Capitolo XXXII – Yanez

La sospensione della vita, come avea detto Sandokan, doveva durare sei ore né un secondo di meno, né un secondo di più, per lo che, appena che toccarono i flutti, ritornarono istantaneamente alla vita, senza provare la menoma alterazione di forze né di sensi.

Ritornati a galla, dopo essersi immersi per una diecina di metri, essi girarono gli occhi attorno. Scorsero subito, a meno di una mezza gomena di distanza, la nera massa del piroscafo che allontanavasi a tutto vapore, soffiando fragorosamente.

Primo moto di Sandokan fu quello di mettersi a inseguirlo, nel mentre che Inioko, ancora stordito da quella strana risurrezione, prendeva prudentemente il largo per non correre il rischio di venire scoperto. La Tigre s’arrestò però quasi subito lasciandosi dondolare fra le onde, cogli occhi fissi su quel legno che continuava allontanarsi portando la sventurata Marianna. Un profondo ruggito, un gemito soffocato gli rumoreggiò in fondo al petto e venne a morirgli sulle labbra increspate.

— Partita, rapita! — mormorò egli con voce semi-spenta dal dolore. — Oh! povera Marianna, mia povera fidanzata!…

Un impeto di follia lo prese e per qualche tratto seguì il vascello dibattendosi disperatamente fra le acque, facendo sforzi sovrumani per raggiungerlo. Egli s’arrestò per la seconda volta spingendo l’acuto suo sguardo dietro al legno che ormai era diventato quasi invisibile per la tenebra e per la lontananza. Egli tese le braccia verso di lui.

— Tu mi sfuggi e mi sfuggi portando teco la metà del mio cuore, ma ti raggiungerò, orribil nave, e quel dì che mi arrampicherò sui tuoi fianchi… Ah! potesse venire quel di, potessi riavere la mia diletta fra le mie braccia, potessi almeno farla mia per sempre!… Va, va, allontanati, ma per quanto ampio sia il globo ti raggiungerò e ti arderò assieme a tutti coloro che tu porti, oh! sì, lo giuro, lo giuro e sul mio Dio e sui miei defunti tigrotti.

Si rovesciò rabbiosamente sulle onde e volse le, spalle alla nave nuotando con quanta rapidità poteva, quasi avesse paura che l’attirasse. Egli raggiunse Inioko, che s’agitava come un pesce fra il liquido elemento, aspettandolo ansiosamente.

— Ah! Inioko, tutto è finito, ho l’anima infranta! — esclamò lo sciagurato. — È perduta e forse… e forse per sempre!

— Coraggio, capitano — disse il Dajacco. — Non è il momento di pensare ora alla vostra fidanzata che è sicura sul piroscafo.

— Sicura! Non dire così, Inioko.

— La salveremo, capitano.

— Oh! sì, sì, la salveremo, Inioko, dovesse la sua libertà costarmi la vita.

— Andiamo, capitano, non stremate le vostre forze con una inutile disperazione. Rammentatevi che abbiamo bisogno di essere forti per uscire vivi da questo mare. E poi, vedrete che noi torneremo a liberarla, appena che avremo ritrovato il capitano Yanez.

— Sì, hai ragione, Inioko, sarebbe follia stremare queste forze che sono sì preziose in questi momenti.

«Orsù, dimentichiamo ogni cosa, siamo forti, ritorniamo ancora una volta la Tigre della Malesia, Inioko, avanti!… Io do l’esempio!

Il vasto mare della Malesia si estendeva dinanzi a loro, sepolto fra fitte tenebre, completamente deserto, senza una scogliera od un isolotto su cui approdare ed attendere la comparsa del Portoghese, senza una vela che segnalasse la presenza di qualche naviglio, o un fumo, od un lume che segnalasse qualche piroscafo.

Per ogni dove vedevasi onde spumeggianti, che si urtavano le une contro le altre fragorosamente, aizzate dal venticello notturno che sibilava alle orecchie dei due nuotatori.

Tacitamente per non consumar forze sì preziose in quel terribile frangente, i due pirati, a pochi passi l’un dall’altro, continuavano la via ma avanzando con estrema lentezza, con mosse meccaniche, lente, misurate, l’un cupo quantunque cercasse di mostrarsi calmo, e l’altro tranquillo e felicissimo di averla fatta sì bella agli Inglesi.

Sandokan non poteva sì facilmente inghiottire quella forzata separazione dalla Marianna che amava alla follia. Che mai ne sarebbe avvenuto di lei una volta tratta ancor sulle maledette coste di Labuan tra le braccia del lord?

Questa domanda che non avrebbe potuto trovar risposta alcuna, agitava terribilmente il cuor ammalato di lui, lo circondava di timori gli uni più sinistri degli altri che invano cercava scacciare. Ruggiva d’ira, malediva il destino e la pirateria causa di tutti i suoi mali, e in quei momenti in cui la disperazione laceravagli il cuore malediva l’istante in cui aveva abbandonato il piroscafo.

Di tratto in tratto, egli si volgeva indietro per fissare i fanali della nave che andavano perdendosi all’orizzonte, e si sentiva preso da una pazza voglia di lanciarsi dietro ad essi. Rallentava allora le mosse, finiva coll’arrestarsi fra i flutti gorgoglianti gettando rauchi sospiri che confondevansi coi muggiti del mare. Non valeva né il pericolo, né le onde, né le chiamate del suo compagno per ismoverlo da quella disperata contemplazione.

— Lascia — rispondeva egli a ogni chiamata del Dajacco. — Lascia che veda ancora i suoi occhi, che oda ancora la sua voce.

Nella febbre gli pareva che i fanali del piroscafo fossero gli occhi della giovanetta e che la possente voce del mare fosse quella di lei, e rimaneva là, coll’ira rumoreggiante nel petto, nel cervello, la maledizione sulle labbra, inerte, con mille pensieri, abbandonato fino a che le onde finivano col coprirlo e inghiottirlo.

Ma quando il piroscafo scomparve del tutto fra le tenebre, che i fanali non furono più visibili sull’orizzonte, comprendendo alfine che ogni speranza pel momento era perduta, rivolse tutti i suoi pensieri al prahos del Portoghese. Ritornato a galla dopo l’ultima contemplazione, egli si mise a nuotare dirigendosi all’ovest cercando ansiosamente collo sguardo una vela o almeno un fanale che indicasse la sua presenza in quei luoghi.

— Andiamo, Inioko — diss’egli senza quasi alterazione di voce, — andiamo, io ritorno ancora la Tigre.

«Vieni, valoroso mio, cerchiamo il Portoghese; tutta la mia speranza è là, bisogna che lo trovi, bisogna che abbia il suo aiuto per ritornare a strappar ancora la giovanetta ai maledetti che me l’hanno rapita. Vieni, mi sembra avere il fuoco nelle vene che mi spinge all’ovest; mi sentirei capace di filar cento miglia per trovare mio fratello Portoghese.

— Ecco che voi parlate bene, che ritornate la Tigre — disse Inioko. — Lasciate ciò che è accaduto e pensiamo al presente che a quanto sembra non è del tutto chiaro. To’, guardate, mio capitano! che vale lamentarsi, quando noi siamo ancor liberi? Sia ciò che si vuole, una volta liberi si possono intraprendere grandi cose e ritornarcene laggiù a Labuan a far parlare i nostri fucili contro quei dannati, che contavano appenderci per la gola, e rapir ancora sotto i loro occhi la lady. Non sarà difficile, quantunque siamo ben in pochi. To’, se si tornasse ancora a Mompracem?

— Mompracem! — mormorò Sandokan con un sospiro. — Lascia Mompracem, che è morta, Inioko, e pensiamo al Portoghese.

— Vi penso, ma guardate un po’ che per quanto giri lo sguardo all’ovest, al nord e al sud non sono capace di vedere un lume né un lembo di tela che segnali il prahos. Sapete, capitano, che sarebbe una faccenda seria se egli non comparisse!

— Non lo crederò mai, Inioko. Mio fratello Yanez non può averci abbandonati, egli ci seguiva, ne sono certo.

— Ci seguirà, benone, ma se il povero uomo fosse stato pur egli catturato un po’ più tardi?

I due nuotatori provarono un brivido. Poteva bene darsi che il Portoghese, vinta la cannoniera, fosse stato alla sua volta vinto da qualche altro naviglio, per esempio dal brigantino o dai prahos del Sultano.

— Sarebbe la fatalità così accanita da privarci anche di quest’ultima speranza? — mormorò irato Sandokan. — Non lo voglio credere, non voglio ammetterlo, Inioko, non pensiamolo nemmeno, ma a ogni modo sarò ancor capace di uscir vivo da questo mare per quanto sia ampio e per quanto abbia a infuriare. Andiamo, tiriamo innanzi, conservando più che sia possibile le nostre forze, fino a incontrare qualche aiuto. Guarda, amico mio, mi rammento di aver detto a lei di gettarci qualche oggetto galleggiante in mare. Perché non avremo a incontrarlo?

— Oh! — esclamò il Dajacco. — Ecco che le cose cangiano volto, e la fortuna è con noi. Se è vero quello che dite, cerchiamo.

L’onda stancava i muscoli dei nuotatori che, per quanto fossero robusti, avrebbero dovuto fra tre o quattro ore venir meno; era quindi di massima necessità cercare quei galleggianti, onde trovare un punto d’appoggio e aspettare così la comparsa del sole per prendere qualche decisione sulla via da tenersi e approdare a qualche isola o incontrare il Portoghese, se era ancor libero. I due nuotatori, allargandosi notevolmente e l’un dall’altro, onde non isfuggissero ai loro occhi quei galleggianti che cercavano, si misero ad avanzare, seguendo la scia lasciatasi dietro dal piroscafo.

Vagarono per un quarto d’ora, moltiplicando i giri e le ricerche, e già disperavano d’incontrar quelli che tanto cercavano, credendo che la giovanetta non avesse avuto il tempo di gettarli in mare, quando Sandokan, che si volgeva spesso, quasi cercasse discernere ancora i fanali del piroscafo, credette vedere due oggetti ondeggiare a una trentina di passi dietro di sé. Si sollevò a metà fuor dai flutti, e poté assicurarsi che non s’ingannava.

— Inioko — diss’egli, volgendosi verso il compagno che lo precedeva di una ventina di metri, respirando rumorosamente. — Non vedi laggiù qualche cosa che sulle onde trastullasi?

Il Dajacco, dopo di essere stato più volte coperto dalle onde, s’arrestò, gettando uno sguardo dietro di sé.

— Eh! — esclamò egli. — Mi sembra di vedere due oggetti, che somigliano a due anelli. Sarebbero essi i due galleggianti promessi dalla nostra regina, oppure due pesci di nuovo conio?

— No, non sono pesci, ma i due galleggianti che quell’adorabile Perla di Labuan ha gettato in mare per noi. Ah! quanto vorrei abbracciarti, amata Marianna! — esclamò il pirata commosso fino al fondo dell’anima.

— Non pensate alla lady ora — disse Inioko. — Ella v’inquieta e vi rende pazzo.

Sandokan mandò un sospiro e si diresse verso i due oggetti intravveduti. Erano due salvagente, due anelli di sughero coperti da una grossa tela, che permettevano di trovare un punto d’appoggio anche con mare forte.

— Ah! — esclamò Sandokan, afferrandone uno, — sapeva bene che ella avrebbe fatto tutto ciò che le avrei chiesto. Orsù, Inioko, caccia la testa dentro e fa passare pure le braccia. Una volta che noi abbiamo sotto le ascelle questi oggetti possiamo andare fino alle Tre Isole.

— Alle Tre Isole! E voi non pensate che non abbiamo viveri, e che per di più navighiamo in un mare dove i pesci-cani si sono acquistati una triste celebrità! Mi vengono i brividi a pensare che le mie gambe possono offrire un bel boccone a quei terribili ghiottoni.

Sandokan, quantunque coraggioso, alla osservazione del Dajacco fremette. Non ignorava che navigavano su di un mare battuto da numerose bande di ferocissimi squali. Non sarebbe stato niente difficile che una coppia di quei mostri, se non una dozzina intera, avesse ad assalirli o si avvicinasse sott’acqua a mozzare a loro le gambe.

— Non mancherebbe che questo, dopo la ferocità degli uomini — disse Sandokan, gettando uno sguardo indagatore all’intorno. — In fede mia, Inioko, non saprei come l’andrebbe a finire, se qualcuno di loro apparisse e ci desse la caccia.

— Chi sa che non abbiano ad accorgersi della nostra presenza?

— È difficile l’ammetterlo. Siffatti pesci fiutano la preda a grandi distanze. Per buona fortuna, ho qui alla cintura un pugnale messovi ancora da quella povera Marianna. Guarda, Inioko, quanto fu previdente quell’adorabile creatura!

Si frugò nella cintola e vi trovò il pugnaletto messovi dalla giovanetta, Inioko vi trovò il suo.

— Ikaut! — esclamò il Dajacco allegramente. — Vedete, mio capitano, io mi sento preso da profonda ammirazione per quella fanciulla che ha tanto fatto per noi. Trovo che essa è degna della Tigre e che è giusto che voi abbiate ad amarla tanto. È più valorosa che nol fosse una Dajacca dei nostri monti e più previdente che un Dajak laut. Adorabile milady!

— Sarebbe poco, Inioko, adorabile, chiamala divina! — esclamò il pirata con slancio appassionato. — Divina sarebbe ancor poco!

— Tacete, capitano, voi parlate troppo alto e attirerete i pesci-cani se forse ve ne ha qualcuno a un due o trecento passi lontano. Mi sembra anzi di aver veduto qualche cosa, laggiù dinanzi a noi, trastullarsi fra la spuma. Potrà essere uno d’essi.

— È la paura che ti fa vedere pesci-cani ovunque, Inioko, se ve ne fosse uno a dieci miglia lontano sarebbe di già alle nostre spalle. Tuttavia mi tacerò, orsù, passa il capo nel tuo salva-gente e tiriamo pian piano innanzi.

Il Dajacco ubbidì e si fe’ passare l’anello galleggiante sotto le ascelle, dopo di aver bevuto più di qualche tazza d’acqua salata che si affrettò a rigettare, e i due nuotatori senza sforzo, meravigliosamente sostenuti, coi pugnali fra le mani, si misero ad avanzare lentamente, abbandonandosi di tratto in tratto all’ondeggiare dei flutti che pareva invitarli a dormire, cosa che quei due uomini sarebbero stati capaci di fare se la tema dei pesci-cani non avesse loro messo addosso un certo sentimento timoroso che non riuscivano a scacciare, malgrado i ragionamenti filosofici.

Questo timore che dapprima era un semplice sentimento, specie in Sandokan che non aveva mai temuto né gli uomini, né il mare e meno ancora gli squali, ingigantì siffattamente nel Dajacco, che non osava quasi muoversi per la tema di attirar i feroci nemici, e raggrinzava le gambe per non offrire ad essi un troppo grosso boccone. Aveva pure un bell’assicurarlo il suo compagno, ma il valoroso che aveva affrontato per tanti anni il fuoco, si sentiva realmente preso dallo spavento, e gettava occhiate a destra e a manca, dinanzi e di dietro, e non potendo tuffarsi per guardare sott’acqua, onde accertarsi che alcuno di essi si trovava lì accanto, vibrava calci per ogni dove.

— Ikaut! — esclamava egli a ogni assicurazione di Sandokan, che procedeva tranquillo guardando invece all’ovest per cercare di scoprire il prahos del Portoghese. — Ikaut! Avete un bel dire, mio capitano, che siamo armati e che i pesci-cani, se ve ne fossero, sarebbero di già qui e alla superficie anziché sott’acqua, ma non mi tranquillizzo. Vi confesso che se non ho mai avuto paura degli uomini e del mare, ho una paura dannata di essi, che godono una certa fama nei mari della Malesia da far rabbrividire. Se uno di essi nuotando sott’acqua venisse a mozzarmi le gambe?

Coi salvagente sotto le ascelle, i due nuotatori, l’uno irritato contro il Portoghese che non si mostrava, e l’altro tutto intento ai suoi pesci-cani immaginari, almen pel momento, continuavano così avanzare sulla via dell’ovest nella più profonda oscurità, battuti dalle onde, che talvolta incontrandosi li coprivano, un po’ irrigiditi all’estremità dei piedi sempre tuffati. Si tenevano prudentemente l’un accanto all’altro per portarsi un vicendevole aiuto, arrestandosi quando sembrava loro di vedere qualche cosa che avesse l’apparenza di un pesce, e facendo i loro commenti sul Portoghese, che pareva tardasse, e assai, a comparire all’orizzonte.

Sandokan era inquieto più del compagno e aveva ben ragioni di esserlo dipendendo la loro salvezza tutta dal Portoghese. Senza di questi, tutte le speranze di lanciarsi sulle traccie del piroscafo e di raggiungerlo prima che toccasse Labuan, cadevano inevitabilmente su tutta la linea.

Senza mezzi di sorta, senza uomini e senza navi, era impossibile che la Tigre riuscisse a salvare la fidanzata, innanzi che tornasse a cadere nelle mani del lord, che poteva trasportarla a Sarawak, forse in India e fors’anche in Inghilterra.

Il pirata non riusciva a dominare i timori e le angoscie che agitavano il suo animo.

Si rizzava di frequente sulle spalle del Dajacco e scrutava avidamente il fosco orizzonte, sfogandosi in maledizioni e in bestemmie senza numero contro il cielo e contro l’inesorabile fatalità che continuava sempre a perseguitarlo.

— Ma dov’è, dunque, questo disgraziato Yanez? — mormorava egli, con crescente ira. — Ha forse egli preso la fuga, lasciandomi solo a lottare contro questo inesorabile destino? Perché non si mostra? Perché non viene ad aiutarmi per seguire la nave maledetta che trascina la mia fidanzata verso le orride coste di Labuan? Ah! Yanez! non ti credeva capace di lasciare così tuo fratello!…

— Voi parlate a rovescio — disse Inioko che s’arrabbiava contro le onde che lo coprivano. — Il povero Yanez, che voi accusate, sta forse per venire. Io non posso ammettere che quel brav’uomo, così affezionato a voi, ci abbia abbandonati. Via, che andate mai dicendo, mio capitano?

— Verrà, tu dici, ma non si mostra. Sono due ore che scruto l’orizzonte, ma non vedo né un fanale né una vela.

— Sarà ancora lontano, ecco tutto. Il piroscafo era un buon camminatore e voi sapete che i nostri prahos, che sono rapidi come le palle di fucile quando soffia buon vento, sono altrettanto lenti quando dura la calma. E poi, chi sa mai in quale stato fu ridotto il suo legno nel duello contro la cannoniera. Lasciamogli un po’ di tempo e vedrete che egli ci raggiungerà.

— Zitto! — esclamò Sandokan improvvisamente. — Zitto!

Egli si appoggiò alle spalle d’Inioko e uscì a metà fuori dei flutti, spingendo lo sguardo verso il sud, dove una massa nera solcava il mare. Per quanto facesse oscuro, i suoi occhi distinsero in quella massa un gran vascello.

— Inioko — diss’egli ricadendo in acqua e con voce lievemente commossa, — ho scorto una nave al sud appena a mezzo miglio da noi. Non so ancora a qual bandiera appartenga, ma è sempre una nave; se arrischiassimo un grido d’aiuto?

— Una nave! — esclamò il Dajacco sorpreso. — Da dove diavolo è sbucata che non l’abbiamo vista prima? Oh! La faccenda mi pare che diventi imbarazzante. Siete sicuro che non sia il prahos del Portoghese? Fa abbastanza oscuro per ingannarsi.

— No, è un vascello, ne sono sicurissimo, Inioko. Sta fermo che io l’osservi un po’ meglio.

Tornò ad arrampicarsi sulle spalle del Dajacco e guardò ancora il vascello che navigava verso l’est, quasi da credere che avesse l’idea d’avvicinarsi a loro.

Guardando bene, riconobbe in lui un grosso brigantino, il quale rammentavagli un po’ vagamente quello stesso che aveva preso parte al bombardamento di Mompracem.

— Non un grido, Inioko! — esclamò egli, abbassandosi bruscamente. — O che io m’inganno di molto, o che quel brigantino è il medesimo che prese parte all’attacco del villaggio. Il vecchio birbone mi ha l’aria di essere tutto lui: non un grido adunque. Sta avvicinandosi, ci passerà a poca distanza, ne sono sicurissimo. Cerchiamo di non essere scorti, se vuoi ancor essere libero.

— Sarebbe lui ancora? Ed io che contava di venir raccolto e che stava per gettare un grido d’aiuto. Ma come può esser mai qua?

— E chi potrebbe saperlo? Forse cerca il Portoghese e forse viene dal nord, dopo di aver girato Mompracem, ignorando ancora la battaglia col piroscafo e colla cannoniera. Strappati di dosso quel salva-gente e sta pronto a tuffarti od a portarti al largo.

Abbandonati frettolosamente i due galleggianti, i due pirati, cui premeva evitare quell’incontro pericoloso, si tuffarono senza far rumore per non destare l’attenzione degli uomini di guardia e si misero a nuotare sott’acqua come i pesci.

Il brigantino, poiché era proprio lui, irto di cannoni e con più di qualche attrezzo frantumato, dopo di aver fatto una bordata all’ovest ed un’altra al sud, come indeciso sulla via da prendere, si dirigeva al nord-est movendo verso i due pirati, che, tuffandosi a intervalli, spiavano attentamente le sue mosse.

Aveva i fanali spenti, forse per sorprendere i legni pirateschi che credeva ancora in mare, e filava a tutte vele spiegate, lasciandosi dietro una striscia fosforescente. Esso passò a venti braccia dai pirati che si erano affrettati a scomparir sott’acqua non tanto presto però che uno degli uomini di guardia avesse scorto qualche cosa di sospetto in quel tuffo che gli strappò una esclamazione.

— Oh! — aveva gridato il marinaio. — Se non fossi sicuro che abbiamo una zigaena da poppa, avrei creduto di vedere due teste.

Il nome zigaena, o pesce martello come lo si vuol chiamare, o peggio ancora balance fish, come lo chiamano gl’Inglesi, che giunse alle orecchie di Inioko, gli fece gelar il sangue nelle vene e, dimenticando ogni prudenza, cacciò la testa fuori dell’acqua, gettando uno sguardo smarrito all’intorno per cercar di scorgere il terribile pesce.

— Vi sono due zigaene a poppa forse? — gridò la medesima voce che il vento portava sino al Dajacco.

Comprendendo il pericolo di venir scoperto tornò a tuffarsi, urtando contro il compagno che aveva di già in mano il pugnale.

Risalirono entrambi a galla guardandosi in volto, dondolandosi fra la scia del brigantino che si era di già allontanato di un centinaio e più di metri grazie al buon vento che lo spingeva sulla via dell’est.

— Una zigaena! — esclamò il Dajacco, che si dimenava nei flutti come un diavolo nella pila benedetta. — Una zigaena!

— Che sia vero? Non aver paura che sono qua io — disse la Tigre.

— L’ho udito distintamente colle mie orecchie, capitano — rispose Inioko. — Oh! Non moviamoci più, potrebbe aver seguito la scia della nave e potrebbe anche spiarci. Maledetto pesce!

Il Dajacco, così parlando, si aggomitolava su sé stesso credendo sempre di sentirsi mozzar le gambe e non si moveva più, rattenendo persino il respiro, nel mentre che Sandokan deciso di sbarazzarsi del pericoloso nemico, a onta delle raccomandazioni del compagno, batteva le acque per ogni dove.

— Egli vi porterà via le gambe, non movetevi, capitano, lasciatelo che se ne vada in pace — diceva Inioko con voce tremula. — Sangue del demonio! Eccolo!…

Infatti la zigaena che sino allora aveva giuocherellato nella scia del vascello, comparve vicina a loro, alzando fuor dalla spuma il suo bizzarro capo foggiato a martello, alle cui estremità brillavano i grandi occhi giallastri.

Alla vista dei due nuotatori parve più sorpresa che irritata e s’arrestò a pochi passi di distanza battendo fragorosamente l’acqua colla possente sua coda.

— Ah! Anche tu sei tra i piedi! — esclamò Sandokan traendo il pugnale e levandolo verso di essa.

— Lasciatela andare, capitano — s’affrettò a dire Inioko, cui la vicinanza del pericolo incuteva però coraggio.

— Questo affamato pesce ci assalirà, tigrotto mio. Tanto vale assalirlo direttamente prima che si getti su di noi; orsù, prestami man forte.

Ma la zigaena non era d’umore d’aspettarli. Si tuffò, ricomparve alla superficie, e contrariamente ai suoi istinti feroci, prese il largo, seguendo ancora la scia del brigantino. In pochi istanti fu tanto lontana da non esser più visibile.

I due nuotatori tuttavia non si mossero, né lasciarono i pugnali. Solo si tuffarono più volte, per assicurarsi che il vorace squalo non capitasse sott’acqua.

Inioko tornò a segnalare il nemico che avanzavasi rumorosamente scuotendo a dritta e a manca la testa. Esso si mise a girare e a rigirare attorno a essi, ora allargando e ora restringendo i cerchi, e cacciando fuori rauchi e profondi sospiri.

— Sta in guardia, Inioko — disse Sandokan. — La canaglia giuoca, per ora, ma potrebbe stancarsi e venirci addosso prima che abbiamo a pensarlo. Aggrappati al salva-gente e filiamo pian piano, verso l’ovest. Chi sa che non abbia a stancarsi di seguirci.

— Se venisse qualcuno in nostro aiuto! — mormorò il povero Dajacco. — Anche questi pesci dopo gli uomini!

— Lascia i lamenti e guardati dai denti che mi sembrano molto acuti. Orsù, in ritirata colla prua all’ovest!

Colla sinistra attorno al salvagente e la dritta armata del pugnale, volgendo la faccia alla zigaena che giuocherellava a dieci o dodici metri di distanza, rovesciandosi rumorosamente fra le onde, i due pirati si misero in viaggio, urlando e battendo l’acque colle gambe per tener lontano il terribile pesce.

La manovra non riuscì. La zigaena dopo mezz’ora era ancora lì, continuando i suoi giuochi, sollevando colla possente sua coda vere trombe d’acqua che giungevano fino ai nuotatori, mostrando i suoi acuti ed enormi denti ed emettendo certi sospironi da paragonarsi al tuono udito in lontananza.

D’un tratto fece un balzo gigantesco e si precipitò verso i due pirati. Proprio in quel momento Inioko gettò un urlo di gioia.

— Capitano!… Capitano!… — balbettò egli.

La zigaena s’arrestò, batté ripetutamente l’acqua colla coda, girò su sé stessa e s’allontanò rapidamente, lasciandosi dietro una scia gorgogliante e luminosa.

Sandokan che aveva alzato il pugnale si volse verso il Dajacco che cercava sollevarsi fuori dalle onde.

— Che vedi? Che hai? — gli chiese egli rapidamente.

— Guardate laggiù, al sud-ovest!… Per Allah!… Vedo un fanale… un punto luminoso… Ah! capitano!

La Tigre guardò. Un fanale bianco solcava l’orizzonte a tre o quattrocento gomene e andava avvicinandosi in furia.

— È Yanez! — esclamò egli.

— Per Allah! Capitano! guardate!…

— Che vedi ancora? Gran Dio! Non è lui!

La terribile esclamazione gli fu strappata dalla vista di due altri fanali che seguivano a corta distanza il primo. Il Portoghese non poteva avere con sé altri legni dacché tutti i tigrotti di Mompracem erano morti. Sarebbe stata follia ammetterlo.

— Che facciamo adunque? Chi sono mai?.

— No, non è Yanez quello là — rispose con ira Sandokan. — Maledizione!…

— E chi possono essere mai?

— L’ignoro.

— Forse sono navi mercantili, che possono raccoglierci.

— E forse navi nemiche.

— Capitano!…

— Ti comprendo, Inioko. Piglia il pugnale: navi nemiche o no, noi c’imbarcheremo. Grida aiuto.

— Ma…

— Sono la Tigre! — disse superbamente Sandokan. — Se le navi sono nemiche, cadranno sotto i miei artigli.

Inioko gettò un urlo altissimo chiamando aiuto! Un momento dopo s’udì un’archibugiata al largo.

— Hai udito? — chiese Sandokan.

— Si, ci hanno intesi e fors’anche scorti — rispose Inioko.

— Prepara il tuo pugnale. Potrebbe darsi che avessimo a batterci.

I tre legni andavano avvicinandosi rapidamente, dirigendosi verso di loro. Sandokan, dalle vele enormi riconobbe in essi tre prahos. Senza saper rendersi conto del perché, sentì il cuore battergli con veemenza.

— Olà! — gridò egli con voce tonante. — Chi siete?

— Tigri! — rispose una voce partita dal prahos più vicino. Sandokan uscì a metà dalle onde.

— Tigri! Tigri! — esclamò egli. — Inioko! Sono tigri!… Yanez! Yanez!

— Per Giove! Chi mi chiama? — chiese una voce.

— Io, Sandokan, la Tigre della Malesia!…

Gli rispose un gran grido, un grand’urlo di gioia partito dai tre prahos.

— Viva la Tigre!… Viva Sandokan!

Il primo prahos era vicino. I pirati lo raggiunsero in meno che lo si dica e si issarono sul ponte.

Un uomo s’avventò contro la Tigre e lo strinse contro il suo petto.

— Ah! mio povero fratello!… Credeva non rivederti mai più.

Sandokan posò il capo sul petto di Yanez, ed emise un singulto che fu coperto dalle urla dei marinai dei tre legni, che, pazzi di gioia, gridavano a squarciagola:

— Viva la Tigre! Viva Sandokan! Vendetta! Sangue!

Egli rimase alcuni istanti abbracciato a Yanez, poi improvvisamente rizzossi e tese minacciosamente le mani verso l’oriente.

— Compagni! — tuonò egli, — a Labuan! A Labuan! La Tigre della Malesia ve lo comanda!…

Un minuto dopo i tre legni viravano in furia di bordo veleggiando verso le coste dell’isola indicata.

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