La mangiatrice d’uomini (terza parte)

Quasi nell’istesso momento udii il mio portatore d’armi a gridare:

“Badasahib ! Labâg è là dentro”.

“Ebbene” gli risposi, “sta’ presso di me e noi avremo le costolette delnilgò e la pelle della tigre.”

Avevo preso rapidamente il mio partito.

Mi cacciai fra ikalam tenendo la carabina imbracciata e dopo pochi passi mi trovai di fronte… a tre tigri!

– Mi fai venire freddo, – disse Yanez. – Deve essere stato un terribile momento quello!

– Tira innanzi, Tremal-Naik, – disse Sandokan. – L’avventura m’interessa.

– Quelle maledette belve avevano finito il poveronilgò e stavano mangiandoselo. Vedendomi, si erano raccolte su se stesse, pronte a scagliarsi su di me.

Senza pensare al tremendo pericolo a cui mi esponevo, feci fuoco sulla piú vicina, fracassandole la spina dorsale, poi mi gettai rapidamente indietro per evitare l’assalto delle altre due.

“Il miorifle ”, gridai al miosikaro , tendendo la mano senza voltarmi.

Nessuno mi rispose.

Il mio portatore d’armi non si trovava, come di solito, dietro di me. Spaventato dall’improvvisa comparsa delle tre tigri, era fuggito portando con sé la grossa carabina, sulla quale molto contavo, senza che quel briccone pensasse che mi lasciava disarmato di fronte a quei terribili mangiatori d’uomini!

Non sarebbe necessario che vi dicessi che cosa provai in quel momento: mi sentii bagnare la fronte d’un freddo sudore e mi parve che lo spettro della morte mi si rizzasse dinanzi..

– E le due tigri? – chiesero ansiosamente Yanez, Sandokan e la bajadera.

– Si tenevano ritte, a venti passi da me, fissandomi colle pupille dilatate, senza osare muoversi.

Passò cosí un minuto, lungo come un secolo, poi mi venne una ispirazione che mi salvò la vita.

Puntai risolutamente la carabina, che come vi dissi era ormai scarica, e feci scattare il grilletto.

Voi non lo credereste, eppure le due feroci belve, udendo quel lieve rumore, mi volsero le spalle e con un salto immenso scomparvero tra i bambú della jungla.

– Ciò si chiama aver fortuna, – disse Sandokan, – e possedere una bella dose di sangue freddo.

– Sí, – rispose Tremal-Naik ridendo, – però all’indomani ero a letto con quaranta gradi di febbre.

– Ma la pelle ancora indosso, – disse Yanez, – e la propria pelle vale bene un febbrone, lo credi?

– Ne sono profondamente convinto.

Mentre ascoltavano i particolari di quella caccia emozionante, i due elefanti avevano continuato a inoltrarsi nella jungla, aprendosi il passo fra i bambú immensi che raggiungevano talora i quindici e anche i diciotto metri, e fra le dure erbe chiamatekalam , pure altissime.

Il mondo alato si era risvegliato e folleggiava in mezzo alle piante, senza darsi troppo pensiero per la presenza dei due colossi e degli uomini che li montavano.

Bande di corvi, di nibbi, di cicogne dal lungo becco, di pavoni dalle superbe penne scintillanti al sole, di tortorelle candidissime e di bozzagri, s’alzavano quasi sotto i piedi degli elefanti, volteggiavano qualche momento sopra lehaudah , poi tornavano a calare fra gli alti vegetali.

Di quando in quando anche qualche gigantescoarghilah , disturbato nel suo sonno, balzava fuori spiegando le sue immense ali e mostrando la sua orribile testa di uccello decrepito, protestando con alte strida, poi si lasciava ripiombare pesantemente al suolo, piantandosi sulle lunghissime zampe.

Il terreno a poco a poco diventava pantanoso rendendo la marcia dei colossi piú faticosa.

L’acqua trapelava dappertutto, essendo quelle terre che formano il delta del Gange formate solo da banchi di melma appena prosciugati. Ma erano quelli i terreni buoni, i veri terreni abitati dalle tigri, le quali, a differenza dei gatti, amano i luoghi umidi e la vicinanza dei fiumi.

Ed infatti i due elefanti marciavano da appena una mezz’ora attraverso a quei pantani, quando si udí il molango a dire:

– Sahib, è qui che bazzica labâg . Sta’ attento: non deve essere lontana.

– Amici, armate le carabine e preparate le picche, – disse Tremal-Naik. – Punthy è già sulla pista della vecchia briccona. Lo udite?

Il grosso cane aveva mandato un lungo latrato. Aveva ormai fiutata la mangiatrice d’uomini.

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