più giusto che tu lo bevessi nel cranio di un soldato. Non metterti in testa però che io abbia a parlare o che io abbia paura di un miserabile come sei tu. Mi hai preso tendendomi agguato, perché avresti avuto paura a misurarti con me, sono caduto stupidamente nelle tue mani, fa ciò che credi. Quando il tuo kriss si caccierà nella mia gola, fingerò di essere già morto.

— Se tu non mi avessi offeso, ti lascierei libero perché tu sei coraggioso. Giro Batoë, afferrami quest’uomo e fa in maniera che fra un’ora sia a bordo del prahos. È il primo uomo che regalo a essi; che ne facciano ciò che vogliono purché domani o posdomani veda la sua testa sull’asta della mia bandiera. Va, io ne farò di meno delle sue notizie che saranno sempre false.

Il Malese mise un bavaglio sulle labbra del soldato che si era messo urlare dibattendosi, poi afferrandolo fra le sue robuste braccia lo portò seco. Sandokan per un istante cupo si volse verso il Portoghese e spiegando la lettera:

— Yanez, sapresti tu imitare questa scritta in maniera che il lord non abbia ad accorgersene che non è del baronetto?

— Uhm! Non sarà tanto facile, ma infine con un po’ di pazienza si può riuscire. Ma che vorresti farne tu?

— Aspetta; Giro Batoë, alla prima sentinella spogliami quell’uomo che ho bisogno delle sue vesti — disse Sandokan voltosi al Malese.

— Ti abbisognano le sue vesti, adunque? — domandò il Portoghese. — Tu mi hai un piano che non giungo a comprendere.

— Lo saprai, Yanez. Tu vedi che la villa è troppo bene guardata e che noi siamo troppo deboli per tentare un assalto dove le probabilità di una rotta sono tutte volte contro di noi. Bisogna che quei soldati se ne vadano, ed è perciò che ho bisogno di una falsa lettera e delle vesti di quel soldato. Tu sei bianco, non si può sospettare che tu sia un pirata, la sarebbe ridicola; parli bene l’inglese da farti credere un nativo di Calcutta, sei coraggioso quando bisogna esserlo e sei stato soldato. Il cavallo è ancora là, indosserai le vesti d’Inglese e andrai alla villa facendoti credere proveniente da Vittoria cogliendo il momento di dire due parole alla giovanetta da parte mia. Acconsenti tu, Yanez, a far tutto ciò per me? Te ne serberò ricordo finché avrò sangue nelle vene.

— Sono tuo, Sandokan! Disponi di me come vuoi. Mi hai salvato, mi hai chiamato fratello, devo ubbidirti: è mio dovere.

— Grazie, Yanez, io sapeva che tu eri un uomo fatto per me. Grazie, e ora scrivimi questa lettera.

— Ecco il più difficile, fratello mio, tuttavia scriverò. Dammi la lettera che vediamo bene il carattere.

Esaminò la scrittura fina ed elegante, per qualche tempo, poi traendo un calamaio e una penna dal fondo delle saccoccie si mise a scarabocchiare su alcuni fogli di carta della quale non mancava mai. Provò e riprovò per mezz’ora, poi quando credette di essere riuscito a imitarlo, scrisse ciò che gli dettava il pirata.

Mylord,

«I pirati hanno abbandonato da sei giorni Mompracem e sono sbarcati sulle nostre coste senza che i piroscafi abbiano potuto impedirlo. La Tigre della Malesia li guida, forse decisa a mettere in opera i suoi tenebrosi progetti su vostra nepote. Ho avuto notizie della sua comparsa al parco e della scalata, della fuga e della vostra caccia sfortunata, ma ora non abbiate timore. Un combattimento si è impegnato al sud dell’isola fra i pirati e le nostre truppe e una parte di essi colla Tigre sono stati battuti. Ignoro la vera località del luogo, ma credo che la moschetteria che continua durare basterà per guidare gli aiuti, che dovrete spedire immediatamente per ordine del Governatore.

«Coraggio, mylord, un ultimo sforzo e i banditi trincerati fra gli alberi, stretti per terra e per mare fra poco cadranno dinanzi al valore dei nostri soldati e con essi la Tigre. Mandateli e che Dio sia con loro.

«I miei saluti a voi e a vostra nepote che fra breve rivedrò.

«Vostro

«Baronetto Rosenthal William».

Il Portoghese aveva appena terminato che Giro Batoë era di ritorno colle vesti del cavaliere senza dimenticare la sciabola.

— Hai consegnato il tuo uomo? — domandò freddamente Sandokan suggellando la lettera, dopo di averla letta.

— Sì, mio capitano, e credo che fra poco si pentirà di aver troppo beffato la Tigre — rispose il Malese.

Yanez prese le spoglie del soldato e le indossò dopo essersi liberato dalle sue. Erano un po’ strette e più lunghe, ma non vi fece caso. Cinse la cintola colla sciabola, si appiccò gli speroni ai lunghi stivali, si calcò in capo il gran cappello da ussaro, e salì con tutta serietà in arcione raccogliendo le redini.

— Mi hai compreso, Yanez, consegnerai la lettera al lord e parlerai a Marianna — disse Sandokan tirandosi da un lato.

— Bene, fratello mio, e vedrai che mi comporterò da vero soldato. Lascia le briglie, Giro Batoë.

Quasi nel medesimo istante il Portoghese spronò il cavallo e partì alla carriera, mentre i compagni ritornavano alla tenda.

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