Capitolo XXXIII – Il piroscafo

Data la rotta, scelti gli uomini di guardia, installati gl’individui dalla vista più acuta sui pennoni delle grandi vele, per non lasciar fuggire il piroscafo e fatti spegnere i fanali di bordo, per non attirare l’attenzione di qualche incrociatore, Sandokan ed il Portoghese s’affrettarono a scendere nella cabina di poppa per venire a spiegazione e per progettare i loro piani onde poter riacquistare la perduta regina di Mompracem.

Il primo, cupo e scoraggiato, si lasciò cadere su di una panca dinanzi al tavolino, l’altro, gaio come sempre, sedette a lui di fronte, stappando un fiascone di wisky ed empiendo due grandi tazze.

— Orsù, fratello mio — disse questi. — Per quale miracolo ti trovo ancora vivo, mentre ti credevo da un pezzo appiccato a qualche pennone? Sai che io sono assai sorpreso e che mi sembra ancora impossibile di vederti qui? Per mille spingarde! Bisogna dire che qualche buon’anima prega per te e fors’anco pei tigrotti di Mompracem.

— Chi sa? — mormorò Sandokan. — Lascia lì ora ciò che riguarda me e parliamo invece di te. Dove hai trovato quei due legni che ti seguono? Come mai ti trovi qui invece di dormire d’un sonno eterno in fondo al mare? Se tu sei sorpreso di avermi trovato vivo io sono egualmente sorpreso di veder te accompagnato da tante forze.

Il Portoghese vuotò l’una dietro l’altra tre o quattro tazze di liquore, poi, dopo di essere rimasto qualche istante silenzioso:

— Sandokan — disse. — Ti ricordi quella notte che la flotta nemica ci assali?

— Non lo scorderò mai. Quella notte perdetti la mia Mompracem, il mio mare, i miei tigrotti, la mia potenza e persino la mia Marianna.

— Marianna? E dove trovasi essa?

— Silenzio, Yanez, continua il tuo racconto ora. Avrò sempre il tempo di riaprire la ferita che mi straziò il cuore.

— Bene, io quella notte fatale fui assalito da una cannoniera, che si era fissa in capo di abbordarmi. Ci battemmo accanitamente per mezz’ora, io tentando di aprirmi il passo per accorrere in tuo aiuto, essa cercando d’impedirmelo. I miei cannoni ebbero il sopravvento e la maledetta, sventrata, andò a picco con tutti i suoi uomini.

— Bravo, Yanez. Hai vendicato la rotta di Mompracem. Prosegui.

— Quando l’affondai, il tuo prahos sdruscito si sfasciava e tu eri alle prese col nemico sul ponte del piroscafo. Stimando essere pazzia il voler tentare di liberarti, fuggii, m’allontanai, poi, quando vidi il piroscafo andarsene, mi misi a seguirlo a gran distanza sperando di poterti una notte o l’altra salvare dando improvvisamente l’abbordaggio.

— Ah! Gli è proprio vero che tu mi seguivi? Ne aveva la sicurezza.

— Per mille spingarde! Come pensare altrimenti? Si, seguii il piroscafo ma il vento scemò il giorno dopo, e io rimasi assai indietro per quanto i tigrotti arrancassero furiosamente. Alla sera aveva perduto di vista la cima degli alberi del legno, ma non disperai e continuai a seguirlo sulla via delle Romades sicuro che avrei finito col raggiungerlo.

— Alto là, Yanez. Non ti sembrava strano che il vascello navigasse verso le Romades anziché verso le Tre Isole?

— Sicuro, ma io lo seguii nella sua rotta quantunque temessi che alle Romades si tenesse ancorata una parte della flotta.

— Basta così, continua, Yanez.

— Erano passate già ventiquattr’ore quando scorsi due legni che mi avevano l’apparenza di due prahos pirateschi.

— Ah! E chi erano?

— Aspetta un momento. Innalzai la bandiera di Mompracem, e con mia gran sorpresa vidi che pure essi ne alzavano una di simile. Venimmo a parlamento e riconobbi che uno era il prahos di Paranoa che ci portò a Labuan e l’altro il prahos di Maratua che faceva parte della flotta di Giro Batoë.

— Ah! Ma come mai erano ancora vivi? Non s’erano adunque annegati i loro equipaggi?

— No, tanto è vero che ci seguono. Tu sai che la tempesta infuriava soffiando dal sud tremendamente.

— Sì, me lo ricordo.

— Paranoa fu trascinato verso il settentrione e andò ad arenarsi col suo legno sull’isola Pulo Gaya. Maratua invece andò a dar di cozzo contro le scogliere della baia d’Ambong. Perdettero molto tempo a raggiustare i loro legni, poi scesero al sud e s’incontrarono sulle coste di Mompracem.

— Hanno approdato a Mompracem, hai detto? — interrogò la Tigre. — Chi abita la mia isola? Chi prese il posto della Tigre della Malesia? Parla, Yanez, parla!…

— Non trovarono che le fumanti ruine del nostro villaggio e delle nostre batterie. Gl’Inglesi avevano sgombrato.

La Tigre mandò fuori un sospirone.

— Meglio così — mormorò egli. — Meglio così.

— Ti sta ancora a cuore Mompracem?

— Sempre! Sempre, Yanez! — rispose cupamente Sandokan. — Dacché ho perso la mia isola mi pare d’aver perduto un lembo del mio cuore, mi pare che mezza della mia vita se ne sia andata.

— Lascia la nostra povera isola, Sandokan! Pensiamo invece a Marianna.

Il pirata, che si era fatto torvo in viso, rialzò con fiero gesto il capo che teneva curvo sul petto.

— Ah! sì! — esclamò egli con veemenza. — Pensiamo a lei.

— Dove l’hai lasciata?

— Dì dove l’ho abbandonata invece.

— Come vuoi.

— Si trova sul piroscafo che mi assali e che mi assassinò l’intero equipaggio. È(1) ancora prigioniera nelle mani di loro. Buon per me che non vive più il rivale che mi faceva tremare.

— Oh! Quel baronetto…

— L’ho ucciso, l’ho veduto cadere ai miei piedi col cranio spaccato, ho veduto correre pel ponte del legno maledetto il suo sangue.

— E ora, che facciamo adunque?

— Riprendiamo la lotta con Labuan.

— Sei sempre ammalato.

— Sempre e oggi più terribilmente di ieri, a segno che questa malattia mi spaventa. Non guarirò mai più se non riavrò Marianna.

— Ma siamo in una posizione disperata: Mompracem l’abbiamo perduta, le nostre forze sono scarse, gl’Inglesi sono potenti dopo che si allearono al Sultano di Varauni.

— La Tigre, che era prossima a morire, è ridiventata la Tigre di Mompracem, Yanez. Ho ancora sete di sangue, sento di aver riacquistate tutte le mie forze, sento di essere ancora capace di ruggire, di mordere, di portare la desolazione e lo spavento dove il mio sguardo si fisserà. Sarei capace di ridurre Labuan in un deserto seminato di cadaveri.

— Vuoi proprio andare ancora a Labuan?

— Aspetta un po’, Yanez. Quale via credi che abbia preso il piroscafo?

— Sicuramente la via di Labuan. Il lord deve essere ancora a Vittoria.

— Allora daremo la caccia al piroscafo.

— E se non lo raggiungiamo? Quel dannato ha il vento nella stiva.

— Sbarcheremo a Vittoria.

— Tu sei pazzo.

— Lascia fare a me. Ti giuro, Yanez, che se non riesco a riavere Marianna, la Tigre darà fuoco a Vittoria.

Sandokan si alzò, tracannò un ultimo bicchiere di wisky e salì in coperta, seguito da Yanez, che erasi fatto pensieroso.

La notte era chiara per la luna che era allora sorta all’est. I tre legni, distanti un duecento passi l’un dall’altro, divoravano la via sotto il vento dell’ovest che spirava fortissimo, gonfiando le enormi vele. I pirati sparsi qua e là sui ponti s’affaccendavano, dietro ordine dei capi, a preparare i cannoni, che fortunatamente si trovavano in buon numero a bordo. Sandokan andò a sedersi a prua, guardando la vasta distesa d’acqua che brontolava e si alzava in grosse ondate, riflettendo bizzarramente l’argentea luce dell’astro notturno.

S’era appena accomodato sulla carretta di un cannone, quando i suoi occhi distinsero in mezzo ai flutti un oggetto risplendente che ondulava, ora tuffandosi ed ora tornando a galla. Egli si alzò di scatto.

— Yanez! — esclamò vivamente. — Fa poggiare.

— Che vedi? Forse un incrociatore? — chiese il Portoghese accorrendo a lui vicino mentre il timoniere ubbidiva al comando.

— No, vi ha qualche cosa che galleggia laggiù. Non so, ho uno strano presentimento che quell’oggetto mi riguardi.

— Uhm! — fe’ il Portoghese. — Come mai potrebbe quella roba là interessare la Tigre? Olà, timoniere, poggia dritto quel galleggiante. Poggia presto.

Il prahos cangiò rotta, dirigendosi verso l’oggetto indicato che in pochi istanti venne raggiunto. Un marinaio fu calato in mare e lo afferrò gettandolo a Sandokan che lo prese con vivacità.

Era una scatola di latta di quelle che s’adoperano usualmente per rinchiudervi il tonno. Sandokan strappò il coperchio e trasse una carta umidiccia che era appiccicata nel fondo.

— Oh! — esclamò Yanez. — Che significa ciò?

— Questo è qualche documento prezioso.

— Non capisco il come.

— Lo saprai. Il mio cuore me lo dice.

Spiegò la carta sulla quale scorgevansi alcune linee di una calligrafia fina ed elegante. Sandokan tremò come fosse stato preso da un terribile accesso di febbre.

— Yanez! Yanez!… — balbettò egli.

Il Portoghese s’impadronì d’una lanterna e rischiarò la lettera.

— Leggi, Sandokan, leggi. Io ardo come te.

— Tuoni di Dio! Io sono diventato cieco, non vedo nulla.

Il Portoghese gli tolse la lettera di mano e lesse:

«Aiuto! Mi si conduce alle Tre Isole dove il lord verrà a prendermi per condurmi a Sarawak. Sono perduta.

«Marianna».

Sandokan nell’udire quelle parole aveva gettato un terribile urlo, un urlo straziante. Egli alzò le mani, cacciandosele disperatamente nei capelli e vacillò come fosse stato colpito da una palla nel cuore.

— Perduta!… Perduta!… Il lord!… — ruggì egli.

Yanez e i pirati lo avevano circondato e lo guardavano con ansietà, con commozione. Pareva che soffrissero le medesime pene che soffriva la povera Tigre.

— Fratello! — disse Yanez. — Noi la salveremo, te lo giuro.

La Tigre, curva, scattò in piedi col volto contraffatto:

— Tigrotti! — gridò egli con impeto furioso. — Abbiamo delle giacche rosse da esterminare, di quelle giacche rosse stesse che ci assalirono e ci sconfissero a Mompracem, che mi fecero prigioniero.

— Vendetta! Vendetta! — vociarono i pirati.

— Tigrotti, abbiamo la regina prigioniera. La voglio libera! La voglio mia!

— Viva la regina! Sangue! Abbiamo sete!

— E io vi farò dissetare nel sangue inglese. Alle Tre Isole, tigrotti!

— Alle Tre Isole! Tutti alle Tre Isole! Abbiamo sete!

I tre prahos cangiarono rotta, dirigendosi alle Tre Isole lontane tutt’al più una ventina di miglia. I pirati che già credevano di avere nelle loro mani il piroscafo e spegnere alfine la terribile loro sete nel sangue dell’odiato nemico, si misero febbrilmente all’opera per essere pronti a cominciare la pugna, che senza dubbio doveva essere tremenda.

Caricavano i cannoni a mitraglia, mettevano in batteria le spingarde smontate, aprivano i barili di polvere, ammonticchiavano a prua ed a poppa un’enorme quantità di bombe, toglievano le manovre inutili e rinforzavano le altre, improvvisavano barricate sui ponti, preparavano i grappini d’abbordaggio. Persino dei recipienti di bevande alcooliche e di petrolio venivano da loro portati sul ponte per dar fuoco, se occorreva, ai legni ed incendiare così il piroscafo e distruggere tutti coloro che lo montavano.

Sandokan li animava col gesto e colla parola, promettendo a tutti botti di sangue e teste d’Inglesi.

— Ah! — andava esclamando egli di tratto in tratto. — Potessi giungere in tempo di salvarla!

— La salveremo — disse Yanez che fumava accanto a lui guardando fissamente il mare per vedere se le Tre Isole comparivano sull’orizzonte. — Il bello sarà a trovarlo, il maledetto. Dove diavolo si sarà rifugiato? Se vi fosse qualche cittadella, si sarebbe sicuri di trovarlo ancorato lì presso, ma che io sappia, le Tre Isole non hanno che dei villaggi insignificanti o per lo più piantati entro terra.

— Non aver paura di questo, Yanez — rispose Sandokan. — Noi lo troveremo per quanto si sia ben nascosto. Sulle coste meridionali della prima isola si trova una gran baia profonda e sono più che sicuro che si sarà ancorato là. Tutto sta che noi abbiamo a giungere in tempo di sorprenderlo colla giovanetta a bordo.

— E in qual modo, fratellino mio, lo assaliremo?

— A cannonate prima, colle scimitarre dopo.

— È roba vecchia, codesta. Ma non puoi aver dimenticato che sul piroscafo si trova Marianna.

— Ebbene?… Che vuoi dire?

— Per Giove! Credi tu che gli Inglesi se la lascieranno rapire una seconda volta?

— Quando i miei tigrotti, guidati dalla Tigre della Malesia, giungeranno sul ponte del legno nemico, vorrò ben vedere quale Inglese sopravviverà per disputarmi la fidanzata. Preghiamo Allah che vi possiamo arrivare prima che la nave del lord apparisca; del resto rispondo io.

— E non ti rammenti che tentò di fare il lord, quando noi gli rapimmo la lady?

Sandokan sentì i capelli rizzarglisi sulla fronte.

— Me lo ricordo — mormorò con voce cupa.

— Tentò di ammazzarla.

— Lo so, e crederesti tu… Non è possibile, Yanez.

— Non credo nulla, ma il comandante potrebbe aver ricevuto l’ordine di farle saltar le cervella, nel caso che venisse assalito.

— E dunque? — chiese Sandokan, con un filo di voce.

— E dunque bisognerà impedire che questa sventura accada.

— Ma come?… Su, parla, Yanez, hai qualche piano in testa?

— Forse.

— Gettalo fuori, per mille tuoni! Io son tutto in sudore, tremo tutto di spavento. Oh!… Se venisse uccisa! Guai!… Guai! Non le sopravviverei un solo istante!…

— Innanzi a tutto bisognerà spacciare il comandante della nave.

— Sicuro, ma come?

— Con un colpo di pistola. Una volta a bordo del suo legno non sarà difficile mandarlo a gambe levate col cervello bruciato.

— Una volta a bordo del suo legno! Ma come si salirà?

— Ecco che ci siamo — disse Yanez. — Tu sai che fra i legni che bombardavano Mompracem ve n’erano parecchi del Sultano di Borneo.

— Sì, lo ricordo — disse Sandokan trucemente.

— Benissimo. Io inalbero sul mio prahos la bandiera del Sultano, vesto i miei uomini come le guardie di Varauni ed entro tranquillamente nella baia.

— Ah! Yanez! — esclamò Sandokan, stringendoselo al petto.

— Sta fermo, fratellino mio — disse il Portoghese. — Una volta nella baia vado ormeggiare il mio legno presso il piroscafo e salgo sul suo ponte colla scusa di dire due parole al comandante. I miei uomini saranno lì: saltiamo in coperta e facciamo un massacro di tutte le giacche rosse…

— E Marianna?… No, Yanez, qualche cane d’Inglese potrebbe raggiungerla nella sua cabina ed ammazzarmela.

— E allora che vuoi fare?

— Quanti pirati abbiamo?

— Una quararantina e più.

— Benone. Quaranta compreso me c’imbarchiamo sul tuo legno. Tu sali sul piroscafo con una lettera indirizzata a Marianna. Farai tanto che gliela consegnerai nella cabina, e una volta raggiuntala ti barricherai assieme. Basterà un tuo fischio per farci avvisati che tu sei al sicuro: ci arrampicheremo sul piroscafo e faremo un macello di tutti gl’Inglesi.

— E se ci scoprissero prima di avvicinarci al vascello?

— Come?

— Chi sa. Gl’Inglesi qualche volta sono furbi.

— Non mettermi paure indosso, Yanez — disse Sandokan.

— A ogni modo…

— Farò più di quello che san fare mille uomini uniti.

In quell’istante si udì la voce squillante di Inioko gridare:

— Ohe! Guarda le Tre Isole!

Sandokan e il Portoghese si precipitarono a prua.

1() Nell’originale “E”[Nota per l’edizione elettronica Manuzio]

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