Capitolo XXXI – L’ultima volontà della tigre

L’intero giorno passò pel pirata in continue ansie. Né la giovanetta, né il luogotenente si fecero vedere, né notizia alcuna gli fu recapitata; solo scesero nella stiva due soldati che gli recarono il cibo, ma per quanto venissero interrogati in dieci lingue differenti, nessuna parola uscì dalle loro labbra. Venne la sera, e ancora nessuna nuova era giunta al pirata; egli non sapeva capacitarsi di un tal procedere, dopo la promessa del luogotenente. Che poteva essere succeduto a bordo? Era Marianna seriamente ammalata tanto da riescirle impossibile di scendere nella stiva? Oppure il luogotenente aveva cangiato idea, o aveva voluto fargli balenar un lampo di speranza, per semplice capriccio, per una raffinata crudeltà?

Sandokan, in preda a mille timori e a mille angoscie, non dormì un sol minuto. Tutta la notte s’aggirò per la stiva, ruggendo come un leone in gabbia, facendosi cento domande che non avevano mai risposte.

Nei momenti d’ira si metteva a saltare come una tigre inferocita, smovendo e rovesciando con fracasso le botti, salendo e discendendo come un pazzo la scala che menava al boccaporto, urlando e bestemmiando contro il luogotenente, contro il lord, contro il destino. Venti volte chiamò la giovanetta e venti volte, lasciandosi trascinare dal suo focoso temperamento, si armò della manovella e si spinse fino al boccaporto coll’idea di sfondarlo e di salire sul ponte a dispetto dei soldati. Non si frenò che a gran stento e solo per la paura di peggiorare la sua condizione e quella di Marianna.

L’alba spuntò che vegliava ancora. Al primo raggio di sole che penetrò dal fenestrello, Sandokan salì la scala che menava sul ponte.

— Voglio ben vedere io che mi si dirà? — mormorò egli con ira. — Hanno paura questi maledetti Inglesi che io abbia a fuggirmene con lei sotto i loro occhi? Bisogna che la veda a qualunque costo, che le parli, che le insinui la speranza di rivedermi prima di farmi gettare in mare. E poi, come fuggire senza l’aiuto di lei?

S’arrestò sotto il boccaporto e tese l’orecchio. Non si udiva che il potente soffio della macchina e il passo cadenzato degli uomini di guardia. Stava per chiamare quando notò che un uomo s’avvicinava al boccaporto; il cuore gli batté precipitosamente quando lo udì arrestarsi lì vicino e una voce che diceva:

— Andate ad avvertire la Tigre.

Sandokan, per non essere sorpreso in quell’atteggiamento che poteva scambiarsi per un tentativo di fuga, fu pronto a ridiscendere e a svegliare Inioko. Quasi nel medesimo istante, il boccaporto si sollevò, e comparve un cadetto di marina accompagnato da due soldati colle baionette in canna. Essi s’arrestarono dinanzi alla Tigre.

— A qual onore debbo la vostra visita? — domandò Sandokan affettando la massima calma e movendo a loro incontro.

— Non avvicinatevi di troppo anzitutto — disse il cadetto che aveva i suoi motivi di aver paura e non meno di lui coloro che l’accompagnavano. — Ho ricevuto l’ordine di riporre i ceppi a voi e al vostro compagno. Comprenderete, che un uomo che porta il nome della Tigre e che ne emula troppo bene gli istinti e la ferocia, non potrebbe essere lasciato libero dinanzi a lady Guillonk. Non sarà che un semplice atto di prudenza che finirà presto.

Sandokan, che alla parola ceppi stava per gettarsi sui tre malcapitati soldati, udendo che si trattava di Marianna si frenò quantunque trovasse una bizzarria quel procedere. Che potevano temere da lui che era il fidanzato?

— Avete forse timore che io abbia a valermi di lei per tentare una fuga impossibile? — diss’egli beffardamente.

— Non è ciò, ve lo ripeto, è una semplice precauzione del comandante. Se i ceppi sono troppo pesanti, potete rimanere libero ma sotto la guardia di uno di noi. Non si udrà ciò che voi direte, non vi si impedirà nulla, fuorché di trarla con voi in un suicidio. Non avete che a scegliere, vedete bene che si hanno ancora dei riguardi per l’antica Tigre.

— Ebbene, dite al vostro comandante che preferisco essere libero. Uditemi ora, se io ponessi la mia mano nella vostra senza farvi alcun male e se io impegnassi la mia parola di ritornarvi milady quando lo vorrete voi viva e non già morta, mi si crederebbe? Vi sono cose che debbono rimanere sepolte fra me e lei.

— Ne parlerò al comandante, dubitatene però. La Tigre è sempre la Tigre — rispose il cadetto congedandosi.

Risalì coi due soldati accompagnati dal sorriso beffardo del pirata. Quando il boccaporto ricadde non sorrideva più.

— Inioko — diss’egli, — questa sera noi morremo, e ora ritirati in un angolo ove non possa udire ciò che si dirà fra me e Marianna. Non aver paura sull’esito della nostra fuga. Noi domani saremo liberi sul libero mare.

— Bene capitano — rispose Inioko che non dubitava di una sola parola della Tigre e si affrettò a ritirarsi in un angolo.

Sandokan, col cuore traboccante di gioia, quasi delirante, si mise appié della scala attendendo con impazienza la giovanetta.

Non attese a lungo. Il boccaporto tornò a sollevarsi, e Marianna pallida, livida, lagrimante ma ferma comparve sostenuta dal luogotenente. Il pirata gettando un urlo di gioia vi si precipitò incontro.

— Marianna! Mia adorata Marianna! — esclamò egli stringendola fra le sue braccia.

— Sandokan! mio valoroso Sandokan, credeva non vederti mai più! — e la giovanetta scoppiò in singhiozzi.

Il luogotenente colla fronte abbuiata si sedette sull’ultimo gradino della scala deponendo la sciabola e le pistole bell’e montate. Il pirata trascinò la giovanetta aggrappata alle sue braccia in fondo alla stiva.

— Coraggio, Marianna — diss’egli curvando il capo sul volto di lei. — Coraggio, mia adorata fanciulla, non piangere così, tergi quelle lagrime che fanno sanguinare il mio cuore. Non sono ancora vivo io, non sei tu fra le mie braccia, fra le braccia del tuo valoroso Sandokan, che ti ha difeso per tanto tempo e che tornerà a difenderti? Crudele, acché amareggiare questi ultimi momenti in cui ci vediamo con delle lagrime? Vedi fanciulla divina, tu mi fai piangere!

— E come vuoi tu, Sandokan, che io non abbia a piangere nel momento della terribile separazione! — esclamò la giovanetta singhiozzando e serrando le braccia attorno al collo del pirata. — Perché ci siamo amati per venire un giorno separati dalla morte?

«No, io non voglio che tu muoia, voglio che tu viva. Che hai tu fatto perché abbi a meritarti la morte? Forse perché sei un valoroso! Non morrai, mio Sandokan; io ti libererò, ti difenderò. Venite a prenderlo se ne siete capaci, io vi farò a brani coi miei denti! Non è vero, Sandokan, che ritorneremo liberi, che noi andremo lontani da questi luoghi che sono maledetti, su di un’isola deserta, dove le nostre gioie saranno un bacio e i nostri dolori saranno una lagrima?

— Sì, amor mio, noi ritorneremo liberi — rispose Sandokan accarezzando la vaga fanciulla che se lo stringeva amorosamente al petto con una forza di cui non si avrebbe creduta capace. — Liberi e felici, lontani da queste terre che non possono inspirarci felicità, così, fra le mie braccia, colle mie labbra sulle tue, seppellendo il passato nel fondo dei cuori.

«Vedi, io non morrò, quantunque la morte mi attenda, come dicono i tuoi compagni, sulle rive di Labuan, e la fuga mi sia resa impossibile colla forza. No, non morrò, te lo giuro, mia adorata Marianna. Mi hanno vinto, sono circondato d’armi e d’armati, sono rinchiuso fra muraglie di ferro, col mare al di sotto e la forza brutale al di sopra ma a un tuo cenno tutto ciò cadrà, e io ritornerò libero come lo era prima.

— Sì, sì, voglio vederti libero, e io verrò con te, non è vero, mio Sandokan? Non mi abbandonerai tu, non è vero? Fuggiremo assieme, tu mi difenderai e io farò scudo col mio corpo ai colpi dei miei compatrioti che non ardiranno toccarmi, ti seguirò ovunque, per mari e foreste, fra pericoli e privazioni senza un lamento. L’amore mi darà forza per seguirti sino al cuore dell’Asia se tu lo vorrai; un tuo sorriso sarà sufficiente per farmi felice. Non ci siamo giurati eterno amore in faccia a Dio, al tuo mare, sull’isola? Perché dovremo separarci quando ci amiamo?

Il pirata l’attirò a sé e la guardò in silenzio tristamente.

— Perché tu mi guardi, senza rispondere? — chiese la giovanetta con dolce rimprovero. — Dubiti che sia capace di seguirti nella fuga, che non abbia il coraggio di affrontare i medesimi pericoli che affronterai tu, che non abbia forze sufficienti? Non aver timori, non aver riguardi per me, trattami come un pirata, peggio ancora, come una schiava. Vuoi che sia forte? Lo sarò. Vuoi che ti pugnali un uomo? Sarò capace di farlo con queste mani di femmina. Vuoi che non tremi? Non tremerò. Vorrai tu fuggire solo e abbandonarmi nelle mani dei miei compatrioti che odio con tutte le forze della mia anima, vorrai tu separarci per sempre?

«Se morrai nell’impresa, voglio morire anch’io al tuo fianco; tu lo sai che non sarei capace di sopravviverti.

— Marianna! — disse il pirata commosso. — Ma non sai adunque che sono prigioniero; che la morte pende sul mio capo?

— Non parlare di prigionia, non parlarmi di morte, mio Sandokan, tu non morrai, io lo sento. Sarebbe inaudita crudeltà separare due esseri che si amano. Oh! Nessuno sarebbe capace di farlo, no, nessuno. Dio non lo permetterebbe.

— Marianna! È la fanciulla che parla, ma è la fatalità che comanda; hai dimenticato tu che io fui pirata e nemico giurato degli Inglesi? Non morrò, giacché lo vuoi, ritornerò ancora libero, ma per ora niente di più. Anche la Tigre della Malesia è forte solo fino a un certo punto; ascolta amor mio, ascolta.

Egli lanciò uno sguardo sospettoso sul luogotenente che stava seduto impassibilmente sull’ultimo gradino della scala, colle braccia incrociate sul petto. Poi traendo la giovanetta più lontano che fosse possibile e abbassando la voce le disse:

— Marianna, Dio m’è testimone che darei per te il mio sangue fino all’ultima stilla; Dio mi è testimone che se potessi dare la vita per riscattare la tua libertà, la darei. Non lo posso, che vuoi che faccia? Ma non temere, che se la felicità innalzata con tanti sforzi, con tante lagrime e con tanto sangue, è caduta, io la rialzerò. Odimi, anima diletta, tu rimarrai fra i tuoi compatrioti, è assolutamente necessario, e bisogna che mi obbedisci: appena che io potrò, verrò a salvarti, te lo giuro. Orsù coraggio, non hai più da temere da parte del baronetto William che calpestai morente sotto i miei piedi. Marianna! Sarà l’ultimo sacrificio che tu compirai.

La giovanetta non rispose; essa si nascose il volto fra le mani e proruppe in lagrime, abbandonandosi fra le braccia di Sandokan.

— Marianna — continuò il pirata stringendola teneramente. — Non sono io che te lo comando, è ancora il destino che ci perseguita, questo destino che fiaccò la mia potenza e che mi strappò la mia isola, ma non ci perseguiterà a lungo, amor mio, poiché verrà la mia volta che lo infrangerò. Perché io possa evitare la morte che mi attende, che sarebbe più dolorosa di una momentanea separazione, è d’uopo che tu rimanga e che ti lasci trasportare ancora sull’isola maledetta ad affrontare le penose incertezze del passato e le ire del lord tuo zio. Non vuoi che ti lasci? Io rimango, ma essi mi uccideranno.

— No! No! — esclamò Marianna. — Lasciami sola, ma salvati, ma fuggi. Guarda, io non piango più, io sono forte, pronta a sfidare ancora le tempeste sull’isola di Labuan. Ma tu tornerai a liberarmi, non è vero, mio amato Sandokan?

— Sì, Perla di Labuan, ritornerò per farti mia, lo giuro su Allah e sui pirati che morirono per me. Odimi bene adesso. Bisogna che questa notte io sia lontano col mio prode Inioko e ho bisogno assoluto di te per favorire la fuga. Mi aiuterai tu?

— Si, farò tutto ciò che tu vorrai, io sono tua schiava. Vuoi che corrompa il luogotenente? Io lo corromperò. Vuoi che pugnali le sentinelle che guardano il boccaporto? Io le ucciderò. Vuoi che ti fornisca armi? Io andrò a rubarle. Parla, comanda, io mi sento capace di emulare le gesta della Tigre della Malesia!

— Non chiedo tanto, mia povera Marianna — disse Sandokan commosso. — Guardami bene e non perdere sillaba di quanto ti dirò.

Volse le spalle al luogotenente, trasse da saccoccia una piccola scatola, la medesima di cui aveva parlato a Yanez a Labuan, e l’aprì. Egli mostrò alla lady, sorpresa, delle pillole rossiccie che esalavano un odore particolare acutissimo.

— Vedi queste pillole? — diss’egli a Marianna che pareva spaventata. — Esse m’aiuteranno per tentare la mia fuga.

«Sono formate di parecchi veleni delle foreste di Maludu e hanno la proprietà di addormentare o meglio di sospendere la vita per sei ore, dopo le quali colui che le inghiottì si risveglia perfettamente senza provare la menoma alterazione fisica. Danno la morte, una morte perfetta che inganna il medico più esperto, e che alcuna bevanda, alcuna operazione, riesce a rompere, tutt’altro, cangerebbero il sonno fittizio in un sonno eterno.

— E tu vuoi inghiottire una di quelle pillole? — esclamò Marianna con ispavento. — E se non ti svegliassi mai più?

— È l’unica risorsa che mi rimane per tornar libero — rispose freddamente Sandokan. — Non morrò, ne sono sicuro avendone fatto più d’una volta l’esperimento. Dopo sei ore, né un minuto di più né un minuto di meno, sono sempre ritornato in vita.

— E quando sarai addormentato che succederà? Vuoi farti seppellire vivo a Labuan? Oh! Non farlo, Sandokan.

— Non mi seppelliranno, Marianna, lo vedrai. Il luogotenente mi promise, se alla morte ignominiosa del pirata scegliessi il suicidio, di gettarmi in mare come un vero marinaio.

«Ora puoi comprendere; mi addormenterò, mi si crederà morto in seguito ad un potente veleno, sarò un uomo d’impiccio a bordo, nulla di meglio che sbarazzarsene in fretta e gettarlo ai pesci. Se io aspettassi di far ciò a Labuan, oltre di correre il pericolo di venire seppellito vivo, correrei quello di venire appeso.

— E ti farai precipitare in mare come un cadavere! — esclamò la giovanetta che tremava all’idea di vederlo gettare nei flutti.

— E perché no, se la fuga lo esige? Ascoltami bene, Marianna, sarai tu che al momento opportuno darai l’ordine di gettarmi nella mia umida tomba. Avrai la precauzione di lasciarmi completamente libero, senza branda e senza vesti e senza palle ai piedi, onde una volta ritornato in vita possa valermi della mia libertà e delle mie forze per nuotare senza ostacoli.

«Questa sera prima del calar del sole, Inioko e io ci addormenteremo senza gemiti, senza rumori, ma segnalando la falsa morte con un urlo. Odimi bene, Marianna. Noterai accuratamente il secondo, sul tuo orologio, in cui fu emesso, conterai sei ore minuto per minuto, e dieci secondi prima getterai dei salvagente in mare onde abbiano ad esserci utili e delle armi, se sarà possibile, appese a essi. Aspetterai, facendoci alzare fino al capo di banda, impiegherai tre secondi nel comando e cadremo in mare, due secondi prima delle sei ore. Il piroscafo continuerà la sua rotta fra le tenebre e noi saremo liberi sul libero mare.

— Ed io rimarrò sola — mormorò tristamente Marianna. — Sola, senza alcuno che mi conforterà, senza alcuno che mi difenderà.

Il pirata soffocò un singulto e appoggiando le mani sulle spalle di lei guardandola fissamente in volto:

— Marianna — diss’egli. — Se io fuggo lo faccio per te, per tornare a farti mia. Rimarrai sola sul piroscafo che ti trascinerà sulla terra odiata, mentre io raggiungerò i miei ultimi compagni. Rimarrai prigioniera, mentre io sarò libero, ma ti giuro che ti salverò.

«Dovessi ritornar pirata di Mompracem, dovessi ritornar la sanguinaria Tigre della Malesia, dovessi immolar il lord stesso, porre a fuoco Labuan intera, empirla di sangue e di cadaveri, ritornerai mia, ancora mia!

«Tu lo vedi, io non posso ora trascinarti meco nella fuga che chiede sforzi sovrumani, e un sangue freddo che solo un pirata può possedere. Se tu non rimani, chi potrà gettarci in mare nel momento stabilito per non risvegliarci ancora a bordo del piroscafo o per dormire per sempre negli abissi dell’oceano? E poi, sarai tu capace di nuotare per un giorno, due, tre forse, lottando coi flutti e cogli squali? Tutta la mia energia e la mia forza, non potrebbero salvarti. Lo credi tu, adorata Marianna?

— Sì, tu hai ragione, adorato Sandokan, sarebbe la morte per entrambi. Sì, rimarrò, ritornerò a Labuan e di là aspetterò la tua risurrezione. Ma potrai tu sfuggire a tanti pericoli che ti aspettano in mare? Non morrai tu?

— No, Marianna, non morrò. Dove non potrebbe riuscire una femmina riuscirà un pirata. Del resto, non rimarrò lungo tempo in mare, troverò il prahos del buon Yanez, che ho la certezza che segue il piroscafo. Una volta sul suo legno, io mi slancierò sulle tue traccie, e per quanto lontano abbiano a portarti, io ti ritroverò!… Ah! — continuò egli con rabbia mordendosi ferocemente le dita. — Perché mi chiamai la Tigre della Malesia, perché divenni vendicatore, pirata e assassino, attirandomi addosso le ire dei popoli che si frappongono come orribile spettro fra me e lei? Se non lo fossi mai stato, non mi troverei in catene a bordo di questa nave maledetta e trascinato verso il patibolo. Se non lo fossi stato, non sarei giammai stato diviso da quest’essere che io idolatro. Maledetto sia il giorno in cui la fatalità mi precipitò dal trono sulle spiagge di Mompracem! Maledetto sia il dì che impugnai la scimitarra per compiere la mia terribile vendetta!…

Lo sciagurato si prese la testa fra le mani e se la strinse disperatamente.

— Sandokan — mormorò la giovanetta con voce supplichevole. — E non sono forse tua lo stesso? Che importa se fosti pirata, quando io ti amo e ti giuro che non sarò d’altro uomo? Che importa se oggi ci è giuocoforza separarci, quando noi torneremo a riunirci? Non sapeva io forse chi era colui al quale dedicava il mio amore e la mia vita? Eroe eri allora ed eroe sei pur oggi che sei prigioniero!

La faccia di Sandokan, poco prima sconvolta dalla disperazione, si rasserenò. Le sue labbra s’aprirono a un sorriso d’immenso affetto. Aprì le braccia e attirò a sé la giovanetta stampando sulle sue labbra un ardente bacio.

— Quanto sei buona, quanto sei nobile, mia povera Marianna. Sì, ritorneremo liberi e felici; sì, realizzeremo quei cari sogni, che noi facevamo quella notte che lasciammo le coste di Labuan, sul ponte del mio prahos. Hai ragione, Marianna! Ero pazzo quando parlava, ma se tu sapessi quali angoscie s’ascondono nel mio petto, se tu sapessi quali timori m’agitano, quanto sanguini il mio cuore in questo terribile momento della separazione!… Se non ti avessi mai più a vedere? Se smarrissi le tue traccie? Se non tornassi più?… Dio! quali funesti pensieri!…

— Non parlare così, Sandokan. Dio non permetterebbe queste cose; no, sarebbe ingiusto. Mi ritroverai, ritornerai a salvare la tua Marianna, oh! sì, lo sento. Sarò sola a sostenere le ire del brutale mio zio, ma le sosterrò gagliardamente. L’amore mi darà la forza per rimaner incrollabile dinanzi a lui, e l’amore darà a te la forza di trionfare sugli ostacoli.

— Ah! Perché non posso rimanere a difenderti, perché, perché?… — gridò il pirata.

— Silenzio, Sandokan, ti si potrebbe udire — disse Marianna ponendogli un dito sulle labbra. — Coraggio, mio prode amico, ritorna a diventar la Tigre della Malesia dal cuore inaccessibile a ogni paura, ché credo sia questo il momento in cui ne avrai bisogno. Siamo forti, giacché occorre di esserlo; un ultimo addio e poi…

Ella s’interruppe; i singhiozzi le soffocarono la voce.

— No, no, non abbandonarmi, Marianna, rimani ancora presso di me, prima che abbiamo a separarci chi sa mai per quanto tempo. Ho tante cose da dirti e tante, mia povera fidanzata. Tu rimarrai qui fino a che la falsa morte m’avrà chiuso le palpebre.

— Sì, rimarrò, Sandokan. Voglio vederti fino all’ultimo istante della separazione e nessuno ardirà strapparmi di qui.

I due fidanzati non s’abbandonarono un sol istante, malgrado le proteste del luogotenente che voleva metter fine a quel colloquio per tutti e due doloroso.

Sandokan raccontava mille e mille cose alla Perla di Labuan che l’ascoltava inebbriata, affascinata. Le parlava di felicità celesti su isole deserte, su mari sconfinati, sotto boschi misteriosi, fra fiori profumati, dimenticando che il cappio del boia pendevagli sul capo.

Le ore furono minuti, i minuti furono atomi pei due fidanzati. La sera venne a empir di tenebre la stiva senza che essi se ne fossero accorti tanto erano estranei a tutto ciò che non fosse amore. La voce metallica del luogotenente, che era ritornato al suo posto, venne a troncare brutalmente i loro dorati sogni e richiamarli alla spaventevole realtà.

— Milady — diss’egli avvicinandosi di due passi e rispettosamente. — È d’uopo che abbiate a lasciarlo. Credo di aver fatto ciò che io poteva fare, vi compiango e vi comprendo, ma non voglio espormi ai rimbrotti di lord James che non mancherebbe di farmeli.

— Verrò — disse la giovanetta tristamente. — Ritornerò fra coloro che dicono chiamarsi miei compatrioti e che sono uomini senza cuore.

— Milady!… — esclamò il luogotenente punto sul vivo. — Se fossi io il governatore di Labuan non trascinerei la Tigre a Vittoria e fossi stato un altro comandante non avrei giammai acconsentito a un colloquio col pirata. Mi accusate a torto.

— E perché allora non ci lasciate liberi, perché non lasciate che due cuori si amino? Perché spezzare il filo che li univa?

— Non comando, ubbidisco, ecco tutto, milady. Orsù, il tempo vola, io v’aspetto appié della scala. Un ultimo addio ancora.

Il momento della separazione era giunto, a che pro prolungarlo? Le tenebre erano calate nella stiva che a poco a poco ritornava oscura. Era il momento scelto per tentare l’ardito piano che doveva sei ore più tardi rendere pienamente liberi i due prigionieri.

— Marianna! — mormorò Sandokan con voce commossa attirando a sé la fanciulla che si struggeva in lagrime. — Marianna! non piangere, noi ci rivedremo fra breve, e andremo a vivere su altre terre senza pericoli e senza ambascie. Separiamoci giacché la libertà lo esige, coi cuori pieni di speranza per l’avvenire, che sembra di già sorriderci. Siamo forti.

— Sì, forti, ma è proprio vero che noi abbiamo a separarci? — esclamò la fanciulla, appoggiando il capo sul suo petto. — Non è forse un doloroso sogno? Perché separare due esseri che si amano, che si adorano, due cuori che battono assieme della medesima passione?

— Non è un sogno, anima mia, è la cruda realtà, ma la separazione sarà breve, te lo giuro. Odimi, Marianna, tu eseguirai gli ordini che ti ho dato senza esitazioni, senza paure, se vuoi che abbia a ritornare ancora libero per salvarti, e mi aspetterai sia a Labuan o a Sarawak, a Pontianak o nell’India o nell’Inghilterra stessa, fidando nella mia parola. Ti raggiungerò dovessi gettar sottosopra il mondo intero. Andiamo, adorata fanciulla, un ultimo bacio, un ultimo addio.

La giovanetta impotente di rassegnarsi a una separazione che la spaventava, piangeva. Il pirata si sentiva suo malgrado inumidire gli occhi e perdere il sangue freddo. Egli si curvò sul volto inondato di lagrime di lei.

— Marianna — diss’egli con voce soffocata che cercava rendere, ma invano, ferma. — Perché prolungare questi momenti preziosi egualmente dolorosi per entrambi? Vedi, sono penosi… Ah! perché non posso trarti meco nella fuga, perché? Se io lo potessi ti trarrei meco dovessi perdere stilla per stilla il mio sangue, la mia vita e non lo posso, non lo potrò giammai! Andiamo, siamo forti in questi momenti in cui è d’uopo di essere maggiormente risoluti, separiamoci ma non per sempre, noi ci rivedremo.

— Oh! sì, noi ci rivedremo mio Sandokan, ci rivedremo! — mormorò la fanciulla tergendo con uno sforzo le lagrime.

— Bene, così mi piaci, ora riconosco in te la Marianna dei tempi passati, la Perla che vidi nelle foreste di Labuan. Lascia che io ti contempli un’ultima volta.

Sollevò dal suo petto il biondo capo di Marianna e lo contemplò per un istante e in silenzio, affascinato, poi prendendolo delicatamente fra le mani:

— Oh! Quanto ti amo, sublime creatura! — esclamò egli quasi fuori sé. — Quanto ti amo, quanto ti adoro!… E bisogna separarci!…

Soffocò un gemito e terse una goccia umida che forse era una lagrima, che scendeva rapida sulle brune gote.

— Parti, Marianna — disse poi cangiando bruscamente tono. — Abbracciamoci un’ultima volta e poi va, va… Se tu rimani, la Tigre della Malesia sarebbe capace di piangere!

La baciò ancora una volta nel mentre che un rauco urlo di disperazione morivagli fra le strette labbra.

— Va, Marianna — ripeté egli, volgendo la faccia altrove per non vederla allontanarsi.

— Sandokan! Sandokan!

Il pirata si nascose il volto fra le mani e fece due o tre passi indietro traballando come un ubbriaco.

— Ah! Sandokan! — esclamò la sventurata Marianna gettando un grido straziante.

Marianna volle slanciarsi dietro a lui, ma le forze le vennero meno; il luogotenente la ricevette fra le sue braccia e si allontanò portandola di peso. Quando Sandokan si scoprì, il boccaporto si era già abbassato e la stiva era tornata deserta. Egli si cacciò le mani nei capelli.

— È finita! Tutto è finito! — esclamò con voce cavernosa. — Non mi rimane più che d’addormentarmi sulle onde. Possa un giorno rivedere ancora colei che amo immensamente!

Se ne stette per mezz’ora rinchiuso in un feroce silenzio, colla fronte stretta terribilmente fra le mani, poi si scosse e rialzò con gesto risoluto la testa.

Ogni emozione era allora scomparsa dal suo volto; solo gli occhi gli brillavano di una cupa fiamma.

— Inioko — diss’egli con esaltazione. — Bisogna che noi fuggiamo, bisogna che ritorniamo liberi… Ah! È atroce abbandonarla… — S’interruppe e portò le mani al cuore.

— Capitano, non lasciatevi abbattere.

— Non so decidermi, Inioko, ad abbandonare questo vascello che porta la mia fidanzata. È orribile perdere colei che avevo rapita dopo tanti sforzi, dopo tante lotte, tante sofferenze… perderla, così, dopo averla tanto amata…

— Capitano, lasciate i lamenti ai deboli…

— Sì, hai ragione. Orsù, mi seguirai in mare?

— E che, dovrei io abbandonare il mio capitano nel momento del pericolo? Vi seguirò anche in capo al mondo.

— Grazie, mio valoroso Inioko. Coraggio ora, che fra dieci minuti cadremo fulminati per ritrovarci sei ore dopo liberi su libero mare. S’avvicinò al fenestrello che aprivasi al di sotto della batteria e guardò attentamente al di fuori. Il mare era agitato e spumeggiava attorno al vascello sotto le battute delle ruote, ma lontano era quasi calmo.

Guardò a dritta e a manca se apparisse qualche terra o qualche vela, ma non vide né l’una né l’altra. Il mare era libero fino agli estremi limiti dell’orizzonte.

— Tutto è deserto — mormorò il pirata indietreggiando. — Non monta, l’amore mi darà la forza di compiere ciò che non avrebbe potuto compiere uomo alcuno; la speranza mi sosterrà in mezzo ai flutti, per quanto essi sieno estesi, e la libertà la forza per vincerli.

Si avvicinò al suo compagno colla scatola in mano e mostrandogli due pillole all’ultimo baglior del crepuscolo:

— Una per me e una per te — gli disse. — Tu l’inghiottirai quando io ne darò l’esempio, né un secondo prima, né un secondo dopo.

— Bene, capitano — rispose Inioko prendendola con precauzione fra le dita. — Sia pur veleno, la inghiottirò al vostro comando.

Sandokan lo condusse appié della scala, diede un ultimo sguardo alla tenebrosa stiva, mandò l’ultimo sospiro.

— E ora, dormiamo, sospendiamo la vita per isvegliarci liberi sul libero mare. Inghiottila, Inioko, inghiottila!

I due pirati la trangugiarono nel medesimo istante chiudendo gli occhi.

— Marianna! a me! — urlò Sandokan e cadde assieme al compagno come fulminato appié della scala, mentre il grido ripercotevasi nella stiva e le tenebre si chiudevano silenziosamente su di essi…

Quel grido, per quanto la macchina sbuffasse e le ruote sollevassero le acque, fu udito in coperta. La giovanetta, che pallida ma ferma si teneva presso il boccaporto, l’udì. Sembrò che il cuore le si staccasse e che le forze esauste fossero lì per venir meno.

Il boccaporto fu levato. Il luogotenente e sei o sette marinai scese frettolosamente nella stiva e urtarono contro i due supposti cadaveri stesi appié della scala l’un sull’altro. Il luogotenente sorpreso, si curvò su di essi mentre si portavano dei lumi.

Li esaminò, cercò sollevarli credendo si trattasse di uno svenimento quantunque ne dubitasse, e pose una mano sui cuori. Non battevano più; e i due corpi erano freddi come due veri cadaveri, mentre i volti erano orribilmente contratti. Indovinò, ma non tutto.

— Sono morti — diss’egli. — I due disgraziati si sono avvelenati. Chiamate il medico.

Il valent’uomo non poté far altro che constatare la morte.

— Credete proprio, dottore, che sieno realmente morti o che sieno solamente sotto l’influenza di un narcotico? — domandò il comandante.

— Non conosco narcotici che possano arrestare in simil guisa la vitalità: sono proprio morti, posso assicurarvelo.

— Forse è meglio così — mormorò il luogotenente. — Orsù, portateli in coperta. Li getteremo in mare come l’avevo promesso.

Mentre i marinai e i soldati alzavano i due falsi cadaveri, egli salì in coperta e si avvicinò col berretto in mano alla milady che sembrava aspettare con una calma apparente la spiegazione di quel grido, tenendosi appoggiata a una delle murate.

— Signora — disse gravemente il luogotenente, — dovrò io parlare francamente di ciò che è avvenuto dei prigionieri?

— Oh! Potete parlare, signore, so di già di che si tratta — rispose Marianna, portando il fazzoletto agli occhi.

— Ebbene, sono morti! Credo che una simile morte sia da preferirsi a quella ignominiosa che li aspettava a Labuan.

La giovanetta non sparse lagrima alcuna. S’avvicinò vivamente a lui e prendendogli le mani:

— Luogotenente — diss’ella con voce rotta ma energica. — Vivi appartenevano a voi, morti appartengono a me; lascierete voi che io compia l’ultima volontà di colui che fu il mio fidanzato?

— Vi lascio libera di fare quello che meglio vi piacerà — rispose il luogotenente. — Ascoltate un consiglio che vi do, milady: gettateli in mare prima che abbiano a giungere a Labuan. Il governatore, quantunque sieno di già morti, potrebbe ancora farli appendere.

— Non li appenderanno! — esclamò Marianna con vivacità. — Ordinate ora che sieno portati a poppa e che mi lascino sola.

Il luogotenente s’inchinò e diede ordine ai marinai d’ubbidire. I due falsi cadaveri vennero collocati su due tavole e portati a poppa pronti ad essere precipitati nella umida tomba.

Marianna s’inginocchiò accanto a Sandokan irrigidito, e contemplò mutamente il suo volto scomposto dalla potente azione del narcotico, ma che conservava ancora quella maschia fierezza che incuteva timore e rispetto. Allora, senz’essere veduta, si trasse dal corsetto due pugnali e tagliò lentamente le sue vesti in più parti; gli infisse una delle due armi nella cintola nascosta sotto la tunica ed egualmente fece al Dajacco.

— Andate, miei valorosi — mormorò ella con profonda emozione, — e poi tornate vincitori a liberare la vostra regina di Mompracem.

Ella rimase presso i due falsi cadaveri, contando sull’orologio ora per ora, minuto per minuto, secondo per secondo con una pazienza inaudita. Alle dodici e mezza si alzò, pallida, ma risoluta. Comprendeva che la menoma debolezza, la più piccola esitazione poteva tornare fatale ai due pirati. — È tempo — mormorò ella, gettando un ultimo sguardo sulle sfere dell’orologio che seguivano impercettibilmente il loro corso. — La Tigre della Malesia m’ha detto che sia forte e io forte sarò.

S’avvicinò alla murata di poppa cogli occhi fissi sul timoniere che guardava la bussola volgendole le spalle. Staccò senza rumore due salva-gente e approfittando del momento in cui il piroscafo s’inchinava, li gettò in mare.

Li seguì collo sguardo finché le fu possibile, poi calma, impassibile, ricacciando nel più profondo del cuore l’emozione che l’assaliva, si diresse verso prua e si fermò dinanzi al luogotenente.

— Signore — gli disse con voce ferma. — Si compia l’ultima volontà della Tigre.

— Sono ai vostri comandi, milady — rispose il luogotenente facendo un gesto ai suoi uomini.

Quattro marinai seguirono Marianna a poppa. Essi sollevarono le due tavole mortuarie all’altezza della murata pronti a gettare i cadaveri sui neri flutti.

— Non ancora! — esclamò Marianna frenando a gran pena le lagrime e soffocando i singhiozzi.

S’avvicinò a Sandokan e posò le sue labbra su quelle gelide di lui. I suoi occhi si velarono di pianto.

— Addio, mia valorosa Tigre, addio — mormorò ella con voce rotta. — Addio!… Dio!… Dio!… Dammi forza!…

Era l’una meno tre secondi. Già un impercettibile fremito agitava le membra di quei due cadaveri che dovevano risuscitare sui flutti.

— Lasciate andare! — esclamò Marianna con un filo di voce, cadendo sulle ginocchia.

I marinai alzarono i due cadaveri e li precipitarono in mare che si chiuse sopra di essi, nel mentre che il piroscafo s’allontanava portando la sventurata giovanetta verso le coste maledette di Labuan!

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