La pagoda dei Thugs (seconda parte)

Tremal-Naik e Kammamuri, che conoscevano l’isola a menadito, guidavano il primo drappello, avanzandosi con precauzione, temendo qualche sorpresa da parte dei feroci settari della sanguinaria dea. Non era improbabile che gli abitatori dei sotterranei, messi in sospetto od avvertiti da qualche spia dell’approdo di quegli stranieri, dei quali piú o meno conoscevano le intenzioni, avessero preparata qualche imboscata fra gli alti canneti che coprivano l’isola.

I loro timori però parevano ingiustificati, poiché Punthy, il fedele cane, non manifestava almeno pel momento alcuna inquietudine, né ringhiava.

La jungla sembrava deserta e solo qualche urlo d’uno sciacallo o di qualchebighana affamato rompeva il profondo silenzio che regnava fra quei mostruosi vegetali.

Mancava mezz’ora alla mezzanotte, quando il drappello guidato dal bengalese e dal maharatto, giunse sulle rive dello stagno. Sull’opposta estremità, in mezzo ad una spianata che era per la maggior parte ingombra da un colossale banian, formato da un numero immenso di tronchi, s’ergeva la pagoda dei Thugs.

Era un edificio colossale, che terminava in una cupola enorme, colle pareti adorne di teste di elefanti e di divinità che si collegavano le une alle altre con una sequela di cornicioni che potevano rendere possibile una scalata.

Né sulle rive, né sulla spianata si vedeva alcun essere vivente. Anche le finestre della pagoda erano oscure, segno evidente che l’offerta del sangue non era ancora stata cominciata.

– Siamo giunti per tempo, – disse Tremal-Naik, che parve in preda ad una vivissima eccitazione.

– Mi sembra strano che i Thugs non abbiano collocate delle sentinelle intorno alla pagoda, sapendo che noi ci aggiriamo nelle lagune, – disse Sandokan, che per istinto diffidava.

– E questo silenzio non mi rassicura, – disse Yanez. – E tu Tremal-Naik?

– Dico che non sono tranquillo, – rispose il bengalese.

– E nemmeno la vostra tigre lo è, – disse in quell’istante il francese. – Guardatela.

Infatti Darma, che fino allora aveva preceduto il drappello senza manifestare alcuna inquietudine, si era fermata dinanzi ad una larga zona di bambú altissimi, che si prolungava in direzione della pagoda e che il suo padrone era costretto ad attraversare, essendo la riva opposta dello stagno paludosa e perciò impraticabile.

Aguzzava gli orecchi come se cercasse di raccogliere un lontano rumore, agitava nervosamente la coda, battendosi i fianchi e fiutava l’aria brontolando.

– Sí, – disse Tremal-Naik. – Darma ha fiutato qualche nemico. Deve esservi qualchethug nascosto lí dietro.

– Qualunque cosa accada non fate uso delle armi da fuoco, disse Sandokan. – Lascia che vada a sorprendere quell’uomo, Tremal-Naik.

– No, Sandokan, rispose il bengalese. – Quando vi è Darma con me non ho nulla da temere e sarà essa che piomberà sullo strangolatore. Un colpo d’artiglio ben applicato e tutto sarà finito.

– Possono essere in due.

– Voi mi seguirete a breve distanza.

S’accostò a Darma che continuava a dare segni d’inquietudine, le passò una mano sul robusto dorso e guardandola fissa le disse:

– Seguimi, Darma.

Poi, volgendosi verso Sandokan e gli altri:

– Gettatevi a terra e avanzatevi strisciando.

Si gettò il fucile a bandoliera, impugnò ilparang e si cacciò silenziosamente fra i bambú, tenendosi curvo e allontanando adagio adagio le piante.

Darma lo aveva seguito, tenendosi a quattro o cinque passi di distanza.

Entro la macchia non si udiva alcun rumore, eppure Tremal-Naik sentiva per istinto che qualcuno vi si teneva nascosto.

Aveva percorso cinquanta passi, quando si trovò dinanzi ad un sentieruzzo che pareva si dirigesse verso la pagoda.

Si era alzato per osservare se non vi era nessuno, quando udí a breve distanza un fruscio di canne, poi si sentí cadere sulle spalle una corda e stringere alla gola.

Alzò ilparang per tagliare il laccio, quando una scossa poderosa lo fece subito cadere.

– L’ho sorpreso, – disse una voce vicina.

Poi un uomo quasi nudo, che portava sul petto il tatuaggio dei Thugs balzò fra le canne e gli si precipitò addosso tenendo in mano un lungo pugnale.

Ad un tratto un’ombra si slanciò fuori dai bambú, con un salto immenso gli balzò alla gola, atterrandolo di colpo.

Si udí un grido soffocato, poi come uno stritolío di ossa.

Darma era piombata addosso allo strangolatore serrandogli le mascelle attorno alla testa, mentre le poderose unghie gli dilaniavano atrocemente il petto.

Sandokan che si trovava dieci passi piú indietro, a sua volta si era slanciato brandendo ilparang .

Quando però giunse, Tremal-Naik era in piedi e si era già sbarazzato del laccio ed ilthug aveva esalato l’ultimo respiro.

– T’aveva colto? – chiese.

– Sí: ma non ha avuto il tempo di strangolarmi né di pugnalarmi, – rispose Tremal-Naik, stropicciandosi il collo. – Aveva un pugno ben solido quel birbante e senza il salto fulmineo di Darma non so se sareste giunti in tempo.

Yanez, de Lussac ed i malesi giungevano.

– Non fate rumore, – disse Tremal-Naik. – Vi può essere qualche altrothug imboscato.

– Darma, lascia!

La tigre beveva avidamente il sangue che sgorgava dalle orribili ferite dello strangolatore.

– Lascialo, – ripeté Tremal-Naik, afferrandola pel collo. Darma ubbidí ringhiando.

– Per Giove! – esclamò Yanez. – Come ha conciato quel povero diavolo! Non si riconosce piú il suo viso.

– Taci, – gli disse Sandokan.

Si misero tutti in ascolto; nessun rumore pervenne ai loro orecchi fuorché il fruscio dei pennacchi delle canne, leggermente agitati dal venticello notturno.

– Avanti, – disse Tremal-Naik.

Si misero in marcia sempre nel piú profondo silenzio e cinque minuti dopo sbucavano dinanzi all’enorme pagoda.

Si fermarono alcuni istanti, guardando attentamente sotto le ombre proiettate dalle mostruose teste degli elefanti e dalle statue e dagli ampi cornicioni, poi, si fecero rapidamente sotto una enorme statua incastrata nelle pareti, rappresentante Supramanier, uno dei quattro figli di Siva, cui suo padre fece uscire uno dei suoi occhi per ammazzare il gigante Suraparama che desolava l’India.

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