I traditori (seconda parte)

Non essendovi né letti, né paglia, i sette uomini, si coricarono sul nudo terreno, che non era però umido, e cercarono di addormentarsi.

Erano tanto stanchi che, malgrado le loro preoccupazioni, non tardarono molto a russare.

Quando l’indomani si svegliarono, il sole cominciava a far capolino attraverso le grosse sbarre di ferro delle finestre.

– In piedi, – comandò Sandokan. – Pare che anche senza un letto si possa dormire discretamente bene.

– Nulla di nuovo? – chiese Yanez sbadigliando.

– Nessun cambiamento finora, – rispose la Tigre. – La sala o meglio la prigione è vuota come ieri sera.

Ci trattano come se fossimo deiparia . Non sono gentili questi insorti.

– Vediamo dove guardano le finestre, – disse Sandokan.

S’accostò ad una e guardò al difuori.

Essa prospettava su una cinta semi-diroccata, ingombra di macerie ed in mezzo alla quale s’alzava un enorme tamarindo che spandeva sotto di sé una folta ombra.

Al di là della cinta non si scorgevano altre costruzioni, cominciando una boscaglia di borassi e di palmizi dalle immense foglie piumate.

Stava per ritirarsi, quando la sua attenzione fu attratta da un ramo del tamarindo che veniva scosso poderosamente.

– Che vi siano delle scimmie lassú? – pensò.

Guardò meglio, sembrandogli impossibile che dei piccoli quadrumani potessero imprimere ad un ramo cosí grosso degli urti cosí violenti e scorse fra il folto fogliame qualche cosa di bianco e di rosso che si agitava.

– Vi è un uomo, – disse. – Che ci sorvegli? Ah! Tremal-Naik!

Il bengalese che stava chiacchierando con Yanez fu lesto ad accorrere alla sua chiamata.

– Avevi ragione di dire che ilcipai non ci avrebbe abbandonati, – gli disse Sandokan. – Lo vedi nascosto su quel tamarindo e che ci fa dei segni, che io non riesco a comprendere? Pare che voglia farci qualche comunicazione.

– Per Brahma e Siva! – esclamò Tremal-Naik. – È proprio lui! Se non osa accostarsi, ciò significa che noi siamo strettamente sorvegliati e che teme di compromettersi.

– Comprendi i segni che ci fa?

– Pare che voglia dirci di aver pazienza.

– Veramente non ne ho mai avuta ed avrei preferito qualche cosa di meglio, – rispose Sandokan.

– Cerca di fargli capire se potrebbe farci avere invece delle armi.

– Troppo tardi; Bedar si è nascosto. Qualcuno s’avvicina di certo.-

Guardarono verso la cinta e videro due insorti scalarla e saltare fra i rottami.

– Mi pare di aver scorto ancora quei due enormi turbanti, – disse Sandokan.

– Sí, ieri sera, dopo la cena, – rispose Tremal-Naik. – Quegli uomini accompagnavano ilsubadhar , tenendosi nascosto il viso.

I due indiani guardarono verso le finestre, osservarono le muraglie della torre, poi rivarcarono la cinta scomparendo dall’altra parte.

– Sono venuti ad accertarsi che noi non abbiamo strappate le sbarre o sfondata la muraglia, – disse Sandokan. – Brutto indizio.

In quel momento udirono i chiavistelli a stridere, poi la pesante porta di bronzo cigolò sui suoi cardini arrugginiti ed ilsubadhar comparve, accompagnato da quattro seikki armati di carabine e da due altri che portavano due ceste.

– Come avete passata la notte, signori? – chiese, con un sorriso un po’ sardonico che non isfuggí a Sandokan.

– Benissimo, – rispose questi, – devo però dirvi che da noi i prigionieri si trattano con meno cortesia, ma con maggiori comodità. Se non si può dare loro un letto, si fanno portare delle foglie secche. Forse che la guerra ha distrutti anche gli alberi?

– Avete mille ragioni di lamentarvi, signore, – rispose ilsubadhar . – Io credevo che non vi dovessero lasciare qui tutta la notte e che vi fucilassero prima dell’alba.

– Fucilarci! – esclamarono ad una voce Yanez e Sandokan.

– Credevo, – disse l’indiano con aria imbarazzata, quasi pentito di essersi lasciate sfuggire quelle parole.

– E con qual diritto si fucilano degli stranieri che non hanno mai avuto nulla in comune con voi indiani? – chiese Sandokan. – Di che avete da lagnarvi voi?

– Io non posso rispondervi, signore, – rispose l’indiano. – È il generale Abú-Assam che comanda qui. Pare tuttavia che alcune persone abbiano fatto pressione sul comandante onde vi facesse fucilare ed al piú presto.

– Chi sono quelle persone? – chiese Tremal-Naik, facendosi innanzi.

– Non lo so.

– Te lo dirò io allora: dei miserabili Thugs, quegli infami settari che disonorano l’India e che voi avete avuto il torto di accettare sotto le vostre bandiere.

Ilsubadhar era rimasto silenzioso; però dal suo sguardo si capiva che non osava dare una smentita.

– È vero che sono stati dei Thugs a chiedere la nostra morte? – chiese Tremal-Naik.

– Non so, – mormorò ilsubadhar .

– E voi vi creerete complici e solidali con quegli assassini? Se noi abbiamo assalito il loro covo, nei pantani di Rajmangal, è perché m’hanno rapito mia figlia e ne abbiamo uccisi quanti ne abbiamo potuto, fidenti di rendere un gran servizio all’India e voi in compenso vorreste farci fucilare. Va’ a dire al tuo generale che egli non è un soldato che combatte per la libertà indiana, bensí un assassino.

Ilsubadhar aggrottò la fronte e fece un gesto d’impazienza.

– Basta, – disse poi. – Io non devo occuparmi di ciò; il mio dovere è di obbedire e null’altro.

Si volse verso i suoi uomini, fece deporre al suolo i due canestri, poi uscí colla sua scorta senza aggiungere sillaba, richiudendo la porta con gran fragore.

– Per Giove! – esclamò Yanez, quando furono soli. – Quel diavolo d’uomo mi ha guastato un po’ l’appetito. Poteva dircelo un po’ piú tardi. Decisamente quell’indiano non è molto educato.

– Si parla di fucilarci! – esclamò Tremal-Naik.

– Non è una cosa che fa molto piacere, è vero, mio povero amico? – disse il portoghese, che aveva acquistato il suo buon umore. – Che cosa ne dici, Sandokan?

– Che quelle canaglie di Thugs sono piú forti di quello che supponevo.

– E noi che credevamo di averli distrutti tutti!

– Mentre invece ce ne troviamo degli altri fra i piedi, amico Yanez, – rispose Sandokan. – Se non troviamo il modo di filare piú che in fretta non so come finirà questa fermata, che io non avevo prevista.

– Sí, cerchiamo il modo di andarcene, – disse Yanez, – dopo la colazione però. A pancia piena mi sembra che le idee dovrebbero scaturire piú facilmente.

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