La torre di Barrekporre (seconda parte)

Latcita in quattro slanci era già addosso all’elefante.

I due europei, i due indiani e Sandokan, udendo echeggiare piú minacciose ed in luoghi diversi, le urla deibighana affrettarono il passo, costeggiando la sponda della laguna, dove le piante non erano cosí fitte da permettere ad una tigre d’imboscarsi.

Al di là delle immense foglie dei palmizi tara, si vedeva spiccare la torre segnalata dal bengalese, col suo cocuzzolo piramidale.

Procedendo cautamente, colle carabine montate, attraversarono quel gruppo di piante che formava un piccolo bosco, e giunsero finalmente su uno spiazzo ingombro solamente dicalamus , attortigliati su se stessi, come serpenti smisurati e nel cui mezzo si ergeva la torre coi suoi quattro piani.

Era un edificio quadrangolare, adorno di teste di elefanti e di statue rappresentanti deicateri , ossia de’ giganti dell’antichità, e colle pareti qua e là screpolate.

A che cosa avesse potuto servire anticamente quella torre, piantata in mezzo a quei pantani, abitati solamente dalle belve feroci, sarebbe stato un po’ difficile a dirlo a meno che avesse potuto servire di difesa avanzata contro le scorrerie dei pirati arracanesi.

La scala che metteva nell’interno era crollata assieme a parte della muraglia prospettante verso la laguna, però ve n’era stata collocata un’altra di legno che metteva al secondo piano. Probabilmente il primo non sussisteva piú.

– Si vede che qualche volta degli uomini sono qui venuti a rifugiarsi, – disse Tremal-Naik. – Questa scala a mano non si sarà fabbricata da sé.

Già il francese pel primo aveva cominciato a salire, quando un’ombra si slanciò fuori da un gruppo dicalamus , cadendo in mezzo ad un folto cespuglio dimindi .

– Badate! – gridò ilcornac , che pel primo se n’era accorto. – Su fate presto!

– Che cos’era? – chiese Sandokan, mentre Tremal-Naik e Yanez seguivano precipitosamente il francese che era quasi sulla cima delle scale.

– Non so,sahib … un animale…

– Sali… spicciati!

Ilcornac non se lo fece dire due volte e si slanciò a sua volta su per la scala di bambú che crepitava e s’incurvava sotto il peso di quei quattro uomini.

Sandokan aveva fatto invece un rapido voltafaccia, imbracciando la carabina. Aveva veduto vagamente quell’ombra attraversare lo spazio e cadere fra imindi , quindi non sapeva se si trattasse d’unatcita , o di qualche animale piú pericoloso.

Vedendo i rami delle piante rimanere immobili, si gettò sulla scala montandola rapidamente.

Era giunto a metà altezza, quando provò un urto che per poco non lo fece cadere abbasso.

Qualcuno erasi slanciato sulla scala un po’ piú sotto di lui, ed i bambú avevano provata una scossa cosí violenta da temere che si spezzassero.

Nel medesimo istante si udí il signor de Lussac, che si trovava già sulla piccola piattaforma che girava intorno alla torre, a gridare:

– Presto, Sandokan! Sta per prendervi!

La Tigre della Malesia invece di innalzarsi, si era voltato tenendosi con una mano ben stretto alla scala ed impugnando coll’altra la carabina per la canna.

Un grosso animale che sembrava un gigantesco gatto, colla testa grossa e rotonda, il muso sporgente ed il corpo coperto da un pelame giallo rossastro con macchie nerastre in forma di mezza-luna, era piombato sulla scala, un po’ al di sotto del pirata e si sforzava a raggiungerlo, aggrappandosi ai bambú colle unghie.

Sandokan non aveva mandato né un grido, né fatto atto di fuggire. Alzò rapidamente la carabina il cui calcio era guernito di una grossa lastra di ottone e vibrò un colpo formidabile sul cranio della belva che risuonò come una campana fessa. L’animale mandò un ringhio sordo, girò attorno alla scala tentando ancora di reggersi colle potenti unghie, poi si lasciò cadere al suolo.

Sandokan aveva approfittato per raggiungere i compagni, prima che la belva rinnovasse l’assalto.

Il francese che aveva armata la carabina stava per far fuoco, quando Tremal-Naik lo trattenne, dicendogli:

– No, signor de Lussac, non segnaliamo con uno sparo la nostra presenza in questo luogo. Non dimentichiamo che abbiamo i Thugs alle calcagna.

– Bel colpo, fratellino mio, – disse Yanez, aiutando Sandokan a salire sulla piattaforma. – Devi avergli spaccato il cranio, perché vedo che quell’animalaccio si trascina a stento fra icalamus . Sai che cos’era?

– Non ho avuto il tempo di osservarlo.

– Una pantera, mio caro. Se ti trovavi due piedi piú sotto ti balzava addosso.

– E come era grossa! – aggiunse Tremal-Naik. – Non ne ho mai veduta una di simile.

Se la scala invece di essere di bambú fosse stata di altro legno, non avrebbe resistito a quel salto e saremmo caduti tutti l’uno sull’altro.

– Sono abituate le pantere a fare questi colpi e lo sanno gli incaricati di rinnovare le provviste delle torri di rifugio disseminate sull’Hugly – disse il francese.

– Un giorno ne ho salvati due mentre stavano per venire sbranati sulla scala che metteva nel rifugio.

– Per precauzione ritiriamo la scala, – disse Yanez. – Le pantere sono abili arrampicatrici e quella che Sandokan ha cosí ben punita potrebbe cercare di vendicarsi di quella tremenda mazzata.

– Ed entriamo se è possibile, – disse Tremal-Naik.

Una finestra metteva nell’interno della torre. Il bengalese salí sul davanzale ma ridiscese subito sul terrazzino.

– Tutti i piani sono crollati, – disse, – e la torre è vuota come un camino. Passeremo la notte qui: fa piú fresco.

– E potremo nel medesimo tempo sorvegliare i dintorni, – disse Sandokan. – Dov’è scappata la pantera che non la vedo piú?

– Pare che se ne sia andata, a menoché non sia nascosta fra icalamus per assalirci quando scenderemo, – rispose Yanez.

– Non mi sorprenderebbe, – disse de Lussac. – Quantunque siano molto piú piccole e meno robuste delle tigri, sono piú coraggiose e assalgono sempre anche quando la fame non le spinge. È capace di assediarci, come quelle che avevano assalito i due provveditori della torre di Sjawrah.

– Quelli che poi avete salvati? – chiese Sandokan.

– Sí, capitano.

– Signor de Lussac, raccontateci un po’ quell’avventura, – disse Yanez, levandosi da una delle sue dieci tasche un pacco di sigarette e offrendole ai compagni. – Credo che nessuno di noi abbia desiderio di dormire.

– Non mi fiderei a chiudere gli occhi, – disse Tremal-Naik. – Qui siamo allo scoperto ed i Thugs che ci hanno tesa l’imboscata avevano delle carabine e non sparavano male.

– Sí, raccontate signor de Lussac, – disse Sandokan. – Il tempo passerà piú presto.

– L’avventura risale a quattro mesi fa. Avevo un vivissimo desiderio di fare una partita di caccia fra i canneti della jungla costeggiante l’Hugly, ed essendo amico d’un tenente di marina, incaricato di provvedere e rinnovare i viveri alle torri di rifugio, aveva ottenuto il permesso d’imbarcarmi su una di quelle scialuppe a vapore che ogni mese visitano quei posti dei naufraghi. Eravamo in otto a bordo: unmaster , unvice -master, tre marinai, un macchinista, un fuochista ed io

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